domenica, dicembre 07, 2008

In giro per l'Europa

Da domani si va un po' in giro per l'Europa. Un mese come un flipper, Italia, Austria, Slovacchia, di nuovo Italia, giù nel Finisterrae, nell'angolo che guarda ai Balcani. Il rientro a Berlino è previsto per la metà di gennaio, giorno più giorno meno. I post nelle prossime settimane saranno più rari, ma non mancheranno. Per il prossimo anno sono previste molte novità. Non staccate la spina da Walking Class. Per ora, un arrivederci a Berlino. (fotowalkingclass).

venerdì, dicembre 05, 2008

Davide contro Golia all'Allianz Arena

(Allianz Arena, fotowalkingclass)

Risultato finale: Bayern München - Hoffenheim 2-1
[reti: Ibisevic (H), Lahm (B), Toni (B)].
Grande partita, Bayern fortunato, vince al 92' minuto grazie ad uno svarione della difesa dell'Hoffenheim di cui approfitta Luca Toni, tornato a buoni livelli. Squadre appaiate in testa alla classifica. Il Bayern mostra la sua grande esperienza, l'Hoffenheim dà l'idea di poter arrivare sino in fondo. Per una volta, calcio tedesco a grandi livelli.

Manca ormai poco alla sfida dell'anno fra Davide e Golia. Fra Hoffenheim e Bayern München. In foto l'Allianz Arena, lo splendido stadio bavarese che questa sera si accenderà di rosso, come tradizione quando in casa gioca il Bayern. Il blu è riservato al Tsv 1860 München, che oggi milita in seconda divisione. Ma oggi questa foto ricorda i colori dell'Hoffenheim, la matricola terribile che guida la classifica e fa sognare i suoi tifosi. Davide e Golia, per la tradizione e il blasone delle due squadre. Ma per il gioco finora espresso e per la solidità finanziaria delle due società, non si sa davvero chi sia oggi Davide, e chi Golia. 

Staufen, l'ecologia e il ritorno di Faust

L’idea era pure suggestiva. Dotare il municipio di un sistema di riscaldamento ecologico, a buon mercato, in grado di rispettare quelle norme sull’ambiente cui i tedeschi tengono più di ogni altra cosa. Per il borgomastro una bella figura e un utile risparmio da mettere in bilancio. Senonché le cose sono andate diversamente e ora Michael Benitz, sindaco di Staufen, una piccolo paesino di ottomila anime ai bordi della Foresta Nera nella regione del Baden-Württemberg, deve vedersela con i suoi concittadini inviperiti, con il loro avvocato e con le crepe che si insinuano per tutto il centro storico, palazzo municipale compreso.

L’idea era stata quella di utilizzare il riscaldamento geotermico, sfruttando la riserva di calorie accumulate dalla terra attraverso sensori interrati e reti di serpentine che si inseguono nel sottosuolo. In Germania il sistema viene adottato da molti privati e Benitz aveva avuto la geniale idea di utilizzarlo per l’edificio pubblico per eccellenza, il Rathaus, come un fantastico e futuristico esempio di virtù pubblica.

Chi si avventura oggi fra le guglie e le casette che sembrano fatte di marzapane di Staufen, si trova però di fronte a uno spettacolo desolante. Le crepe si stanno mangiando i palazzi e le abitazioni dalle belle facciate color pastello. Si insinuano lungo l’acciottolato di sanpietrini, aggrediscono muri e tetti, s’infilano persino dentro le stanze del sindaco e s’ingrossano giorno dopo giorno. Dal sottosuolo non giunge solo il calore sperato ma anche un sordido movimento sussultorio che minaccia di ridurre in briciole uno dei centri storici sotto tutela della Germania. “Una catastrofe”, come ammette ora lo stesso improvvido borgomastro.

La colpa sembra proprio del complesso sistema di sensori piazzato sottoterra per dare corpo al progetto. L’acqua sarebbe filtrata nel terreno mescolandosi al materiale calcareo di cui è ricco il sottosuolo. Un complesso meccanismo di combinazioni chimiche avrebbe creato una sorta di matassa di gesso che, aumentando del 60 per cento il proprio volume, sta premendo verso la superficie, sgretolando tutto quello che incontra. Secondo accertamenti delle autorità competenti sono al momento 129 le case del nucleo storico interessate dal fenomeno, tutte facenti parte della zona sotto tutela artistica.

La polemica è divampata furiosa. I cittadini si sono affidati a un avvocato e chiedono che il Comune risarcisca i costi delle riparazioni, nella speranza che il fenomeno possa rimanere circoscritto alle crepe. Si tratta di diversi milioni di euro. Il sindaco, per ora, non ne vuol sapere. Guarda sconsolato le crepe che si aprono nel suo ufficio, sale con accortezza le scale di pietra del Rathaus attento a non inciampare negli smottamenti, ma ribatte di voler attendere la fine delle ricerche affidate agli esperti dell’Università di Stoccarda e le conclusioni del tribunale di Friburgo. Il territorio era un tempo soggetto a smottamenti sismici ma nessuno ricorda più un terremoto, almeno a memoria d’uomo. La gara allo scaricabarile coinvolge anche l’azienda cui sono stati affidati i lavori. Si tratta di un’impresa austriaca: li avesse svolti un’azienda di qui, sostengono i cittadini, avrebbero tenuto conto delle particolari condizioni del terreno. Ma gli austriaci costavano meno.

Difficile comunque non lasciarsi tentare, in questo caso, dalla forza della suggestione e dal richiamo della leggenda. Nel 1539, quasi 470 anni fa, proprio a Staufen il diavolo avrebbe chiesto al Dottor Faust di rendergli conto del patto stretto qualche tempo prima per accedere a conoscenze proibite. Oggi tocca al povero borgomastro Benitz rendere conto, ancora una volta, di aver voluto sfidare le leggi della natura. Questa volta vendendo l’anima alla moda dell’ecologia.

(pubblicato su il Giornale del 5 dicembre 2008)

giovedì, dicembre 04, 2008

La nuova Berlino e il castello di Franco Stella

(Il Palast der Republik nel 2004: qui verrà ricostruito il Castello; fotowalkingclass)

Dopo la Potsdamer Platz ridisegnata da Renzo Piano, sarà dunque un altro architetto italiano a ricostruire un pezzo della Berlino che fu. Questa volta tocca a Franco Stella, vicentino, al quale una giuria composta da architetti e politici tedeschi ha affidato, la scorsa settimana, il compito di rimettere in piedi il vecchio castello degli Hohenzoellern, al centro della città, nello spazio compreso fra il Duomo, l’Altes Museum di Schinkel, il fiume Sprea e la Unter den Linden, il grande viale berlinese che ricorda i Campi Elisi parigini e che corre dalla Porta di Brandeburgo verso questo immenso piazzale oggi vuoto.

Si tratta del cuore storico della capitale, l’ennesimo vuoto apertosi dopo le tante ferite del Novecento che segnano la storia e l’urbanistica di Berlino. Ed è un riconoscimento alla creatività e alla progettualità italiana da parte di una città divenuta il laboratorio urbanistico della nuova Europa. Il progetto di Stella deve aver messo tutti d’accordo, ponendo fine a una polemica infinita che si trascinava avanti da quasi venti anni, quando il facoltoso commerciante amburghese Wilhelm von Boddien si fece promotore dell’idea, allora considerata poco più di una boutade, di rimettere in piedi il castello dei principi e dei Kaiser, abbattuto dopo cinque secoli di onorata carriera dalle ruspe del regime comunista.

Danneggiato dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, lo Stadtschloss, il “castello di città” – questa la sua esatta denominazione – rimase intrappolato nel settore sovietico della Berlino divisa. Poteva essere restaurato ma venne invece completamente raso al suolo nel 1951, tra le proteste della comunità internazionale, in nome della nuova urbanistica real-socialista. Sebbene già dopo la rivoluzione del 1918 non fosse più residenza del Kaiser, il castello andava abbattuto perché l’aristocrazia prussiana degli Hohenzollern ricordava il tragico passato imperialista e guerrafondaio. Le cariche di esplosivo fecero giustizia di quelle meste mura, lasciando spazio ai metri cubi di cemento della nuova era comunista.

Sulle macerie di un tempo che andava cancellato venne innalzato il nuovo Palazzo della Repubblica, squadrato esempio del razionalismo socialista, per quarant’anni sede dei congressi unanimi del parlamento, di concerti, di appuntamenti culturali, di feste e balli popolari, cui venivano invitati funzionari e burocrati di partito, sindacalisti ossequiosi, eroi del lavoro, cittadini meritevoli. Questo nelle sale interne. Fuori, sul vasto piazzale, sfilavano le figurine classiche del regime, i soldati e i loro carri armati, i lavoratori delle industrie pesanti, le giovani fanciulle con le messi dorate raccolte dai campi, i giovanissimi con il fazzoletto azzurro dell’associazione giovanile di partito al collo, la Freie Deutsche Jugend, forgiata sul modello della tanto vituperata Hitlerjugend. Il Primo Maggio, la festa della Repubblica popolare, le parate militari davanti agli ospiti del Patto di Varsavia, gli anniversari della Rivoluzione d’ottobre: tutto il calendario celebrativo dell’universo comunista. Su quella piazza, di fronte a quel palazzo, si consumò anche l’ultimo atto della Ddr, con Gorbaciov e Honecker che salutavano senza guardarsi i soldati che sfilavano in occasione dei quarant’anni della Germania est, a pochi giorni dalla caduta del Muro e mentre i contestatori premevano sui cordoni di sicurezza della Volkspolizei.

Dunque, per il sogno di von Boddien c’era un ostacolo: il Palazzo della Repubblica. A suo modo un altro pezzo di storia, memoria contro memoria in una città che dopo la riunificazione stava cancellando i simboli dell’ennesimo regime appena caduto: forse con troppa fretta e con un po’ di arroganza, come avrebbe dimostrato l’inatteso fenomeno della Ostalgie. Tra le indecisioni e i litigi della politica, i veti incrociati del Senato della città e del governo federale, fu il Palazzo stesso a fornire la soluzione, sprigionando dalle sue giunture il veleno dell’amianto che lo condannò all’abbattimento sicuro. Nel frattempo i fautori della ricostruzione si erano organizzati in fondazione, al commerciante anseatico non mancavano spirito d’iniziativa e gusto dell’avventura. Nel 1993 trenta artisti parigini guidati da Catherine Feff dipinsero su un enorme telone di plastica il castello così come era e come lo avrebbe voluto ricostruire von Boddien: fu uno straordinario colpo d’occhio e da quel momento la boutade divenne progetto concreto.
Può sembrare strano che in una città così tumultuosa come Berlino le decisioni vengano prese con così tanta lentezza, ma le polemiche sono un po’ il sale di questa nuova capitale europea. Così ci sono voluti altri quattordici anni perché il governo avocasse a sé la decisione, trovasse i finanziamenti e desse il via al progetto. 

Ora, dunque, tocca ancora una volta a un italiano. Franco Stella dovrà abbandonare per un po’ di tempo i suoi corsi di progettazione architettonica all’Università di Genova e tuffarsi a capofitto nella realizzazione dell’opera. Non si tratterà però di un vero e proprio castello perché i tempi non sono più quelli delle fiabe, dei principi e delle dame di corte. Le indicazioni del Bundestag sono precise: la struttura sarà un grande contenitore culturale, divisa in spazi ampi e moderni e solo tre delle quattro facciate replicheranno perfettamente il castello così come era. La quarta, quella che si affaccia sul lungofiume, è stata lasciata alla libera interpretazione dell’architetto e Stella sembra essersi ispirato al palazzo della Civiltà del Lavoro dell’Eur, a Roma, sviluppando la successione di archi in orizzontale invece che in verticale. Un bel colpo d’occhio. 

Il complesso si chiamerà Humboldt-Forum e verrà affidato alle cure della omonima e vicina università. Stella si prepara a riempire i quarantamila metri quadrati dell’area. Fuori dalla sala della giuria che gli ha consegnato un premio di 100mila euro si sprecano i commenti positivi di politici e architetti: “Un progetto perfetto e geniale, un compromesso fantastico di antico e moderno”. Era dai tempi di Renzo Piano che un italiano non veniva avvolto da tanto entusiasmo qui a Berlino. Domenica scorsa è calato l’ultimo colpo di piccone sui resti del Palazzo di Honecker. Il castello della cultura di Stella sarà pronto nel 2013.

(pubblicato sul Secolo d'Italia del 4 dicembre 2008)

mercoledì, dicembre 03, 2008

Ci facciamo sempre riconoscere

Hertha-Galatasaray è finita 0-1. Atmosfera straordinaria all'Olympiastadion, fa sempre effetto vedere uno stadio così grande pieno come un uovo. Turca la curva ospite, turca la tribuna laterale (tribuna Tevere la chiamerebbero a Roma) e mista - multikulti? - quella centrale (insomma, la Montemario). Berlinesi stretti e gagliardi nella Ostkurve, in minoranza. Neve sciolta e terreno di gioco - avrebbe detto Enrico Ameri - in precarie condizioni. Primo tempo così e così, secondo tempo bello e arrembante, da un lato e dall'altro. Peggiore in campo? Vi avevo detto che l'arbitro era italiano? Il Galatasaray ha segnato su rigore dell'ottimo Barros, nazionale della Repubblica Ceca. Peccato che il penalty fosse regalato. Venti minuti dopo, identica situazione in area turca, ma il rigore non è stato fischiato. Fosse solo questo, fosse solo un errore di valutazione, pazienza. Se il calcio italiano resta di alto livello (a livello di club, di gran lunga superiore sia a quello tedesco che a quello turco), a noi tutti è invece nota la crisi in cui versa il settore arbitrale. Crisi di qualità. Pazienza. Nel giornalismo è lo stesso, non tirerò la prima pietra. Il problema è che il signor Rizzoli ha arbitrato con arroganza, non parlava con i giocatori (cosa che qui accade sempre, gli arbitri hanno un atteggiamento aperto con i calciatori) e faceva con la manina "sciò, via" come si fa con i mocciosi fastidiosi. Le polemiche del dopo partita sono tutte sulla suppnenza dell'arbitro. Perché gli errori ci stanno. La maleducazione no.

Italienisch für Ausländer: Ilaria Party

di Massimo Gramellini (da La Stampa)
Fu nella drammatica notte del 2 dicembre 2008 che il consiglio di amministrazione di Sky prese l’unica decisione in grado di garantirgli la sopravvivenza: fondare un partito politico. Ilaria Party, dal nome dell’on. D’Amico, candidata al ministero della Difesa e Contropiede. «L’Italia è il Paese che amo», disse il presidente Murdoch doppiato dal telecronista Caressa, ispirandosi a un format di successo degli Anni 90 di cui aveva comprato i diritti.

Il programma fu redatto da una squadra di esperti guidata da Vialli e Topolino (in quota Disney Channel): 1. lotta all’ultima parabola contro il regime berluscomunista; 2. più partite di calcio e film a luci rosse per tutti, anche gratis e a mezzogiorno; 3. inaugurazione dell’Albinoleffe Channel (per sottrarre voti alla Lega); 4. riduzione dell’Iva sulla pay-tv allo 0,1%, pagabile in comode rate quarantennali. Un documento riservato suggeriva di concentrare gli sforzi soprattutto sul punto numero 4. 

Essendo le frequenze di destra tutte occupate, l’Ilaria Party decise di schierarsi a sinistra, dove il segnale era debole, praticamente assente. Ottenne il sì di Rifondazione in cambio di un canale dedicato alle interviste di Gianni Minà, mentre per convincere Veltroni bastò garantirgli le repliche di “Giovanna, la nonna del corsaro nero” su Sky Classic. L’unico a tenere duro fu D’Alema: «Lo dissi nell’autunno del 1993 e lo ripeto oggi: in Italia non può succedere che il padrone di una tv riesca a fondare un partito». 

NOTA. Tranne l’ultima frase, il testo è frutto della fantasia dell’autore.

Mamma li turchi: l'Hertha in trasferta a Berlino

(Kebab Imbiss, Berlin-Schöneberg, fotowalkingclass)

Nevica di brutto, ma l'Olympiastadion potrebbe registrare il tutto esaurito, questa sera, per l'incontro di Coppa Uefa Hertha-Galatasaray. Potrebbe. Perché nei chioschi autorizzati alla vendita dei biglietti, compare ancora un cartello: "Noch Karten übrig, Ostkurve, Hertha-Fan Block". Insomma, se qualche ritardatario ci ripensa, qualche biglietto nella curva dei tifosi dell'Hertha lo può ancora rimediare. Nell'altra curva, quella dei tifosi turchi, non c'è posto neppure per uno spillo. Da giorni.

Hertha-Galatasaray, Berlino-Istanbul, è il vero derby d'Europa. Derby fratricida fra due tifoserie abituate a vivere ogni giorno gomito a gomito nella capitale tedesca, di fatto la terza città turca più grande del Continente dopo Istanbul e Ankara. La comunità turca è in fibrillazione e lo spirito nazionalista che spesso si amplifica quando si vive all'estero, fa superare i campanili locali: non tutti i turchi, ovviamente, tifano per il Galatasaray (solo a Istanbul, Fenerbahce e Besiktas sono squadre concorrenti) ma tutti i turchi, tutti i turchi di Berlino questa sera saranno dalla parte del Galatasaray (giusto per complicare gli intrecci, allenato dal tedesco Michael Skibbe). I bianco-blù locali giocheranno dunque in trasferta, tra gli spalti del proprio stadio. Nove anni fa le due squadre si incontrarono in Champions League, e i turchi misero a segno un cappotto memorabile: 4-1. Oggi l'Hertha è un po' più in salute di allora, in campionato viaggia al terzo posto dietro Hoffenheim e Bayern Monaco, ma il calore dei "concittadini turchi", la bolgia infernale che scateneranno questa sera all'Olympiastadion è capace di sciogliere anche la neve che in queste ore cade copiosa. In uno stadio che può ospitare poco più di 70mila spettatori, i tifosi turchi sono attesi in 40mila.

Per chi è in Germania o ha il satellite (ed è interessato) diretta ARD dalle 20.15. A proposito: arbitra l'italiano Rizzoli, assistenti Stefani e De Santis, in bocca al lupo. Per chi è a Berlino e non ha rimediato un biglietto, potrei consigliarvi di andare in qualche Imbiss turco tra Kreuzberg e Schöneberg. In fondo: italiani turchi, una faccia una razza. Anche se qui si tifa per l'Hertha.

India: le conseguenze sono ancor più terrificanti

(Delhi, Chadni Chowk, foto Franco Oliva)

di Rasheeda Bhagat
Even as we, the citizens of India, resolve never to forget the bloody and petrifying 59-hour siege on Mumbai and take a pledge to compel those responsible for our security — not only politicians but also our intelligence agencies and others who have been lax in guarding our borders, such as the Coast Guard, and probably even the Indian Navy — what is going to be much more important is our response to the post-Mumbai events. In the anger, all of it justified, and the jingoism, not all justified because clearly diverse agendas are being pushed here, that follows the Mumbai carnage, one wrong step can end up doing much more harm than good [... continua su The Indu Business Line].

martedì, dicembre 02, 2008

Vintage: Hoffenheim, il villaggio della serie A

(Un tifoso dell'Hoffenheim, foto ripresa dal sito spox.com)

Ora che mancano pochi giorni alla supersfida della Bundesliga fra Bayern Monaco e Hoffenheim, ripropongo questo articolo della scorsa primavera, quando la squadra del villaggio sbarcò nella prima divisione tra la sorpresa generale. L'articolo faceva parte della rubrica Alexanderplatz, che per molti mesi è stata la finestra sulla Germania e sull'Europa orientale della rivista online Ideazione. Oggi che l'Hoffenheim arriva sulle pagine dei giornali italiani, non è male dare un'occhiata a quando è iniziata la sua favola.

C’è la comunità evangelica, duecento anime fra bimbi e genitori, che si riunisce in preghiera due volte alla domenica, alle dieci del mattino e alle sei della sera, nella piccola chiesetta al numero 6 della Sinsheimer Strasse. Una scalinata, il corpo antico della chiesa con l’interno invece bianco di calce e al soffitto le travi di legno, un campanile. Il pastore Thomas Bock è uno smilzo signore, alto e stempiato, che sembra l’immagine classica del curatore d’anime protestanti. Non fosse per le lenti vezzose con la montatura leggera che tradiscono una certa accondiscendenza ai tempi moderni, padre Bock potrebbe essere appena uscito da una vecchia stampa del Seicento fiammingo. Invece siamo a Hoffenheim, Germania profonda, e in pieno inizio di Ventunesimo secolo. Pochi chilometri dalla cittadina di Sinsheim, una ventina dalla più famosa Heidelberg, nel ricco Land del Baden-Wüttemberg. Una macchia urbana in mezzo alla foresta, un pugno di case e un dedalo di strade all’interno delle quali dormono, mangiano, lavorano e si spostano poco più di tremila abitanti. Per la precisione: tremila e duecento.

Più una trentina di sportivi. Per l’esattezza calciatori, fra titolari, riserve, rincalzi e uomini del settore tecnico. Sono gli eroi del 1899 Tsg Hoffenheim, compagine fondata nell’ultimo giro di calendario del Diciannovesimo secolo e ancora tre anni fa sprofondata nella serie dei dilettanti. Da domenica scorsa, l’Hoffenheim è nella prima serie della Bundesliga, la nostra serie A. Una favola che replica e amplifica quella italiana del Castel di Sangro, squadra abruzzese dall’equivoca composizione societaria che alcuni anni fa approdò in serie B. Qui ad Hoffenheim, la società è invece limpida come l’entusiasmo dei suoi sparuti ma invidiatissimi tifosi. Assieme ai giocatori, l’artefice del miracolo è il signor Dietmar Hopp, imprenditore del software, tra i fondatori della Sap, una delle aziende mondiali più importanti del settore con sede a Walldorf e laboratori sparsi in tutto il globo, dalla Cina agli Stati Uniti, dal Canada a Israele e l’India.

Ma il cuore di Dietmar Hopp batte in questo villaggio del Baden-Wüttemberg, per la squadra nelle cui fila tirò da giovane qualche calcio al pallone. Lo stadio che contiene più spettatori degli abitanti di Hoffenheim e che porta il suo nome, domenica era zeppo come un uovo: 5mila tifosi impazziti di gioia per la vittoria che ha regalato la storica promozione. E il paese c’era tutto, compreso il pastore Thomas Bock e la sua comunità di fedeli, più qualche rinforzo accorso dai dintorni e un intero plotone di giornalisti. La squadra non si è risparmiata, bastava un punto, ha travolto gli avversari del Führt per 5 a 0. E poi doccia di birra per tutti, dai boccali grandi un litro, come nella tradizione delle vittorie calcistiche tedesche.

Il sito internet della società proietta le foto del nuovo stadio in costruzione: per i sogni di grandeur di Hopp non possono bastare 5mila posti a sedere e i lavori proseguono a ritmo serrato. Il progetto è bello e l’inaugurazione è prevista per il 2009. E per la squadra, niente paura. L’allenatore, Ralf Rangnick, è uomo esperto: ha guidato in passato Schalke e Stoccarda. I giocatori sono stati messi insieme con una strategia di lungo respiro. Dal 2005 grandi investimenti nel vivaio, crescita costante delle speranze locali più promettenti e saggio inserimento di elementi di maggiore classe ed esperienza. Ne è venuta fuori una squadra compatta e giovane che potrà solo crescere, magari con qualche innesto appropriato in più. La favola di Hoffenheim è destinata a proseguire, a non essere una meteora. Il patron lo ha promesso a fine partita. E’ un uomo dalle emozioni forti. Ma forte, fortissimo è il suo portafoglio. E intelligente la sua strategia. Una nuova stella è nata nel firmamento della Bundesliga. Ne sentiremo parlare a lungo.

A Stoccarda la Merkel si riprende il partito

(diretta Phoenix del Cdu Parteitag di Stoccarda)

Non c’è nulla di meglio dell’arena di un congresso quando si è per la prima volta sulla graticola delle critiche. Quando la crisi economica impone sfide straordinarie. Quando i giornali influenti d’Europa smettono di esaltarti e si chiedono cosa ti stia accadendo. Quando l’insicurezza e i dubbi s’insinuanno nelle fila del tuo stesso partito, fra i militanti, e alimentano la fronda dell’opposizione interna. Quando la stampa del tuo paese pensa di scoprire che il re è nudo, anzi la regina: Merkel scoraggiata, il crepuscolo della Merkel, Merkel cercasi urgentemente. In successione sono titoli dello Spiegel, della Zeit e della Süddeutsche Zeitung. Allora non c’è nulla di meglio dell’arena di un congresso, del tuo congresso. Delegati stretti in fila dietro i banconi, il gotha della Cdu a fianco sul tavolo della presidenza, i giornalisti scettici raccolti nello spazio stampa, le telecamere collegate in diretta con le tv all-news. E dietro quelle telecamere, l’intero paese.

E’ allora che tiri fuori la grinta che ti accusano d’aver perso. In quel momento lasci da parte lo spartito ordinario, guardi diritto negli occhi i militanti e il paese e provi a sparigliare le carte. Angela Merkel ci è riuscita, nel discorso che ieri ha aperto il Parteitag della Cdu-Csu a Stoccarda, mescolando fermezza e aperture. Dopo settimane di appannamento, la cancelliera è tornata sulla scena con un discorso duro ed efficace, ma soprattutto sentito e vibrante. Non sono corde caratteristiche del suo stile. La cancelliera ama i toni soffusi, l’approccio diplomatico, la retorica piatta e descrittiva. Ma ieri, con gli occhi dei delegati puntati addosso, ha tirato fuori quello che le si chiedeva: il sentimento. E così ha ricompattato il partito, ottenendo la riconferma alla guida con oltre il 94 per cento dei voti, quasi due punti percentuali in più del plebiscito ottenuto due anni fa. Segreteria confermata e rafforzata, ma i contrasti rimangono.

La contesa con i contestatori, che sembrano aver trovato nel liberista Merz il proprio alfiere, verte su una delle misure da prendere per allentare la crisi, soprattutto quella che attanaglia il ceto medio, bacino elettorale del centrodestra: il taglio delle tasse. La Merkel non vuole sentirne parlare, almeno fino alla fine della legislatura. Ma una parte del partito pensa che sia la soluzione giusta per sostenere i consumi ed evitare che la spirale depressiva ingolfi i motori del commercio e dell’industria, più di quanto sia già lecito temere. La cancelliera promette una più vasta riforma del sistema tributario dopo le elezioni del prossimo settembre e intende farne un cavallo di battaglia della campagna elettorale: teme che un taglio una tantum non servirà a lenire i disagi e possa pregiudicare gli equilibri di bilancio. I cristiano-sociali bavaresi puntano i piedi e temono invece che nella prossima legislatura possa essere troppo tardi.

Le inquietudini legate alla crisi si moltiplicano a seconda delle sensibilità regionali, così forti nei partiti tedeschi che replicano anche a livello organizzativo la struttura federale dello Stato. Così dai Länder che ospitano le grandi case automobilistiche giungono stimoli a intervenire con sostegni economici per salvare le industrie e i posti di lavoro, da quelli che puntano sui macchinari arriva la richiesta di non lesinare denaro per gli investimenti. Da quelli più poveri dell’est (Berlino compresa) giungono proposte per irrobustire i sussidi di disoccupazione. Una coperta sempre troppo corta per le esigenze di una società divenuta estremamente frastagliata. E il governo deve provare a farsi carico di tutto, cercando tuttavia di non disperdere in mille rivoli gli interventi possibili.

La Merkel è costretta a  fare il parafulmine. All’accusa di aver dato soldi alle banche, negandoli alle famiglie, la cancelliera ribatte fiera: sostenendo le banche abbiamo difeso i risparmi dei cittadini. Ma non basta, quando la crisi si trasforma in un buco nero che inghiotte il futuro, non basta neppure mettere in fila i successi fin qui ottenuti. Ora la Merkel sembra averlo capito. Sul punto delicato del taglio delle tasse offre anche una velata apertura: il governo monitora quotidianamente la situazione e se ci saranno motivi gravi per intervenire, lo farà tempestivamente e senza escludere qualsiasi opzione. La via maestra resta quella della riforma nella nuova legislatura ma in quel “qualsiasi opzione” c’è il compromesso trovato con gli oppositori in questo difficile congresso.

Se la cancelliera sarà riuscita oltre a ricompattare il partito anche a convincerlo, si vedrà nelle prossime battute. Di certo i delegati hanno seguito col fiato sospeso il suo discorso sull’economia, ma il primo applauso è partito solo quando la Merkel ha affrontato gli argomenti più squisitamente politici, attaccando gli alleati attuali della Grosse Koalition (l’Spd) che saranno i principali avversari della campagna elettorale e la Linke. Lì ha avuto gioco facile, mettendo in evidenza le contraddizioni dei socialdemocratici e paventando il pericolo di un governo con gli ex-comunisti, che la cancelliera considera una catastrofe per il futuro del paese.

Anche la Cdu ha però i suoi problemi. La piattaforma sociale, su cui la cancelliera ha portato quasi tutto il partito, lascia scoperta a destra l’area più tradizionalista e quella liberista. E la conquista del centro, anche di molti elettori socialdemocratici delusi dal proprio partito e rassicurati dal moderatismo della nuova Cdu, viene pagata con la disaffezione degli ambienti imprenditoriali. E’ qui che Merz ha trovato lo spazio per ritagliarsi un chiaro ruolo di oppositore al di là della votazione finale.

Poi c’è l’incognita dei Freie Wähler, le liste civiche che cavalcano lo scontento per la politica tradizionale e le sensibilità locali. In Baviera hanno dimostrato di poter essere una spina nel fianco della Cdu e i suoi sparpagliati leader promettono di rinsaldare le fila per tentare lo sbarco a livello federale: il vento del populismo spira in tutta Europa e può invadere anche la Germania. Ecco perché il congresso di Stoccarda è un passaggio importante. Ora la Cdu può presentarsi come l’unica grande forza che, nonostante i contrasti interni, è capace di rappresentare un punto di aggregazione rispetto a un panorama partitico che si frantuma. Una boa sicura alla quale aggrapparsi anche al tempo della crisi.

(pubblicato sul Secolo d'Italia del 2 dicembre 2008)

Contrordine compagni (rumeni)

(Oradea, statua di Matteo Corvino, fotowalkingclass)

La notte porta scompiglio. Non cambia la forma, cambia la sostanza. La forma: la Romania è proprio come l'Italia, cioè gli exit poll giocano brutti scherzi. La sostanza: i socialisti si svegliano l'indomani senza la vittoria annunciata (anche se la formazione del governo sarebbe stata comunque difficile). Quando alle domande si sono sostituite le schede, il quadro è cambiato, le distanze tra socialisti e conservatori si sono riavvicinate e gli equilibri potrebbero riportare al governo il centrodestra. La chiave del nuovo esecutivo è infatti in mano ai liberali del Pnl che con il loro 18 per cento decideranno le nuove alleanze. A sinistra Pds e Pc si sono attestati al 33 per cento, appena mezzo punto avanti ai conservatori del Pd-l (il trattino non è un errore). Rispetto ai larghi dati della sera precedente, si deve parlare di un testa a testa. E il confronto con la tornata precedente ora addirittura penalizza la sinistra. La delusione del suo leader Mircea Geoana, è palpabile, anche perché gli exit poll seguivano una sgriscia di sondaggi tutta favorevole al suo partito.

Nella legislatura uscente, liberali e conservatori hanno governato assieme, per poi dividersi alle elezioni. La cosa più probabile ora è che tornino assieme: divisi hanno preso ancora più voti. Ora il pallino passa nelle mani del presidente della Repubblica Badescu, che avrà sessanta giorni per sbrogliare la matassa, incaricando il premier in pectore che dovrà avviare le trattative. Tariceanu, leader dei liberali, spera tocchi ancora a lui. La costituzione stabilisce modi e tempi: sessanta giorni e due tentativi. Se lo stallo permane si torna al voto. Potrebbe quindi fermarsi il pendolo della politica rumena dopo anni di continue alternanze, questa volta a destra. Se questo significherà anche stabilità e progresso, saranno i prossimi mesi a dircelo. Approfondimento da: Faz, Nine o' clock, The Right Nation.

lunedì, dicembre 01, 2008

Dämmerung

Prima i georgiani tolgono le spine dalla rivoluzione delle rose, meglio è, per loro e per noi.

Advent, Advent, ein Lichtlein brennt

KaDeWe, allestimento natalizio (fotowalkingclass)

Un problema (anche) di lettori

Nei giorni passati, e in diverse occasioni, mi è capitato con amici - e qualche collega - italiano che vive in Germania di discutere del livello dell'informazione giornalistica nel nostro paese. Hai voglia a prendertela con direttori, capiredattori, redazioni e mediocrità varie. Date un'occhiata alla classifica degli articoli più letti sul sito del Corriere della Sera e capirete da dove parte la spirale. Che poi ci voglia qualche direttore di senso e di coraggio capace di interromperla, è un discorso che viene appena un passo dopo. Ogni paese ha l'informazione che si merita. Questa la classifica di oggi:

1 - Ragazze disponibili e spalmate di sedativi per derubare ricchi e ignari stranieri
2 - Sky, in campo Ilaria e le altre star «Colpita la tv delle famiglie»
3 - Calcio: gli 11 con la peggiore capigliatura
4 - Craxi, Veltroni e le liti nel Pd Show di D'Alema da Crozza
5 - Neve al nord, disagi al traffico A Venezia una marea da record
6 - Palermo, a 82 anni prende il viagra La moglie impaurita chiama la polizia
7 - Grillo compra casa a Lugano «Sono preoccupato per il blog»
8 - Tassa Sky, Veltroni attacca Berlusconi
9 - Spot di Sky contro il raddoppio dell'Iva
10- Accoltella il marito e uccide la figlia.

Le notizie in primo piano, invece, erano queste:
ESTERI. Obama: «Lotta al terrorismo, è tempo per un nuovo inizio»
ECONOMIA. Borse europee chiudono in forte calo. Il mercato dell'auto crolla a novembre
POLITICA. Tassa Sky, Veltroni attacca Berlusconi
CRONACHE. Neve al nord, disagi al traffico. A Venezia una marea da record
POLITICA. Napolitano: «No a tagli generalizzati».

Il pendolo rumeno premia ora la sinistra

(Il Parlamento di Bucarest, fotowalkingclass)

Aggiornamento. Contrordine compagni (rumeni).

Deve essere una nemesi. Una parte degli italiani se la prende con i rumeni, ma i rumeni assomigliano agli italiani sempre di più. Specie in politica. Come a Roma così a Bucarest la transizione sembra non riuscire a trovare un punto di equilibrio. Ad ogni votazione, gli elettori ribaltano i ruoli dei partiti, punendo il governo e premiando l'opposizione. Se alla guida ci sono i socialisti, allora premiano i conservatori. Se è il turno dei conservatori, allora il voto va ai socialisti. E' un'alternanza che non porta benefici con il ricambio del personale governativo e che testimonia semplicemente la delusione per coloro che gestiscono la cosa pubblica. Questa volta tocca vincere alla sinistra, che torna al governo dopo una legislatura (turbolenta anche questa) gestita dalla destra. Un pendolo continuo, in uno dei paesi più difficili dell'Unione Europea che sembra non trovare pace. Il premier uscente, Calin Popescu Teraiceanu, a capo del partito nazional-liberale (l'acronimo, a proposito di similitudini, è Pdl) è stato sconfitto, fermandosi al 30 per cento. Il Pds, il partito socialista, vince con il 35 per cento. Nessuno ha dunque raggiunto la maggioranza assoluta e in realtà la soluzione governativa resta aperta ad ogni possibile combinazione. L'unico dato che non si cancella è quello dei votanti: 39 per cento, il livello più basso da quando nel paese sono state introdotte le elezioni libere. Una cifra che la dice tutta sul livello di disaffezione dei cittadini. Approfondimenti dalla Süddeutsche Zeitung.