Amstetten. L’orrore ha la faccia di un allampanato signore austriaco di settantatrè anni. L’orrore è nello spazio stretto di uno scantinato sigillato, un rifugio anti-atomico di sessanta metri quadri. L’orrore lo avverti dal puzzo del fiato di quattro esseri umani segregati per anni. L’orrore lo leggi negli occhi sfiniti di una figlia ridotta a produrre i frutti dell’incesto. Ventiquattro anni. Un quarto di secolo è durata la doppia vita del signor Josef Fritzl, uomo banale fin dal nome stampigliato come una sequenza casuale di lettere sulla targhetta del citofono. E un quarto di secolo è durata la prigionia di Elisabeth, la figlia rinchiusa nel bunker dell’orrore da quando di anni ne aveva diciotto. Oggi ne ha quarantadue. Ventiquattro anni e sette figli dopo (uno è morto). Diventa difficile immaginarsi come vivrà i prossimi.
Lo scenario dell’orrore è invece assai meno isolato. Uno pensa di arrivare in un posto sperduto d’Europa, magari di incrociare a un tornante di strada uno di quei passaggi magici che portano in un mondo parallelo, roba da romanzo giallo o da fumetto di Dylan Dog, tanto per rimanere più terra terra, perché storie come queste non possono accadere nel mondo reale, tanto meno in una cittadina che, invece, colpisce per la sua normalità. E’ banale anche Amstetten, come il suo concittadino Josef Fritzl. Ventiquattromila abitanti (il ritorno di certi numeri sembra quasi un gioco della cabala), un pugno di case linde e ordinate, mura bianche o grigie, tetti spioventi da cui occhieggiano i finestroni delle mansarde, qualche geranio sui balconi come in Tirolo, strade pulite e squadrate. Non una carta per terra, non un bidone della spazzatura fuori posto, niente di niente. I recinti riverniciati in bianco di fresco – il colore pare vada di gran moda quest’anno – qualche terrazzo attrezzato per l’estate che si annuncia con l’insolito tepore di questi giorni.
La casa dei Fritzl è in un palazzetto di cemento tozzo e anonimo con le finestre a vasistas: una via di mezzo tra un bunker e un piccolo casermone dell’Europa dell’Est. Su in alto, un terrazzino soffocato da una palizzata di legno che impedisce la vista e dal quale spuntano rami di piante, come volessero fuggire anche loro; nel mezzo l’appartamento dove viveva Josef con la sua famiglia strampalata; lì sotto il buio infinito dell’inferno senza fuoco e senza fiamme. Lì viveva “il resto”. Non tragga in inganno la pulizia ospedaliera di Amstetten. In questo spicchio ricco d’Europa – la carta geografica parla di Niederösterreich, Austria inferiore – è così: la qualità della vita è fatta di ordine e responsabilità. Il droghiere all’angolo apre e chiude il suo negozio senza saracinesche, la vicina di casa piazza ogni sera la spazzatura biologica nell’apposito contenitore del riciclaggio, il ragazzo della casa di fronte schizza in groppa alla sua bici per andare a farsi una birra con gli amici in centro. Una sorta di mondo ripetitivo nella sua ordinarietà. Ma non chiuso, non isolato.
Tangenziale all’abitato, sfreccia l’autostrada numero 1 che collega Vienna a Linz e alla Germania. La stazione ferroviaria si trova sulla linea che unisce Vienna a Berlino e il treno notturno che viene dalla capitale tedesca si ferma sul terzo binario alle sette e quarantadue del mattino, ritardo permettendo. Sulle due direttrici viaggia un mondo di gente, che viene dall’Ungheria o da Vienna o dalla Svizzera o dalla Germania. E poco più a nord, che a farci una scampagnata fuori porta ci si mette un quarto d’ora, scivola dolce il Danubio con le chiatte cariche di merci e le navi da crociera cariche di turisti da fiume. Non è un posto isolato, Amstetten. Non è un mondo parallelo.
Oggi è comunque un mondo sottosopra. E’ arrivato il gran carrozzone del giornalismo globale. Televisioni soprattutto. Furgoni, parabole, cavi, motori, luci, telecamere, microfoni con la pelliccetta che sembrano orsacchiotti di peluches, reporter d’assalto con il giubbotto da inviato di guerra. Ci sono tutti i tedeschi e tutti gli austriaci. Ci sono i latini dall’Italia e dalla Spagna. Gli asiatici e gli americani. E ci sono soprattutto gli inglesi, quelli della tv e quelli della stampa, popolare e seria, che però si comportano tutti allo stesso modo. E’ caccia continua, all’ultimo particolare, in una guerra di concorrenza che vomita sui siti internet la notizia più fresca, il video inedito, l’intervista esclusiva, il dettaglio cui nessuno aveva ancora pensato. Neppure gli investigatori, stretti fra l’orrore del caso su cui indagare e il circo mediatico che si è scatenato attorno e costretti a conferenze stampa con un pubblico da stadio e la Bbc che trasmette in diretta mondiale il faccione spaurito di Alois Lissl, il capo della Polizei.
Le notizie si rincorrono, nonostante gli inquirenti siano parchi di novità e ci tengano a far sapere che Fritzl ha confessato, che è rinchiuso in isolamento, che la sua vita è in pericolo perché gli altri detenuti gli vorrebbero fare la pelle. Però poi si scopre che Fritzl non parla, è muto di fronte al medico e allo psichiatra che sono gli unici a poterlo vedere. Dai vicini si strappano piccoli ritagli di vita che sino a ieri sembravano insignificanti. E si cerca l’esperto più esperto per spiegare l’abisso in cui è caduto un uomo che violenta la figlia, poi la sequestra inscenando una sua fuga in una setta religiosa, poi l’aiuta a far nascere i figli dell’incesto e tre dei sette li deposita sulla soglia di casa con una letterina estorta: curateli voi, io non ho tempo.
E in tutto questo, tra gli abitanti della linda Amstetten c’è anche la signora Fritzl, all’anagrafe Rosemarie, che dice di non essersi accorta di nulla. Josef avrebbe costruito il bunker anti-atomico negli anni Settanta, quando in un’Austria troppo vicina al blocco sovietico s’era diffusa la paura della guerra nucleare. Tutti i permessi in regola, fanno sapere con burocratica asetticità i quotidiani locali. I figli “del piano di sotto” sono malati, non hanno mai visto la luce, conoscono il mondo solo dalla tv, non sono mai andati a scuola, parlano male il tedesco. I figli “del piano di sopra” hanno incontrato ieri, per la prima volta, i fratelli ritrovati. I bene informati (ma da chi?) dicono che l’incontro è stato sereno e commovente: ma va? Poi Josef e Rosemarie hanno altri sei figli, tutti loro, e uno di questi avrebbe avuto la chiave del bunker. Sei più tre nove più tre dodici. Come vivranno in questa affollata compagnia?
I dettagli spuntano da testimonianze senza controllo. Josef faceva la spesa nei centri commerciali fuori città, per non destare sospetti. Bruciava la spazzatura in una stufetta, dove avrebbe incenerito anche il corpo di un settimo figlio, nato morto. Faceva le vacanze in Thailandia (la Bild ha messo in rete un filmato “gentilmente” concesso da un amico). Ora è sospettato anche di un vecchio omicidio irrisolto: si sta valutando l’alibi. Non c’è fine al pozzo di orrore scoperto ad Amstetten.
E pensare che qui i cittadini si preparavano a sintonizzare i televisori sull’evento che fra un mese avrebbe dovuto accendere i riflettori sul paese: il campionato europeo di calcio che partirà il 7 giugno. L’organizzazione è a metà con la Svizzera. Gli stadi sono pronti da tempo, le infrastrutture hanno avuto bisogno solo di una rinfrescata. Bastava accendere il tasto del televisore. Ora in tv ci sono loro. Con i cartelli “Warum, perché?” e “Schon wieder, di nuovo”. Di nuovo come due anni fa, quando dalle viscere di questa terra tranquilla tornò alla luce un’altra donna segregata per anni, Natascha Kampusch, che oggi sembra restituita a una vita normale e ovviamente ha fatto sentire la sua presenza – benedetta dai media – offrendo aiuto e denaro alle vittime.
Ci si chiede perché l’Austria nasconda i suoi mostri nelle viscere, così come i belgi nasconderebbero i pedofili nelle abitazioni borghesi. Casi che si sommano in un pregiudizio che lascia gli altri, cioè noi, tranquilli. I media inglesi ci sguazzano ma sollevano solo fango. La Bbc si chiede: i vicini che girano la testa dall’altra parte è forse per reazione a quando sotto il nazismo era in voga la pratica della delazione? Ma alcuni vicini la testa non la girano e avrebbero chiesto ai reporter 100 euro per fotografare la casa dell’orrore: splendida inquadratura offresi. Ovviamente i reporter hanno pagato.
Trionfa la sociologia spicciola: la solitudine, il nichilismo, la ricchezza che lascia indifferenti. Fritzl era diventato un pensionato benestante, possiede case e una ricca pensione. Ma quando drogò la figlia per farla entrare nel tunnel correva l’anno 1984, non c’era l’euro, non c’era Internet, l’Austria non era ancora entrata nella Comunità europea, non c’era la globalizzazione, non c’era lo smarrimento, il Muro era in piedi e teneva mezza Europa ben ferma al di là. Forse la verità è banale come il nome di Fritzl: una malattia, una perversione folle. E’ accaduto in Austria. Poteva accadere ovunque.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 4 maggio 2008)