Ce la ricordiamo con la treccia bionda e ruffiana alla moda delle contadine ucraine sulle barricate della Maidan, la piazza centrale di Kiev, nei giorni gloriosi della rivoluzione arancione. Poi battagliera co-leader di quella coalizione che aprì le speranze di democrazia alle giovani generazioni ucraine. Quindi caparbia concorrente del suo ex alleato Yushenko per la leadership del campo moderato (pro-occidentale, si diceva allora). Infine inconcludente premier alla guida del governo che consegnò al redivivo Yanukovich, il filo-russo, la rivincita alle presidenziali del febbraio scorso. La parabola di Yulia Timoshenko è quella della rivoluzione arancione: euforia, speranza, litigi, delusione, sconfitta.
Oggi in Ucraina si torna a votare per rinnovare consigli regionali e comunali, con esclusione di quello della capitale, ma il clima è tutto diverso. E non pare un bel clima. Lo Spiegel è andato a intervistarla nel momento più difficile della sua carriera politica. In attesa di conoscere i risultati dello spoglio, ci si affida ai sondaggi della vigilia: il suo partito, Patria, è in flessione e oscilla fra il 10 e il 13%. Quello delle Regioni, guidato da Yanukovich, potrebbe arretrare anche lui ma secondo i pronostici vincerà lo stesso. Con il rischio di consolidare un potere che di giorno in giorno si fa sempre più autoritario. È l’accusa di molti osservatori, di organizzazioni sociali, di intellettuali e anche di giornalisti, la cui attività è tornata ad essere monitorata dai servizi di sicurezza.
Da febbraio, il presidente ha rafforzato la propria maggioranza parlamentare attraverso una spudorata campagna acquisti di deputati, ha messo mano alla Costituzione per aumentare i propri poteri, ha stretto il controllo sui media e, nonostante le assicurazioni che tranquillizzano Bruxelles, ha riportato l’antenna della politica estera a sintonizzarsi sulle frequenze di Mosca più che su quelle dell’Europa. Tutte accuse che la Timoshenko ovviamente conferma all’edizione online del settimanale tedesco, aggiungendo ulteriori elementi di drammatizzazione: «L’introduzione del nuovo codice fiscale minaccia l’esistenza delle piccole e medie imprese e molti industriali hanno restituito le proprie registrazioni, la paura del dissenso ha portato alla citazione in giudizio di blogger, giornalisti e politici di opposizione». Una situazione che non si era mai verificata dalla nascita dell’indipendenza – sostiene l’ex primo ministro – neppure ai tempi di Kuchma, il leader autoritario che ha guidato l’Ucraina prima della rivoluzione arancione.
Due settimane fa, sotto accusa è finita anche lei. Tra il 2008 e il 2010 avrebbe distratto dalle casse statali una somma di 500 milioni di euro coinvolgendo funzionari di diversi ministeri. Alcuni suoi collaboratori sono stati arrestati. La Timoshenko nega le responsabilità e riconduce tutto alla vicenda della RosUkrEnergo, società di intermediazione del gas «che rappresenta la più grande mangiatoia dei leader del nostro paese e che dal 2004 ha funzionato come cassa in nero del presidente». Nel 2009, in qualità di primo ministro, la Timoshenko l’ha abolita, quest’anno Yanukovic l’ha riesumata. Uno dei suoi proprietari è l’oligarca Dmitrij Firtasch, sponsor principale del Partito delle Regioni nella campagna presidenziale: «Sono convinta – accusa a sua volta l’ex premier – che la RosUkrEnergo sia oggi la principale fonte di finanziamento di Yanukovich».
La pasionaria è un fiume in piena, nell’intervista non c’è spazio per l’autocritica, manca del tutto un’analisi approfondita sul perché 5 anni di maggioranze arancioni alla presidenza della Repubblica e (con una breve pausa) anche al governo, non siano riuscite a cambiare il paese o almeno a metterlo nelle condizioni di aprire la nuova stagione promessa. La polemica è aspra, polarizza la scena politica ma sembra non appassionare più i cittadini delusi. La Timoshenko afferma di combattere una vera e propria mafia e quando Benjamin Bidder, il giornalista che conduce l’intervista, le chiede se l’Ucraina sia diventata un paese criminale, risponde: «No, ma il paese è caduto nelle mani di organizzazioni criminali».
Quindi la critica all’Europa, che al nuovo presidente ha concesso notevoli aperture di credito: «Ci scioccano le spiegazioni, si saluta la stabilità del paese, la volontà di riformare, il cammino verso l’Europa. Si considerano le limitazioni alla democrazia una riforma? I brogli elettorali una conferma della libertà? Chiedo ai leader dei paesi democratici solo una cosa, che almeno chiamino le cose con il loro nome».
L’ex eroina della rivoluzione arancione mette anche le mani avanti per il voto: temiamo brogli, non sono elezioni libere. Tenacia e grinta non le mancano, ma dopo aver governato per ben due volte (da gennaio a settembre del 2005 e da dicembre 2007 a marzo 2010) le molte parole sembrano contare meno dei pochi fatti. I sondaggi registrano la flessione delle due grandi forze politiche e la crescita dei piccoli partiti guidati da nuovi outsider. Un segnale di disaffezione e di disagio che allontana ancora di più nella memoria le festose notti arancioni di 6 anni fa.