Un tratto della Sprea compreso nell'area del progetto Mediaspree (fotowalkingclass)
Al “Bar 25” si arriva scendendo alla stazione di Ostbahnhof, sfiorando i resti del muro della East Side Gallery recentemente ripitturato dagli stessi artisti che l’avevano colorato con i loro graffiti dopo il 1989, e imboccando un ingresso clandestino aperto in una lunga palizzata di legno. E’ il più famoso tra i rifugi alternativi che sorgono sulla sponda orientale del fiume Sprea. Qualcuno lo spaccia come la Christiania di Berlino, la scommessa utopistica degli hippy di Copenaghen, ma l’unica cosa che l’accomuna al più famoso quartiere danese è la difficoltà di sopravvivere alla fine delle utopie. “Bar 25” chiuderà a fine agosto, giusto il tempo di vivere l’ultima estate in riva al fiume e di far respirare ai suoi clienti anticonformisti l’atmosfera frizzante di un ritrovo balneare nel cuore della metropoli. La torre di Alexanderplatz si illumina sullo sfondo, le acque scure del fiume rimandano un po’ di frescura e i vagoni della metropolitana che scorrono sul ponte a destra proiettano nella notte berlinese luci psichedeliche e rumori meccanici.
All’interno si fa di tutto, e non sempre a prezzo politico. Ci si può sedere con una bottiglia di birra sul bordo del fiume, sulla sabbia o sull’erba o, se si è fortunati, su una delle sdraio stile Rimini anni Sessanta, oppure ci si può gettare sulla pista da ballo con un cocktail recuperato dal bancone, o infine sedersi ai tavoli del ristorante, sotto le stelle o sotto il patio coperto, a seconda delle condizioni meteo e della disponibilità di posti. E qui il conto può essere anche salato, perché chi cura pietanze e cantina ha voluto dare alla cucina un tocco da gourmet.
Un collettivo di quattordici persone gestisce l’intero complesso, una sessantina fa parte del gruppo fisso. Vivono in comunità e ogni decisione viene approvata assieme: difficile trovare un capo, anche perché nessuno vuole esserlo. Il ristorante, come tutto il resto, lo hanno tirato su da soli, anche se gli autori del progetto non avrebbero difficoltà a farsi ingaggiare da un famoso studio di architettura d’interni. Tutto è venuto su per caso, con gusto spontaneo e con una caparbia voglia di resistere alle mode. E tuttavia è l’angolo più affascinante di Berlino, esteticamente bellissimo, orgogliosamente alternativo. Nei diecimila metri quadrati di area, trova posto anche un ostello fatto di capanne in legno, un piccolo cinema all’aperto, una radio autogestita, spazi per mostre ed eventi: un’utopia divenuta con il passare del tempo sempre più pragmatica e oggi minacciata da un mega progetto immobiliare destinato a rivoluzionare tutta questa area lungo la Sprea.
Il progetto si chiama Mediaspree, raggruppa investitori, proprietari terrieri e imprenditori che hanno deciso, attraverso un nuovo sviluppo urbanistico, di cambiare il volto di quest’area sulle due sponde del fiume, che racchiude in sé molte simbologie. E’ il punto di raccordo fra le due metà di Berlino, l’est e l’ovest, il luogo in cui si incontrano i due quartieri storici dell’anima anarchica cittadina, Friedrichshain e Kreuzberg, abitati da artisti, alternativi, squatter e immigrati turchi: 270mila abitanti, come una città di medie dimensioni, oggi riuniti da una recente riforma amministrativa che ha accorpato i quartieri berlinesi. Alla guida un borgomastro verde, Franz Schulz.
Il progetto s’incentra sul nuovo palazzo multifunzionale O2-World, inaugurato lo scorso autunno, che già ospita a rotazione le partite delle locali squadre di basket e hockey su giaccio e concerti rock delle star tedesche e internazionali. Un gruppo giapponese sta costruendo un nuovo albergo della catena spagnola NH e il piano prevede altri uffici, appartamenti di lusso, alberghi. L’obiettivo degli investitori è di attirare in quest’area le sedi delle società di media, della moda, magari delle nuove tecnologie. E il Senato berlinese guidato dalla sinistra, socialdemocratici più Linke, ha dato l’avallo.
Esattamente un anno fa gli abitanti dei due quartieri, che nessuno ha sentito il dovere di interpellare quando il progetto è partito, hanno potuto recarsi alle urne e dare il loro giudizio, puramente consultivo, con un referendum: hanno vinto i contrari con l’87 per cento dei voti. Un plebiscito. Così la lotta è ripresa, anche con un po’ di violenza. Nel quartiere di Kreuzberg non è solo il Mediaspree a sollevare la rivolta degli anarchici. Da quando il Muro è caduto, il quartiere un tempo snobbato perché circondato dal confine si è ritrovato nel centro della Berlino riunificata, attirando gli appetiti del settore immobiliare. C’è voluto un po’ di tempo ma, piano piano, la speculazione è arrivata: nuovi condomini di lusso, ristrutturazioni costose, progetti anche un po’ pacchiani come quelli che prevedono posti auto sul pianerottolo, di fianco alla porta di casa. Le cronache cittadine degli ultimi giorni riportano notizie sul lavoro straordinario cui sono costretti i vigili del fuoco per spegnere gli incendi ai nuovi cantieri causati da attentati incendiari notturni.
Tornando verso la sponda del fiume, questa volta sul lato del quartiere Treptow, ex Berlino est, a rischio è un altro esperimento di vita fuori dai canoni tradizionali. E’ lo “Schwarzer Kanal”, letteralmente “canale nero”, un sito abitativo costituito da roulotte, non troppo diverso dagli accampamenti gitani che si ritrovano nelle campagne dell’Europa danubiana o, meno romanticamente, nelle periferie delle metropoli occidentali. In tedesco si chiamano Bauwagenplatz: ma anche qui, vita comunitaria e stile alternativo hanno le settimane contate. Hochtief, un complesso industriale di costruzioni, istallerà la sua filiale berlinese e ha consegnato agli abitanti dello Schwarzer Kanal la lettera di sfratto: primavera 2010. Altri dodici siti abitati da 320 persone, dispersi un po’ in tutta la città, rischiano di subire la stessa sorte: nel 2002 l’amministrazione dei proprietari terrieri e la centrale degli architetti tedeschi hanno presentato un esposto contro i Bauwagenplatz accusandoli di esporre gli abitanti dei complessi vicini a una grave situazione di degrado urbanistico.
I fuochi di Kreuzberg, l’opposizione degli elettori e la rassegnata delusione degli alternativi di “Bar 25” e delle altre comunità sorte lungo la Sprea sono facce differenti di una stessa storia: quella della Berlino alternativa che va scomparendo, marginale rispetto ai profondi processi modernizzanti dell’Europa occidentale eppure ancora orgogliosa e ribelle. E’ in fondo un altro pezzo della vecchia Berlino ovest che tramonta, assieme alla memoria degli anni Settanta e Ottanta, al fenomeno dei punk e poi degli squatter, delle case occupate e degli stabili fatiscenti acquisiti a prezzo politico e rivoltati a centri di cultura underground. Un’utopia che aveva trovato nuova linfa nelle aree dismesse di Berlino est, subito dopo la caduta del Muro, ma che adesso sembra arrivata al capolinea.
L’assedio non si ferma a Kreuzberg e Friedrichshein. Nel centrale quartiere di Mitte vive tempi incerti un altro locale storico, il “Tacheles” sulla Oranienburgerstrasse. Di fatto è una galleria d’arte moderna, messa su nel 1990 da un gruppo di artisti anarchici in un palazzo malandato destinato alla demolizione. E’ divenuto un centro sociale con tanto di mostre, cinema per pellicole indipendenti, un laboratorio sperimentale e il celebre caffè Zapata, pasto completo a otto euro. Il nome, di derivazione yiddish, richiama la censura ai tempi della Ddr: Tacheles significa “parlar chiaro”, cosa proibita ai tempi del regime. Oggi è un pugno nell’occhio (benefico secondo alcuni, superato secondo altri) in un’area in cui gli investimenti immobiliari degli ultimi vent’anni hanno completamente trasformato l’atmosfera. I suoi muri crepati cozzano con il travertino liscio di un’hotel di lusso, gli appartamenti attorno hanno prezzi proibitivi per la maggior parte dei berlinesi e i nuovi proprietari del suolo hanno in mente di buttare giù il rudere degli artisti alternativi per realizzare ancora un albergo. Dunque, il Tacheles è sotto sfratto e prosegue la sua agonia nella speranza che la crisi che ha investito il settore immobiliare rallenti i progetti e prolunghi il più possibile la propria esistenza.
Economia e utopia paiono andare d’accordo solo nelle teorie delle moderne architetture. Quando si passa alla pratica, quello che intendono gli urbanisti e quello che vorrebbero gli utopisti appare del tutto inconciliabile. Una città moderna, una metropoli europea contemporanea, non riesce più a tollerare spazi autogestiti all’interno del suo perimetro urbano. C’è un mondo che scompare, che non va giudicato ma raccontato anche nelle sue ultime illusioni, perché almeno qui a Berlino ha fatto storia e letteratura di una capitale che si è autorappresentata diversa, forse anche per sopravvivere alla condizione inedita di città divisa. E c’è un mondo che è pronto al compromesso, che non compie attentati ma che, ad esempio, spinge per inserire nel progetto ormai inevitabile del Mediaspree cinture verdi, piste ciclabili, spazi condivisi. E’ la maggioranza di quell’87 per cento che ha votato contro il progetto e che ora si è messa attorno a un tavolo assieme al borgomastro verde e ai responsabili delle imprese immobiliari per trovare l’araba fenice dell’utopia pragmatica.
(pubblicato sul Secolo d'Italia di luglio 2009)