Oggi c'è la sparatoria (esercitazione di tiro). Otto proiettili per persona. Il bersaglio è lontano centocinquanta metri. I fucili sono cinesi, dicono che sono quelli della prima guerra mondiale, non so se è vero. Siamo tutte in trincea. Dobbiamo entrare nel bunker. Ciascuna nel suo bunker. "Imparare a difendere la patria, per di più la nostra, invidiata da tutto il mondo per la sua marcia così riuscita verso il comunismo", dice il nostro compagno, il Timoniere Enver Hoxha.
Gli imperialisti americani, gli sciovinisti russi, i grandi capitalisti francesi e italiani sono pronti a sbarcare per distruggere l'esempio della parità in terra, l'esempio di una società che non ha più lotte di classe, che non conosce antagonismi nel suo seno, la società più evoluta mai conosciuta dalla coscienza umana. La sparatoria non è ancora cominciata e io con le mie amiche, con Ori in particolare, mi ritrovo a sognare l'arrivo dell'imperialista americano o dell'anarchico francese: "Di sicuro sarà bello, tu preferisci l'italiano o il francese?". Io preferisco l'italiano, innamorata come sono di Lucio Battisti e di Mina. A lei rimane il francese, che la rende felice: "Di sicuro avrà gli occhi azzurri", dice. "Di sicuro", confermo. Tutt'e due sognavamo il gesto patetico e teatrale con cui avremmo gettato il fucile e avremmo detto al nostro soldato i rispettivi "Ti amo" e "Je t'aime".
Ornela Vorpsi, Il paese dove non si muore mai, 2004