mercoledì, luglio 07, 2010

Nuove scaramanzie fra Mick Jagger e il polpo Paul

Due sono le leggende più divertenti di questo mondiale. Della prima si è persa traccia. Non si trova più Mick Jagger. Ha seccato in fila Stati Uniti, Inghilterra e Argentina, squadre per le quali diceva di tifare, fino al punto di seguirle personalmente dagli spalti nelle sfortunate partite con Ghana e Germania. Se ti becchi una nomea del genere, poi difficile che te ne scolli. Così i brasiliani hanno sudato freddo quando si è sparsa la voce che la rock star aveva in programma di assistere a Brasile-Cile per testimoniare la sua simpatia carioca. Ma tanto è bastato per uscire al turno successivo.

Chi scaramantico non è affatto è il tifoso di calcio tedesco. Sono settimane che va in giro con la maglietta «campioni del mondo», riciclata per l'occasione dopo quattro anni di naftalina: è la stessa che indossava la volta scorsa, ma la lezione non è servita. Ricordo che nella Berlino mondiale del 2006, i passanti sorridevano soddisfatti di fronte a un grande cartellone pubblicitario della Coca Cola, piazzato sulla Unter den Linden, che diceva più o meno: «Statisticamente, la Germania vince il campionato del mondo ogni volta che lo ospita». Era una battuta. La Germania, o meglio la Germania Ovest, lo aveva ospitato una sola volta, nel 1974, e lo aveva vinto. Il calcolo statistico era così complicato che sarebbe riuscito pure a me, tuttavia la cosa curiosa era che i tifosi berlinesi guardavano il cartellone felici e sorridenti, già pregustando il trofeo promesso dai geni del marketing di Atlanta. Lo avessero appeso a Napoli o a Roma un cartello del genere, bande di facinorosi lo avrebbero tirato giù in dieci secondi. Da noi il massimo della spavalderia si riduce al famoso «non succede, ma se succede». Tutti ricordiamo come andò a finire a Berlino 2006, anche se consiglio di non andarlo a raccontare a questo tipo qui, malauguratamente doveste incrociarlo.

La seconda leggenda riguarda infatti la Germania. Un brivido di paura attraversa il paese da quando il polpo Paul s'è venduto per un cucchiaio di paella. Finora le ha azzeccate tutte e dunque le sue profezie sono seguite con la stessa tensione di un calcio di rigore al 93' (o al 123'). Rinchiuso dentro un acquario addobbato con improbabili palloni da calcio, il povero Paul è costretto a scegliere fra due scatole trasparenti sulle quali sono appiccicate le bandiere della Germania e della squadra avversaria. Stanco della bandiera nero-rosso-oro, Paul ha scelto di arrampicarsi su quella della Spagna e i tedeschi si sono dimenticati di non essere scaramantici. Qualcosa sta cambiando, nonostante le magliette «campioni del mondo». L'allenatore Jogi Löw, che come vi racconterò nel prossimo post è un vero esteta, avrebbe voglia di cambiarsi la maglietta azzurra che dall'inizio del mondiale sfoggia in panchina. Ma i suoi calciatori gliel'hanno proibito, così è stato costretto a lavarla e domani dovrebbe essere regolarmente al suo posto con il capo portafortuna. Intanto il povero Paul rischia di finire sulla griglia. È lo spirito del nuovo tempo: non risulta che quattro anni fa la vendita di Coca Cola sia diminuita.

L'eccitazione per la fase finale del mondiale qui si avverte a ogni angolo. Ho perso il primo tempo della semifinale Olanda-Uruguay perché ero a lezione di tedesco (dal miglior professore di lingue che mi sia capitato di incontrare nella mia lunga e infruttuosa carriera di apprendista di idiomi stranieri, ma non rischio la piaggeria perché, ove dovesse scoprire questo blog, non sa una parola di italiano). Tuttavia sono stato costantemente informato sull'andamento della gara dall'autista del bus sul quale rientravo a casa. Poco prima della fermata di Potsdamer Platz, il buon uomo ha avvertito i passeggeri che l'Uruguay aveva pareggiato (tra l'entusiasmo dei viaggiatori) e appena superata la fermata di Kleistpark sono stato aggiornato sul fatto che il primo tempo si era concluso 1-1. Tutto via altoparlante. Il secondo tempo l'ho visto a casa ma mi sarebbe piaciuto assistere alle reazioni sul 48 (il numero dell'autobus) ai due gol dell'Olanda.

Il tragitto è durato una ventina di minuti, dall'Alexanderplatz a Schöneberg. Non ricordo più dove, mi si è seduta accanto un'anziana signora. Questa volta mi ero portato un libro appresso, per ammazzare il tempo durante il percorso. Una cosa un po' pallosa, la storia dell'Ucraina moderna, non temete, non vi do gli estremi del libro. Dopo qualche minuto la signora mi ha chiesto se poteva farmi una domanda. Mi è sembrato sgarbato dirle di no, anche se avrei voluto. «Il libro che sta leggendo è in spagnolo?», mi ha chiesto. Mi sono ricordato che in semifinale la Germania gioca con la Spagna e, temendo il replay della vicenda di Hannover, mi sono affrettato a smentire: «No signora, non si preoccupi, è in italiano». E poi, per consolarla: «Sa, le due lingue sono simili, ma noi siamo già usciti dal mondiale». Speravo fosse finita lì. Ma quando mi sono alzato per uscire, l'anziana signora mi ha rivolto un sorriso aperto dicendo: «Sarebbe entusiasmante una finale Olanda-Germania, vero?». A naso non penso che la signora abbia mai visto una partita di calcio, ma credo sia impossibile vivere a Berlino in questi giorni senza aggiornarsi sulle ultime vicende pallonare.

Intanto la serata è passata e sappiamo che la finale la giocherà l'Olanda. Ah, l'Olanda. Un test su Facebook (di quelli tipo l'oroscopo, non è vero ma ci credo) mi ha rivelato che sarebbe quello il mio paese ideale. Infatti mi piace. Mi piaceva, soprattutto, la nazionale olandese degli anni Settanta. Io resto - calcisticamente parlando - un tardelliano militante (nel senso di Tardelli) ma Cruijff è un mito dal quale non sono mai guarito. Mi piaceva tutto di quella squadra, il pressing asfissiante a tutto campo, l'atmosfera da figli dei fiori che emanavano i giocatori, le serpentine inarrestabili del già citato Cruijff e pure la melina, che faceva incazzare tutti e a me divertiva da morire, cento passaggi di lato e all'indietro mentre gli avversari osservavano impotenti e il pubblico fischiava spazientito: erano dei fantastici strafottenti. Quella di oggi la ricorda solo per il colore della maglia e per le «ij» che adornano i cognomi di Cruijff e Sneijder, ma ha un compito da assolvere: vendicare due finali perse contro i padroni di casa sfacciatamente favoriti dagli arbitri del tempo. Se la Germania va in finale, per me diventa dura, perché questa nazionale tedesca mi piace davvero tanto. Come dite? Chi li sopporta i tedeschi se vincono? E chi se ne frega, tanto fra due giorni parto, la finale la vedo fuori. Dove? In Ucraina, ovviamente. Ma tranquilli, vi risparmio le coordinate di quel libro.