"Da quel momento, Olvido non aveva più prodotto niente che avesse a che fare con l'estetica e il glamour ai quali era stata educata e nei quali aveva vissuto, al contrario, gli aveva voltato deliberatamente le spalle. Tutte le sue nuove foto sarebbero state una reazione a questo. Non aveva più ritratto né persone, né bellezza: solo cose ammonticchiate come in una bottega di robivecchi, resti di vite assenti che il tempo gettava ai suoi piedi: rovine, macerie, scheletri di edifici anneriti che si stagliavano contro cieli cupi, tende strappate, stoviglie rotte, armadi vuoti, mobili bruciati, bossoli di proiettili, fori di mitraglia sui muri. Questo, per tre anni, era stato il risultato del suo lavoro, sempre in bianco e nero, antitesi delle scene d'arte o di moda di cui era stata la protagonista o la fotografa in passato; del colore, della luce e della messa a fuoco perfetti che rendevano il mondo più bello di quanto lo fosse nella vita reale".
Arturo Pérez-Reverte, Il pittore di battaglie, 2006.