domenica, ottobre 18, 2009

I colori della Berliner Republik/1. Jamaika

Mentre a Berlino proseguono le trattative per definire il programma di governo della nuova maggioranza di centrodestra, in periferia la politica muove i primi passi verso nuovi scenari politici. E nell’estremo ovest, nella piccola regione della Saar, ex terra mineraria schiacciata verso Lussemburgo e Francia, arriva il soffio esotico della Giamaica. Ovvero la Jamaika Koalition, il sogno dei politologi alla ricerca di soluzioni finora solo studiate a tavolino. Quattro settimane fa il voto aveva premiato la sinistra radicale della Linke, portata oltre il 20 per cento (risultato mai raggiunto in una regione dell’ovest) dal carisma del vecchio leader massimalista Lafontaine, che aveva abbandonato l’Spd in polemica con la sua «deriva riformista» per costituire, assieme ai post-comunisti del Pds, una sinistra più radicale. Domenica i verdi hanno chiuso la porta a una coalizione di sinistra, aprendo la strada per un’alleanza con liberali e cristiano-democratici. Se le trattative andranno a buon fine, la Saar sperimenterà un nuovo tipo di centrodestra, a vocazione ecologica.

Per la politica tedesca è una rivoluzione, foriera di scenari innovativi anche a livello nazionale, sebbene le ragioni di questa svolta siano tutte locali. Il voto del congresso dei verdi è stato plebiscitario: l’opzione Giamaica ha ottenuto il 78 per cento dei suffragi. Ma molto ha contato la presenza nella Saar proprio di Lafontaine, che aveva appena rinunciato al suo posto di capogruppo parlamentare per dedicarsi esclusivamente alla scena politica regionale. «Non ho alcuna fiducia in questa persona», ha tuonato il leader locale dei verdi Hubert Ulrich, «non possiamo collaborare con chi vuol farci fuori in maniera così cinica». Per tutta la campagna elettorale, è l’accusa di Ulrich, Lafontaine ha cercato di spazzare i verdi dalla scena politica: un governo di sinistra con lui è impossibile, non ci resta che guardare a destra.

I tre seggi dei verdi sono decisivi per entrambe le ipotesi, sia quella di centrodestra con Cdu e Fdp, sia quella di sinistra con Spd e Linke. Ma sul tappeto ora resta solo la scommessa della coalizione Giamaica (dai colori dei partiti che dovrebbero far parte della nuova coalizione, il nero della Cdu, il giallo dell’Fdp e ovviamente il verde dei Grünen, cioè i colori della bandiera caraibica). I verdi hanno posto alcune condizioni: abolizione delle tasse universitarie, chiusura nel 2012 delle miniere ancora in funzione, riforma del sistema ginnasiale. Ambiente e istruzione sono al centro delle politiche dei verdi, a livello nazionale come in periferia e per agevolare la realizzazione di queste proposte, il primo ministro cristiano-democratico uscente (che ora potrebbe rimanere in carica) è disposto ad affidare agli ecologisti i due ministeri competenti.

L’eventuale successo delle trattative e la conseguente nascita del primo governo Giamaica a livello regionale sarebbero dunque le novità più interessanti della scena politica tedesca post-elettorale. Ancor più del nuovo governo nazionale di Angela Merkel, che di fatto riporta in auge una coalizione tradizionale che negli anni Ottanta e Novanta ha condotto la Germania attraverso la riunificazione sotto la guida di Helmut Kohl. Il quadro politico, nonostante l’affermazione di Cdu/Csu e Fdp, resta piuttosto incerto, dal momento che il sistema a cinque partiti non garantisce più automaticamente la vittoria di un’alleanza di tipo tradizionale, sia per il ridimensionamento dei partiti di massa che per la presenza stabile della Linke, che subisce una sorta di conventio ad excludendum.

Già un anno e mezzo fa, ad Amburgo, cristiano-democratici e verdi avevano dato vita a una prima collaborazione regionale, rompendo il tabù. I Grünen nascono come una costola movimentista dell’Spd e si sono sempre caratterizzati per una politica non convenzionale a anti-conservatrice. Poi la svolta pragmatica, avvenuta paradossalmente con l’assunzione di responsabilità governative nei due governi rosso-verdi guidati da Gerhard Schröder. Ma già alla metà degli anni Ottanta, un lungimirante Helmut Kohl aveva immaginato che, un giorno, conservatori ed ecologisti avrebbero potuto trovare terreni di collaborazione e aveva dato vita a una serie di incontri informali fra i giovani dei due partiti. Passò alla storia come la pizza-connection, perché gli incontri avvenivano in una sala riservata di un ristorante italiano di Bonn. Tra quei giovani, due leader che nel frattempo hanno fatto carriera, il verde Cem Özdemir, l’attuale segretario dei verdi di origini turche, e Norbert Rüttgen, braccio destro di Angela Merkel.

Il resto lo ha fatto la politica. La Cdu ha accentuato la propria sensibilità ecologista sotto la leadership della cancelliera mentre i liberali, oltre a ai temi classici dell’economia di mercato, presentano un profilo moderno sulle questioni dei diritti civili e delle libertà individuali. Quello che divide fortemente è la posizione sull’energia nucleare, tanto che nelle ultime settimane di campagna elettorale i verdi hanno molto calcato sulla paura di un ritorno al passato in caso di vittoria del centrodestra. Ma anche su questo punto le posizioni sono meno distanti di un tempo: i verdi restano inflessibili sulla chiusura di tutte le centrali tedesche nel 2020, liberali e cristiano-democratici ritengono invece di dover continuare a produrre energia atomica fino a quando le energie alternative non saranno in grado di sostituirla completamente. Ma della costruzione di nuove centrali, qui in Germania non parla nessuno. Il paese ha ormai acquisito una leadership nel campo delle energie rinnovabili, il futuro è verde, cambiano solo le prospettive temporali. Una settimana prima del voto nazionale, l’esponente dell’ala sinistra dei verdi, Trittin, aveva escluso ogni ipotesi di collaborazione con il centrodestra: «La Giamaica rimane nei Caraibi». Ora invece è ricomparsa nella Saar.