martedì, ottobre 13, 2009

La Fiera del libro di Francoforte parla cinese

Quando la settimana scorsa Jürgen Boos, il direttore della Fiera del libro di Francoforte, è sbarcato a Berlino per presentare l’edizione che si apre oggi, alla domanda se fosse dispiaciuto per il fatto che quest’anno l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura non coincidesse con i giorni della fiera, aveva replicato con diplomazia, sostenendo che la manifestazione non ne avrebbe sofferto e che non era la prima volta che le due date fossero sfalsate. Boos non sapeva che due giorni dopo, in quella stessa sala dell’Associazione del commercio librario che si affaccia sulla Sprea, la berlinese d’adozione Herta Müller avrebbe sorriso di gioia e di stupore per l’assegnazione del premio Nobel. E così anche la mondanità è salva. La scrittrice tedesca nata nel Banato rumeno, che la scelta degli accademici di Stoccolma ha strappato alla ristretta cerchia degli appassionati, farà proprio oggi a Francoforte, negli stand della rete televisiva pubblica franco-tedesca Arte, la sua prima uscita pubblica dopo la conquista del premio, presentando il suo ultimo lavoro “Atemschaukle”, la storia di due prigionieri rumeni deportati in un campo di concentramento sovietico in Ucraina.

Per il resto, la scena è tutta occupata dal paese d’onore, che quest’anno è misterioso, grande e ingombrante. A Francoforte sbarca la Cina. Anzi, i cinesi. I letterati graditi al regime e quelli scomodi (ma non tutti), i funzionari statali e gli uomini del business, i quadri del partito e gli artefici del miracolo capitalista, gli editori e i librai. E da qualche settimana è già polemica, da quando si è capito che le grandi meraviglie della letteratura cinese riscoperta dall’Europa nascondo anche le storie di repressione e censura. Boos lo sapeva e in qualche modo ha giocato questa scommessa per dare lustro a un’edizione che quest’anno festeggia un numero tondo: sessant’anni. «Sappiamo benissimo che in Cina c’è un sistema totalitario che fa largo uso della censura», dice Boos, «eppure nei prossimi cinque giorni avremo modo di conoscere le mille sfaccettature di questo paese. Ci saranno gli incontri organizzati dalla controparte cinese, ma anche molti appuntamenti con i dissidenti e con letterati non allineati organizzati dalle case editrici europee e da molte istituzioni libere. Saranno presenti le organizzazioni non governative che lottano per la democratizzazione in Cina e il Dalai Lama, i rappresentanti del Falugong e degli iguri perseguitati dal regime e tanti lettori tedeschi ed europei che potranno farsi una loro idea di come vanno le cose in quel paese».

Si temono anche manifestazioni e proteste. «Tutti potranno dire la loro», assicura Boos, «l’unico limite è rappresentato dalla costituzione della Repubblica federale tedesca». Il direttore sottolinea come la fiera non sia mai stata un appuntamento politico ma sempre un luogo di incontro e di riflessione, un teatro di discussione sul quale le opinioni si sono confrontate e scontrate e magari un po’ avvicinate. «Spero che accadrà anche questa volta, che le presentazioni ufficiali possano colloquiare con quelle inufficiali, che gli spazi della fiera divengano un luogo di conoscenza reciproca. Non possiamo sapere se questo accadrà. ma almeno il pubblico avrà occasione di sentire tutti e di farsi una opinione personale e non filtrata».

Questa, secondo il suo direttore, è la tradizione della fiera di Francoforte. E la Cina è stata da lungo tempo corteggiata dagli organizzatori. Fino a cinque anni fa, ogni tentativo si è infranto contro una sorta di grande muraglia. Ma dal 2004 i rapporti si sono intensificati e le autorità cinesi hanno dimostrato una maggiore disponibilità a discutere e ad accettare osservazioni critiche. Quello che alla metà di questo decennio appariva ancora impossibile, oggi è accaduto e Boos spera che la conoscenza e la frequentazione su un palcoscenico franco ma non pregiudiziale come Francoforte possa far avanzare una sorta di distensione, almeno in campo letterario.

Ma che le cose possano anche andare diversamente lo dimostra la brusca reazione dell’ambasciatore cinese in Germania un mese fa, durante il Simposio che ha di fatto aperto la stagione fieristica: «Non siamo venuti qui per farci dare lezioni di democrazia», ha detto piccato in faccia allo stesso Broos, «questi tempi sono ormai passati». Quali tempi siano arrivati, ce lo spiegheranno proprio i giorni della fiera e le decine di appuntamenti incrociati.

La Cina si mostrerà attraverso due piattaforme, quella ufficiale gestita dallo Stato della Repubblica popolare e quella delle Ong: da un lato lo spazio legale di un paese divenuto ormai centrale negli equilibri internazionali, dall’altro lo spazio reale di una società alla ricerca di spazi di libertà che sarebbero la naturale conseguenza degli sviluppi in campo economico, ma che il regime ostinatamente rifiuta. Quanto queste realtà riusciranno a dialogare, a discutere e a comprendersi è tutto da vedere. Nel frattempo, finiscono sul taccuino i nomi dei dissidenti cui il governo non ha concesso il visto di viaggio in Germania. Come Liao Yiwu, autore di “Massacro”, il romanzo del 1989 sulla repressione di piazza Tienanmen che gli è costato quattro anni di prigione. Avvicinamento attraverso il dialogo è il motto di Francoforte, la Cina è la sfida di questa sessantesima edizione. Da oggi capiremo un po’ di più cosa si nasconde sotto il comunismo capitalista di regime di Pechino.