I limoni spuntano sempre dalle parti di Napoli e Sorrento, come raccontava Goethe nel poema Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, anche se le cronache dello scorso anno sui media tedeschi si sono più prosaicamente soffermate sulla spazzatura accumulatasi attorno alle bellezze del golfo partenopeo. Così, prendendo spunto da quei versi che sono da oltre due secoli il refrain del legame che unisce Italia e Germania, gli ambasciatori dei due paesi, il “berlinese” Antonio Puri Purini e il “romano” Michael Steiner, hanno avuto gioco facile a snocciolare i fatti che confermano l’ottimo stato dei rapporti politici bilaterali, infondendo ottimismo anche per il futuro.
L’occasione è stata fornita da un dibattito tenutosi alla Max Libermann Haus di Berlino, organizzato dalla fondazione Brandeburger Tor, proprio a due passi dalla storica porta simbolo di Berlino. Il titolo della tavola rotonda era allarmante e insisteva sul concetto di “estraniazione strisciante” che è un po’ il filone di discussione che il professor Enrico Rusconi ha lanciato un anno fa con un libro pubblicato dal Mulino, a più voci e a più opinioni non tutte coincidenti, frutto di un precedente convegno tenutosi a Trento.
Con alle spalle il successo del vertice bilaterale di Trieste, nel quale i due paesi hanno confermato e sviluppato una serie di prospettive comuni mettendo in sordina i punti di divisione, i due diplomatici hanno avuto vita facile nel raccontare come, proprio sul piano politico, che Rusconi considera l’anello debole del rapporto, Italia e Germania abbiano ormai superato le frizioni del 2003 (l’anno del “kapo” di Berlusconi e dell’annullamento della vacanza italiana di Schröder) e ritrovato unità di intenti e di azione. Il tema, tuttavia, resta caldo e lo stesso Rusconi, al quale è toccato il ruolo di simpatico guastafeste della serata, ha insistito sulla tesi che le relazioni tra i due paesi, a livello politico ma anche a livello accademico, siano scivolate in una sorta di cono d’ombra, vittime di una reciproca indifferenza che si nutre di superficialità e alimenta i pregiudizi.
Il discorso è complesso, si spinge agli anni d’oro della Prima Repubblica italiana e della Repubblica di Bonn, quando la comune marcia europea e i naturali e intensi rapporti fra partiti simili (la Dc e la Cdu nel campo moderato, l’Spd il Psi e il Pci nel campo di sinistra) favorivano colloqui frequenti e approfonditi, che sostanziavano una politica estera che filava su binari paralleli e facevano da corollario a scambi economici, accademici, culturali e artistici che non hanno avuto pari nel resto d’Europa. Quei tempi sono finiti, sostiene Rusconi, con la caduta del Muro di Berlino e con l’apertura di una nuova fase nella quale Italia e Germania hanno faticato a capirsi e a ritrovarsi. I nuovi interessi tedeschi, di una nazione naturalmente al centro di un continente allargato, e la crisi morale e di sistema dell’Italia con tangentopoli, la scomparsa dei partiti tradizionali e l’emergere di nuove realtà di difficile lettura all’estero, hanno fatto il resto.
Ma invece di continuare a studiarsi e parlarsi, i due mondi hanno cominciato a ignorarsi e a leggersi solo per luoghi comuni. Sono proseguiti intensi gli scambi economici, è rimasta forte l’attrazione culturale ma sul piano politico si è manifestata proprio quella “estraniazione strisciante”, un lento ma percettibile senso di distacco. Il problema è racchiuso nelle righe di apertura del libro di Rusconi: “Può un paese apparire simpatico, economicamente interessante, culturalmente affascinante e nello stesso tempo essere considerato scarsamente rilevante dal punto di vista politico?”.
La pubblicistica tedesca sembra dare ragione ai timori di Rusconi. Ancora qualche giorno fa, il quotidiano berlinese Tagesspiegel dedicava all’Italia un’intera pagina della sua sezione culturale, dal titolo poco equivocabile: “Bella ciao”. Un lungo racconto di colore sulle tappe di un disincanto che prescinde anche il giudizio sulla politica, anche se poi è sempre la politica che fa da sfondo. C’è l’Italia che entra prepotentemente in Germania con i suoi sapori e i suoi gusti, con le sue pizze e i suoi vini e con la rughetta presa a simbolo di un piacere esotico ormai rintracciabile in ogni supermercato della provincia tedesca. E allora ecco che il Belpaese perde la sua magia: che bisogno c’è di andare in Toscana se la Toscana la ritroviamo all’osteria sotto casa? Ma poi c’è la politica, i bei tempi andati del comunismo dal volto umano, una sorta di rivoluzione al sole che riscattava dalle delusioni del comunismo sovietico. Per finire a Berlusconi, verso il quale gli intellettuali tedeschi nutrono sospetti ormai non più recuperabili.
La fine della magia sembra così anche la parabola di una stagione politica e la malinconia con cui una buona fetta della sinistra tedesca rilegge oggi la propria innocenza perduta, la gioventù passata, le illusioni smarrite: una condizione esistenziale e sentimentale. E’ proprio qui che interviene Rusconi, mettendo per un attimo il dito nella piaga: “Di questo Berlusconi se ne è parlato tanto, ma nessuno, anche a livello accademico, si sforza di leggerne la complessità. A modo suo è un fenomeno molto interessante”. L’impressione è che ognuno legga quel sostantivo “fenomeno” con le proprie chiavi di lettura, dove le opinioni consolidate prevalgono sullo sforzo di capire.
E’ per questo che alla fine appare più lieve ritornare sul terreno diplomatico, dove gli interessi concreti e il realismo politico forniscono un terreno più solido. Non è tantissimo, ma è almeno un punto fermo dal quale poter ripartire.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 7 febbraio 2009)