Berlino, propaganda elettorale (fotowalkingclass)
Che la tornata elettorale in tre regioni (l’occidentale Saar e le orientali Sassonia e Turingia) a quattro settimane dal voto generale avrebbero messo un po’ di pepe nella campagna elettorale tedesca era cosa attesa, forse da molti sperata. Tuttavia gli esperti e i commentatori più attenti, avvezzi più alla complessità della politologia che al sensazionalismo della cronaca politica, ammoniscono a non trasferire automaticamente i risultati regionali sul piano nazionale, perché troppo legati a vicende locali quali la personalità dei leader in campo o il giudizio su singole esperienze governative.
Le indicazioni emerse domenica scorsa valgono più per il futuro prossimo venturo, disegnano un sistema partitico ormai stabilmente fondato su cinque forze e impegnano i partiti ad approfondire la possibilità di nuove alleanze, finora confinate al mondo della fantapolitica. Ma se aumenta l’adrenalina della campagna elettorale, per ora non si modifica il quadro politico a breve termine. Dalle urne del 27 settembre potranno uscire solo due ipotesi di coalizione: quella di centrodestra con la Cdu e i liberali dell’Fdp, o una riedizione della Grosse Koalition con la Cdu e l’Spd. E a guidarle entrambe sarà Angela Merkel, la cui distanza dal candidato socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier appare ancora incolmabile.
E’ un paradosso. Stando ai sondaggi più recenti, e ancor più ai dati reali che negli ultimi quattro anni hanno accompagnato le varie tornate regionali tedesche, i due storici partiti di massa (Cdu e Spd) che hanno dato vita al governo di emergenza di Grosse Koalition perdono consensi: drammaticamente i socialdemocratici, in maniera più contenuta, grazie anche alla popolarità di cui gode la cancelliera, i cristiano-democratici. L’Spd ha difficoltà a riconoscersi ancora in un partito di massa, con le percentuali che oscillano tra il 20 e il 25 per cento e anche la Cdu vede allontanarsi i fasti di un tempo, quando superava il 40 per cento dei consensi. Un nuovo esecutivo di compromesso storico sarebbe dunque più debole di quello attualmente in carica e molti sospettano che non riuscirebbe a durare l’intera legislatura. D’altro canto la riproposizione dello schema Cdu-Fdp sembra quasi un salto indietro ai tempi di Kohl, anche se le due formazioni hanno subito nel corso dell’ultimo decennio un processo di de-ideologizzazione che ne ha accentuato i tratti pragmatici, forse più adatti a trovare soluzioni ai problemi di questo inizio secolo. E tuttavia, anche questa ipotesi più tradizionale è appesa al filo di un rasoio e oscilla sulla fatidica soglia del 50 per cento.
Crescono, invece, i partiti attualmente all’opposizione. Gli stessi liberali, che hanno assorbito una parte del voto imprenditoriale deluso dalla politica sociale della Merkel, i Verdi che si caratterizzano sempre di più come un partito borghese e urbano, e la Linke che erode all’Spd l’elettorato più di sinistra scontento del corso riformista adottato sin dai tempi di Schröder. In più porta in eredità alla Repubblica federale il vecchio blocco elettorale dei tempi della Ddr, un tempo organicamente comunista, oggi più genericamente anti-capitalista e disincantato rispetto agli sviluppi economici e sociali della riunificazione. La crescita della Linke è stata la spina nel fianco dei socialdemocratici in tutti questi quattro anni e paradossalmente si è arrestata (i sondaggi l’accreditano oggi del 9 per cento, un anno fa toccava il 13) quando è scoppiata la crisi economica.
In attesa che le teste d’uovo dei partiti elaborino programmi e strategie in grado di affrontare con alleanze inedite i nuovi scenari della politica tedesca, le opzioni che si confrontano sembrano comunque fare riferimento a diverse realtà e aspirazioni regionali. Il federalismo, base fondante dello Stato tedesco, sembra giocare un ruolo decisivo. Quello che viene chiamato “progetto borghese”, e cioè l’alleanza di centrodestra fra Cdu e liberali, è espressione delle ricche regioni meridionali dell’ovest ma anche dell’est: la Baviera di Monaco, il Baden-Württemberg di Stoccarda, la Sassonia di Dresda, l’Assia di Wiesbaden e Francoforte. Realtà economiche che hanno rappresentato la base sociale e industriale della ripresa tedesca negli anni passati e che attraversano senza grandi problemi anche questi mesi di crisi. Da questo “Mezzogiorno capovolto” viene oggi la richiesta di un esecutivo più compatto che, accanto alla necessaria attenzione sociale, non smarrisca la via del mercato e delle riforme promesse. E’ il vento del sud-ovest produttivo ma anche di quell’est che ce l’ha fatta a varcare il Rubicone.
L’altra pressione viene dall’est, ed è di segno praticamente opposto. Gonfia i consensi della Linke, chiede un modello sociale ed economico diverso, anche se poi non riesce a definirlo con precisione se non ricorrendo a strumenti di antico sapore socialista, difficilmente applicabili in una moderna economia capitalistica. E’ un vento carico di protesta e delusione che ha trovato un contenitore politico non ancora spendibile sul mercato delle alleanze nazionali: ma la sua domanda, che è quella di un oriente non più disposto a concedere deleghe ai partiti venuti da ovest, non potrà essere elusa ancora per troppo tempo.
In mezzo le regioni settentrionali dell’ovest, l’antico cuore industriale della Germania che ha vissuto nei due decenni passati la parabola della deindustrializzazione, in parte modernizzando e riqualificando infrastrutture e impianti. Qui i socialdemocratici mantengono le loro roccaforti, tanto che alcuni analisti parlano dell’Spd ormai come di un partito del Nord. E’ forse qui che si gioca la partita decisiva, nella capacità dei socialdemocratici di rimotivare il proprio elettorato deluso. Da questa complessa alchimia regionale emergerà una coalizione di centrodestra o una riedizione della Grosse Koalition. In attesa della fantasia futura.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 3 settembre 2009)