Andrea Mancia pubblica sul suo blog un interessante articolo ripreso dal Weekly Standard sui movimenti sociali e politici nei sobborghi americani. L'analisi riprende la tesi di John Feehery sui rivoluzionari suburbani, gli abitanti dei sobborghi delusi nelle attese di miglioramenti riposte nella nuova amministrazione e pronti alla rivoluzione più ovvia in tempi moderni: cambiare voto. La tesi si riferisce agli Stati Uniti di oggi, prende le mosse da una lunga premessa storica che parte addirittura dagli antichi romani, attraversa i cambiamenti urbani dell'America del Novecento e giunge fino ai giorni nostri per spiegare le difficoltà che incontra Barack Obama. Gary Andres, l'autore dell'articolo per il magazine, spinge l'analisi ancor più sul piano politico. Entrambi entrano nel dettaglio della perdita di valore delle aree suburbane, del deterioramento delle infrastrutture e delle scuole, dell'aumento della criminalità e della difficoltà dei ceti che le abitano di far fronte alla crisi economica e sociale di cui sono vittime. Anche al netto della linea ideologica filo-repubblicana del Weekly Standard, la tesi è suggestiva e può spiegare perché Obama e i democratici rischino seriamente di perdere le prossime elezioni di mid-term.
Ma la tesi è interessante perché può essere utilizzata per spiegare altre delusioni e altre "rivoluzioni suburbane" in nazioni diverse dall'America. Anche in Europa. «Secondo alcuni storici - traduce Mancia il pensiero di Feehery - la Rivoluzione francese non fu causata dalla povertà o dall'ideologia, ma dal collasso di aspettative eccessive. Quando ti aspetti che le cose possano andare meglio, ma improvvisamente iniziano ad andare peggio, ecco che scatta la rivoluzione». La struttura urbanistica e sociale europea non è esattamente la riproduzione di quella americana. Specie nelle realtà dell'Europa del sud permane forte quella rete di solidarietà familiare che supporta le debolezze del welfare in tempi di crisi, aggiungendoci magari un po' di calore affettivo. Tuttavia non sono neppure troppo marcate le differenze, specie se ci si riferisce ai grandi agglomerati urbani. Pensate alle periferie di Parigi, Londra, Berlino, Stoccolma, Milano ma anche Madrid, Roma, Varsavia, Atene, Bruxelles, Amsterdam e via dicendo. E pensate alla delusione rispetto alle grandi aspettative suscitate, ad esempio, da Nicolas Sarkozy: la rupture, il cambiamento, la palingenesi della società francese. O al crollo di gradimento (in pochi mesi) del governo tedesco liberal-conservatore di Angela Merkel. O al fatto che, nella lunga e infinita transizione italiana post-tangentopoli, non una volta il governo uscente è stato sinora riconfermato alle elezioni successive: Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Prodi, Berlusconi.
Una verità è che governare è diventato difficile, a ogni livello e a ogni latitudine. Facile non lo è stato mai, ma le società di oggi sono diventate estremamente frammentate in interessi frastagliati e contrastanti, faticosi se non impossibili da ricondurre a un progetto comune che soddisfi tutti in un giusto equilibrio di compromesso. In più le campagne elettorali costruite con i nuovi strumenti di comunicazione bucano il muro di indifferenza degli elettori ma tendono a moltiplicare le promesse e le aspettative, creando quasi inevitabilmente le premesse della disillusione. È la condanna perversa della politica-spettacolo e della democrazia mediatica che ha soppiantato l’era delle ideologie sostituendo lo slogan al mito: entrambi però non reggono la prova della realtà. Ma è anche la debolezza della politica, dalla quale si pretende la soluzione di tutto proprio nel momento in cui gli strumenti di cui dispone si sono ridotti. La suburban revolution è un'utile traccia per leggere il malessere della politica dei nostri tempi.