Nei saloni d’ingresso, le fotografie in bianco e nero delle edizioni passate raccontano la lunga storia della Fiera del Libro di Francoforte. Un evento che ha accompagnato con puntualità lo sviluppo del paese: dalla rinascita del dopoguerra al miracolo economico, dalle ribellioni degli anni Sessanta alle tensioni degli anni Settanta, dalla nascita della società dello spettacolo alla rivoluzione tecnologica, passando per guerre fredde e muri caduti, separazioni e riunificazioni, temperie culturali e movimenti sociali. Sono trascorsi sessanta anni dalla prima volta: un anniversario importante che in questi giorni coincide con la rappresentazione della grande crisi che si svolge a pochi passi dal grattacielo in vetro e acciaio che ospita la Buchmesse. Per l’esattezza in altri grattacieli costruiti alla stessa maniera, dove va in scena la partita drammatica della finanza globale.
Francoforte è la prima piazza finanziaria della Germania e una delle principali del mondo. E’ sede di importanti banche e istituti di credito tedeschi, da qui l’Europa governa la sua economia attraverso le mosse della Banca centrale europea. Inevitabile che l’attenzione si divida fra gli eventi della più grande mostra libraria del mondo e le preoccupazioni per le sorti finanziarie del globo. Tanto più che le cattive notizie che rimbalzano dalla borsa francofortese si ripercuotono come un’onda angosciosa anche negli androni foderati di libri. Non vale molto la contrapposizione un po’ idealistica fra il vile denaro e la sublime cultura. Pensiero contro profitto, riflessione contro speculazione. Le preoccupazioni che si raccolgono all’interno degli stand degli editori sono piuttosto pratiche e materiali. Quanto inciderà sull’economia reale il crollo dei mercati finanziari? Quanta difficoltà incontreranno le aziende editoriali nell’accedere ai crediti bancari? E le librerie, specie le medie e le piccole, potranno reggere l’impatto di un’economia in recessione?
Tanto più che la Fiera di Francoforte si distingue da molte altre fiere del settore per una sua stretta vocazione agli affari. Se nella vicina sede della borsa si fanno affari scambiando azioni, in questa sorta di borsa della cultura si fanno affari scambiando diritti d’autore. Il cronista rischia di smarrirsi vagando fra i banchi delle case editrici di tutto il mondo: qui i libri si vendono solo l'ultima domenica, rigorosamente dalle 9 alle 18, come indicano i cartelli sui banconi. E infatti per ora di libri ce ne sono pochi, e occhieggiano dagli scaffali come fossero oggetti di arredamento per foto di case d’autore. Prevalgono i cataloghi, i depliant, le schede informative sui libri che usciranno: roba da settore vendite più che da lettori.
Certo, ci sono gli eventi, le presentazioni dei libri, le conferenze e i dibattiti con gli autori dei libri e gli intellettuali che contano. Ma in genere la ciccia di Francoforte si trova dietro le quinte, dove i manager più che gli intellettuali si contendono i titoli dei bestseller o quelli degli scrittori emergenti. Dove gli squali dell’editoria vanno a caccia dei talenti sconosciuti, pesci grandi che circuiscono pesci più piccoli, pronti ad acquistare diritti e a strappare contratti alle condizioni più vantaggiose possibili.
Quest’anno al timore per le sorti finanziarie, se ne aggiunge un altro, sottile, che ha direttamente a che fare con il settore editoriale. Parafrasando l’incipit di un’edizione che ebbe un certo successo un secolo e mezzo fa, si può dire che un fantasma si aggiri per le sale della Fiera. Ed è quello del libro elettronico. Sono anni, forse decenni, che l’industria dei chip annuncia la morte del libro di carta, e sono anni e sicuramente decenni che si susseguono uno dopo l’altro i flop dei cosiddetti supporti elettronici. Ma questa volta parrebbe che la minaccia sia seria. I “supporti” hanno trovato un nome suadente – e-book – e soprattutto una qualità e una versatilità che prima non avevano. Sfruttano l’onda lunga di Internet che sta creando lo stesso scompiglio nel settore dei giornali di carta stampata. Puntano al mercato ormai maturo della generazione nata coi computer e cresciuta con i videogames, per la quale la tv è già roba vecchia, figuriamoci la stampa. Se tutto il mondo è racchiuso nei pochi pollici di uno schermo e nei pochi giga di un hard disk (perfino le amicizie, come testimonia il fenomeno di Facebook) nessun dubbio che il futuro sia arrivato anche per il libro.
La Fiera di Francoforte prova ad esorcizzare il fantasma, festeggiandolo. E il libro elettronico è la star di questa edizione a numero tondo. Gutenberg gioca con bit e tastiere (Mainz, che ospita il museo dell’inventore della stampa, è a un tiro di schioppo da qui), il gioiellino della Sony – già presentato un mese fa alla Fiera dell’elettronica di Berlino – si contende i riflettori con una nutrita schiera di rivali e i guru della lettura digitale snocciolano cifre dell’ultimora che non lasciano scampo, questa volta per davvero assicurano, al nostro caro, polveroso, libro di carta. Si apre una nuova era, che promette di smarcare il settore librario dalle tante strozzature che lo soffocano. Testi importanti, che non vedono la luce per carenza di valore commerciale, potranno usufruire della stampa on-demand: si stampa alla bisogna, non solo piccoli quantitativi ma anche singole copie. Le rotative incerte di qualche tempo fa hanno lasciato il posto a marchingegni di tutta efficienza, il sogno divenuto realtà è quello di fare di ogni scrittore un potenziale autore di romanzi o libri di saggistica: via dalle grinfie delle mafie editoriali ma anche diritti dentro il cono d’ombra di una produzione senza qualità, dove ognuno è in grado di pubblicare il proprio libro saltando l’intermediazione delle case editrici e, grazie ad Internet, della distribuzione. Più libri di tutti per tutti, ma ogni rivoluzione si porta appresso il suo contrario e già altrove, ad esempio nel giornalismo, il fenomeno elettronico dei blog offre oggi assieme ai vantaggi anche il conto di un’informazione gridata, approssimativa, autoreferenziale, faziosa. Fatta di opinioni che fanno a meno dei fatti.
Poi, girato l’angolo, si ritrova la tradizione. Che a Francoforte si ripete nella scelta annuale del paese ospite, del quale vengono presentati gli aspetti letterari, sociali, politici, finanche gastronomici. Quest’anno si è deciso di giocare in casa e si è scelta la Turchia. La prima cosa che salta agli occhi è il numero di scrittori turco-tedeschi, romanzieri appartenenti alla seconda o terza generazione di immigrati, che costruisce il proprio mosaico dell’integrazione attraverso le rotture e gli scontri di due culture assai diverse. La Turchia tedesca mescola currywurst e kebab, modernità mal digerita e ancestrali ritorni al passato. E’ la Turchia anatolica, lontana e perduta, esotica quanto incomprensibile. Così, appare paradossalmente più vicina la Turchia cosmopolita di Pamuk e degli altri autori arrivati da Istanbul, a raccontare le ansie di un paese che è ormai Europa, la cui letteratura chiede ai suoi governanti libertà di espressione e di critica, riconoscimento dei diritti civili e laicità. Sarà il caso di tornare sulle letterature turche che raccontano paesi diversi e ansie opposte. Magari quando l’ennesimo frastuono dei bit si sarà placato e tornerà ancora una volta invincibile il fruscio delle pagine sfogliate.
Articolo pubblicato il 18 ottobre 2008.