Ieri sul Foglio è stata pubblicata una drammatica lettera scritta dalla professoressa Daniela Ruth Santus, dell'Università di Torino, a David Meghnagi, coordinatore del Comitato accademico della lotta all'antisemitismo, il quale l'ha girata a Giuliano Ferrara. Il contenuto della lettera reso noto via Camillo, è stato riportato anche da alcuni blog di TocqueVille, tra cui segnalo Rabbì a Barcellona e 1972. Più che il racconto dei soprusi e delle violenze verbali, mi si è accapponata la pelle a queste righe:
"Ora che posso fare? E’ vero che la storia di Purim ci insegna che anche una sola persona può cambiare le sorti della storia, ma io non sono la regina Esther e sono drammaticamente sola. Non uno, tra i miei colleghi, era in aula o in presidenza a dire che la libertà d’insegnamento è fuori discussione, che la libertà di parola è un bene assoluto da non potersi neanche mettere in discussione. Non uno tra i miei colleghi mi ha teso la mano, non uno tra i miei colleghi ha strappato uno dei manifesti con sopra il mio nome. Lo so che dovrei continuare a lottare, ma ho due figli e uno è troppo piccolo. Hanno vinto gli autonomi, io lascio".
Ora, io capisco che dovremo pure appassionarci a questa storia del partito unico e altre amenità politiche da tardo impero berlusconiano, però dovremo davvero inventarci qualcosa per far pressione, per essere più presenti, per rispondere a questa violenza sottile che, se non fermata in tempo, ci riporta direttamente qui.