Il molo di Odessa (fotowalkingclass)
Speciale sull'Ucraina nel blog Poganka di Stefano Grazioli. Quello che segue è il mio intervento. Se fate un salto sul blog troverete quelli dello stesso Grazioli, di Fabio Indeo, esperto di geopolitica e di Zakar Butyrski, della redazione ucraina della Deutsche Welle.
Accarezzati dal tepore del vento umido di Odessa, la crisi che aggredisce l’Ucraina quasi non si avverte. La perla del Mar Nero è sempre un piacevole rifugio per i naviganti, soprattutto in tempi di marosi. L’aria è tiepida, l’orizzonte pulito, le strade luminose. Nel porto attraccano meno navi del solito, ma l’atmosfera è sempre quella multietnica descritta in centinaia di racconti di viaggio e d’avventura. Le tensioni si stemperano come le onde sul bagnasciuga. La lingua russa domina per le vie del borgo marinaro ma si mescola con quella turca, ucraina, greca, rumena, italiana, bulgara. Dai ristoranti con i tavolini all’aperto sull’isola pedonale si levano i fumi degli arrosti e le note delle orchestrine tartare, nelle chiese con le cupole a cipolla colorate l’odore dell’incenso si mescola alla litania delle nenie ortodosse. Odessa è uno spicchio di paradiso catapultato sulla terra e se tutta l’Ucraina fosse come Odessa, sarebbe un posto nel quale ritirarsi per il resto della propria vita.
Purtroppo non è così. Non di questi tempi. Cinquecento chilometri più a nord, nella capitale Kiev, c’è in queste settimane un andirivieni di funzionari e burocrati del Fondo monetario internazionale, uomini e donne in colletti bianchi che hanno nelle loro mani la salvezza dello Stato dalla bancarotta. Entrano ed escono dai ministeri e dalle banche, dal parlamento e dal palazzo del governo, concordano modalità e termini, quote e rate. L’Ucraina è uno dei paesi dell’Europa orientale in cui il Fondo monetario è dovuto intervenire direttamente. Come in Ungheria e in Lettonia. Altrimenti non ce l’avrebbe fatta a restare a galla. Un paradosso se si pensa alla crescita economica degli ultimi anni, cifre che facevano gridare al miracolo: la politica segnava il passo, ma l’economia volava anche se non era il caso di guardarci troppo dentro. E invece, se magari si fosse guardato dentro, oggi il paese non sarebbe in queste condizioni.
Della rivoluzione arancione di cinque anni fa non è rimasto molto. Neppure il ricordo: quest’anno nessuno ha festeggiato l’anniversario. I leader che l’avevano condotta hanno iniziato a litigare fra di loro dal giorno dopo, e non hanno ancora smesso. E anche all’opposizione, le facce sono sempre le stesse. La società civile era scesa in piazza ma solo i più furbi e i più scaltri hanno trovato un posto al sole, per ora ancora nelle retrovie. Non sorprende che a un lustro di distanza emergano le tracce delle manovre dei servizi segreti dei due grandi contendenti globali, la Russia e gli Stati Uniti. Rivoluzioni arancioni e reazioni blu, filo-occidentali e filo-russi, ovest ed est spaccati da un fiume, da ambizioni diverse e da lingue brandite come spade: ginkuje e spasiba, anche dire grazie è una dichiarazione di appartenenza. E l’Unione Europea nel mezzo, capace solo di mediare e temporeggiare, avanti adagio, molto adagio, quasi fermi.
Ma i giochi degli specchi, le mille facce di un paese troppo spesso semplificato ad uso e consumo della propaganda raccontano anche la sua vera ricchezza, le sue potenzialità, le sue speranze. La classe politica è modesta, corrotta, egoista, vive all’ombra degli oligarchi, i veri padroni dell’economia e dei partiti, i ricconi che muovono i burattini che si agitano sulla scena pubblica. Ma la società è viva, aperta, giovane e ha oltrepassato la linea d’ombra del tempo di Kuchma. Non torna indietro, dopo aver assaporato una libertà che nessuno le potrà più strappare. Arriveranno nuove elezioni che difficilmente porteranno una nuova politica, ma lo stallo dell’Ucraina non è poi troppo diverso da quello di tanti altri paesi europei. Il Fondo monetario eviterà l’affondamento dell’economia. La pazienza della Uefa farà in modo che nel 2012 i campionati di calcio europeo si svolgeranno lo stesso. E allora il resto del continente si accorgerà che dietro le turbolenze attuali c’è un paese bellissimo, che cerca con fatica il proprio ruolo fra l’Europa e la Russia, e chissà se lo troverà mai. Ma è un paese dolce, come può esserlo una notte di mezza estate sul lungomare di Odessa.