venerdì, agosto 28, 2009
Tre Länder al voto, un test per la cancelleria
Si vota domenica in tre Länder per il rinnovo dei parlamenti regionali. La Sassonia è il Land più importante, la cosiddetta Baviera dell'est, con la città di Dresda capace nell'ultimo decennio di trascinare la regione verso un vero e proprio miracolo economico. Ma l'elezione più interessante si terrà nella piccola Saar, dove il co-presidente della Linke, Oskar Lafontaine, gioca in casa e spera di rivoluzionare il quadro politico della regione. Si vota infine in Turingia, dove il presidente uscente, il cristiano-democratico Althaus, deve vedersela con le conseguenze di un incidente sciistico provocato nelle scorse vacanze natalizie, quando travolse, uccidendola, una turista ceca. Il test assume inoltre una valenza superiore a quella strettamente regionale e viene visto come un banco di prova importante per il voto federale che si terrà fra un mese. Rischia molto Angela Merkel. Se a livello nazionale i sondaggi accreditano la Cdu di un vantaggio quasi incolmabile e certificano al momento la possibilità di un governo di centrodestra con i liberali, nei tre Laender le cose vanno molto peggio. La Cdu governa in tutti e tre ma le ultime indicazioni preconizzano una sconfitta generalizzata: la Cdu dovrebbe mantenere il presidente solo in Sassonia, dove i liberali sono molto forti e possono assicurare un esecutivo giallo-nero. Nella Saar e in Turingia, più nella prima che nella seconda in verità, è possibile invece un governo di sinistra con Spd, Verdi e Linke. Il rivale della Merkel alla cancelleria, Frank-Walter Steinmeier ha infatti lasciato aperta la possibilità di accordi con la Linke a livello regionale, escludendoli solo - e per il momento - a livello federale. Nella Saar, gli ultimi sondaggi indicano Lafontaine sopra il 20 per cento e pronosticano per la Cdu un crollo del 10 per cento. Per la Merkel non sarebbe un segnale di forza a quattro settimane dal voto nazionale. E sarebbe costretta ad una campagna in negativo, giocata sul pericolo rosso, secondo il motto: quello che avviene oggi nelle regioni può accadere domani in tutta la nazione. Al contrario l'Spd spera nel ribaltone nelle due regioni per riacquistare fiducia e vigore per una campagna elettorale che si sta dimostrando comunque assai difficile. Chi sembra sicuro di vincere comunque è Guido Westerwelle (Fdp): i liberali potrebbero essere l'ago della bilancia negli equilibri futuri della politica tedesca.
Bucarest, gli amplificatori del concerto di Madonna
Devono essere stati proprio potenti gli impianti di amplificazione del concerto di Madonna a Bucarest se, come sostiene il TgCom, il suo appello contro la discriminazione dei Rom lanciato durante il concerto rumeno si sono sentiti fino in Bulgaria. Dove, secondo la testata online di Mediaset che evidentemente scambia Bucarest con Sofia, alcuni spettatori hanno fischiato.
Il sogno americano della Polonia profonda
Lodz, il distretto commerciale Manhattan (fotowalkingclass)
Lamerica, quella senza apostrofo, è in un grosso centro urbano sprofondato nella piana della Masovia, ottanta chilometri a sudovest di Varsavia. La Ulica Piotrkowska, una via pedonale lunga tre chilometri e mezzo, taglia il centro cittadino come fosse una dritta Avenue statunitense. D’estate è piena di caffè e ristoranti all’aperto che rovesciano sui passanti musica rock a tutti decibel. Nel mezzo, di fronte all’ingresso dell’Hotel Grand inaugurato alla fine dell’Ottocento, si apre la Aleja Gwiazd, la via delle stelle, arricchita – si fa per dire – di una serie di stelle di bronzo incassate nel marciapiede, sul modello dell’Hollywood Boulevard di Los Angeles. Ogni stella è associata al nome di un celebre personaggio del cinema polacco, senza distinzione alcuna, che si tratti di un regista o di un attore. L’idea è un po’ kitsch, ma attira i turisti che immortalano ogni stella con le macchine digitali e, pare, entusiasma anche i locali.
Benvenuti a Lodz, città sonnacchiosa di ottocentomila abitanti, un passato non lontanissimo di polo tessile e commerciale nel cuore dell’Europa, smarrito nel tempo per colpa dei mali del secolo breve: guerre, nazismo e comunismo. Arrivarci non è facilissimo. E non perché i collegamenti con la vicina Varsavia non siano, per quanto vetusti, a loro modo efficienti. Il problema è nel nome, o meglio nella sua pronuncia. A scriverlo sembra facile: elle-o-di-zeta. La fonetica polacca però gioca un brutto scherzo: quando lo pronunciate, dovete dire “Uuch”. Comprenderete che la vicenda si complica. Allora, eccomi in fila nell’affollatissima stazione centrale di Varsavia, munito di un cartello con su scritto il nome magico, nella speranza di ottenere con questo escamotage il biglietto giusto per raggiungere Lamerica. La bigliettaia non capisce. Dietro cominciano a mormorare. Ci provo: “Uoooosch”. Mi rendo conto che è uscito un suono incomprensibile, niente da fare. Glielo ripeto in inglese, vorrei andare qui, indico il nome della città scritto sul cartello. Mi spedisce allo sportello di fianco, dove parlano inglese. E finalmente, tra le risate di una bigliettaia poliglotta e meno apprensiva, il nodo si scioglie e ricevo un biglietto di andata e ritorno per la città dal nome impronunciabile.
C’è tuttavia un secondo motivo per cui tale pronuncia è una maledizione per Lodz. “Uuch” ha dato modo ad alcuni di questi incrollabili ammiratori del cinema americano di coniare un neologismo che dovrebbe sigillare il legame con l’altra sponda dell’Atlantico: hanno ribattezzato la loro città “Holly-uuch”. Suona terribile o commovente, a seconda dei punti di vista. Ma tant’è. Insomma, Lodz le prova tutte per rammentare a se stessa e a chi viene a visitarla che attorno non ci saranno le colline di Hollywood ma ci si trova sempre nella capitale del cinema polacco. Anche se l’arte cinematografica nazionale non se la passa più così bene come negli anni Sessanta e Settanta: un po’ perché la nuova leva non appare all’altezza dei geni del passato, gli Has, i Wajda, i Kielowski, gli Zanussi, i Polanski; un po’ perché, anche quando uno di quei geni ci riprova, come nel caso del film “Katyn”, c’è sempre qualche censore bolscevico in ritardo di trent’anni che prova a mettere il silenziatore al film; e un po’ perché proprio l’amato cinema americano ha preso il sopravvento nelle sale spingendo in un angolo i film fatti in casa.
Però la pellicola qui è come un sogno di celluloide che avvolge tutta la città. Il luogo di sintesi che meglio rappresenta Lamerica di Lodz, che poi non è altro che l’America immaginaria percepita ad est dell’ex cortina di ferro, si trova un chilometro più a nord dell’interminabile Ulica Piotrkowska, superando i palazzoni veri del socialismo reale che circondano la rotonda piazza Wolnosci. Lì si trova Manufaktura, la scommessa urbanistica, consumistica ma anche culturale della città. Si tratta di un vasto complesso industriale di fine Ottocento, quando Lodz viveva di ciminiere, tessile e commerci (per rimanere in tema, chi fosse in grado di procurarsi il film “La terra promessa” di Andrej Wajda potrebbe farsi un’idea dell’atmosfera cosmopolita di quei tempi), oggi completamente ristrutturato con l’idea di spingere questa sonnolenta città verso nuove frontiere. Non bisogna esagerare, nel senso che la ristrutturazione è assai ben riuscita ma per ora le strutture che funzionano meglio sono quelle destinate al centro commerciale. Poi c’è un cinema multisale piuttosto frequentato. E l’attività strettamente culturale è relegata a una serie di manifestazioni prevalentemente estive, non molto dissimili da quelle che animano le estati di tutte le città d’Europa: concerti pop, happening sportivi all’aperto, festival della birra. La promessa è però si spingere con più decisione verso l’aspetto culturale: gli ultimi complessi ristrutturati saranno destinati a musei e spazi espositivi per le mostre, oltre all’inevitabile contorno di hotel e abitazioni più o meno lussuose.
Per ora, comunque, è uno dei pochi angoli rimodernati di Lodz. L’altro si trova più a ovest, sarebbe il nuovo distretto commerciale, qualche palazzone dall’architettura azzardata, una cascata di finestre specchiate che rappresentano la condanna polacca alla modernità, insegne luccicanti di banche occidentali, ancora nuove shopping mall: ora che è arrivata la crisi difficile fare affidamento su questo concentrato di consumismo e finanza. Dimenticavo: il nome di questo distretto? Manhattan, ovviamente.
Per il resto, c’è ancora molto da fare per riportare la città ai fasti produttivi del primo Novecento. Allora arrivarono in massa giovani industriali ebrei e tedeschi dalla Germania e scelsero Lodz perché si trovava al centro di una rete di comunicazioni stradali e ferroviarie che smistava traffico tra est e ovest. L’età d’oro fu chiusa dalla follia razzista del nazismo e non riprese nei quarant’anni di comunismo. Oggi le infrastrutture sono il tallone d’Achille della città, cui Varsavia ha scippato il ruolo di crocevia. La stazione ferroviaria centrale si chiama Fabryczna: mai nome fu azzeccato perché assomiglia a uno di quei relitti industriali dei tempi del regime. Visto da quello che dovrebbe essere il biglietto da visita di Lodz, sembra che nulla sia cambiato in venti anni, come se uno strato di polvere si fosse depositato sul vecchio mondo, addormentandolo per sempre. Le piattaforme sono trascurate, le segnalazioni affidate a strumenti vecchi, l’androne di ingresso invita alla fuga, le sale d’aspetto alla tristezza, il bar interno è un tuffo diretto nella sceneggiatura di “Good bye Lenin”. Il futuro è invece nel piazzale esterno, incollato su una serie di cartelloni esplicativi che descrivono con tecniche digitali il nuovo progetto di riqualificazione urbana che ha per fulcro proprio la stazione. Un’altra grande scommessa, per ora fissata solo sulla carta, in attesa che i fondi europei forniscano il liquido necessario a far partire l’impresa.
Lodz ha un’altra ricchezza: l’università. Oltre quarantamila studenti e quattromila professori rappresentano una risorsa alla quale attingere nel processo di ricostruzione dell’identità e del ruolo della città. Affollano le aule e i caffè, muovono interessi economici ma anche culturali, si aggirano per le vie cittadine ancora non toccate dall’onda della riqualificazione con la speranza di poter partecipare alla costruzione di un futuro migliore. L’Erasmus, poi, porta ogni anno studenti da tutta Europa, una linfa vitale che contribuisce a ricreare quell’atmosfera cosmopolita che fu alla base del miracolo economico e sociale della Lodz di primo Novecento. E in fondo anche questo bacino universitario può essere parte del sogno americano, che non è fatto solo di cinema e shopping mall, ma anche di una robusta struttura educativa che premia ricerca, eccellenza e crescita.
Pubblicato il 30 luglio 2009 su Ff Web Magazine.
mercoledì, agosto 26, 2009
Stasi? No, grazie
L'Union Berlin è sempre più saldamente al comando della classifica della 2. Bundesliga ma deve rinunciare al suo sponsor milionario, l'ISP, International Sport Promotion. Motivo: il capo del consiglio di sicurezza della società con sede a Dubai, Jürgen Czilinski, è risultato essere stato dirigente della Stasi, il famigerato servizio di spionaggio della vecchia DDR. Per gli Eisern dell'Union una beffa, giacché la Stasi - oltre ad aver rappresentato il braccio di ferro del regime - patrocinava la BFC Dynamo, squadra acerrima rivale ai tempi della Germania Est (la storia è in parte raccontata qui). Dunque, l'onore prima dei soldi: contratto stracciato, pannelli pubblicitari rimossi dallo stadio, logo cancellato dalle maglie bianco-rosse. L'appartenenza alla Stasi di Czilinski è stata in qualche modo la classica ultima goccia che ha fatto traboccare un vaso di incomprensioni sorte fin dai giorni successivi alla stipula del contratto. Non è mai stato chiaro come la danarosa società ISP, costituita solo un anno fa, abbia realizzato i soldi di cui dice di disporre. Nel vago restano anche le sue attività e i tifosi dell'Union, già da tempo, mettevano in dubbio l'opportunità di legarsi ad un'azienda tanto misteriosa. Vista la rapida risoluzione del contratto, al managment della squadra calcistica è possibile rimproverare almeno una certa approssimazione nell'affrontare la vicenda. Resta un problema di non poco conto: come rimpiazzare i 10 milioni di euro che il sodalizio con l'ISP garantiva fino al 2014? Intanto, domani è un altro giorno (che poi vista l'ora è oggi) e all'Alte Försterei ci si gode l'amichevole con il Bayern Monaco.
Cene (e auto di servizio) private e pubbliche virtù
Succede anche in Germania che le campagne elettorali si vadano incarognendo. Dopo la vicenda dell'auto di servizio che la ministra della Salute Ulle Schmidt s'è portata in vacanza ad Alicante, tocca ora alla cancelliera in persona finire nel mirino di critiche e sospetti. Galeotta una cena in onore dei sessant'anni di Josef Ackermann, capo della Bundesbank, organizzata da Angela Merkel con trenta invitati, il 28 aprile del 2008, una settimana dopo il compleanno del banchiere. La trasmissione televisiva ARD Magazine-Report Mainz ha trovato le prove che quella cena non è stata pagata privatamente dalla Merkel ma inserita come spesa di lavoro, e dunque accollata alle tasche dei contribuenti. Dalla cancelleria si rigettano le accuse e si fa notare che non di una festa privata si trattava, ma di un incontro fra trenta personalità dell'economia, del giornalismo e della cultura che per due ore e mezza si sono scambiate opinioni e impressioni sullo stato del paese. Insomma, se non una cena strettamente di lavoro, un incontro conviviale utile a scambiarsi informazioni e, forse, a cementare un rapporto di collaborazione: gli invitati erano tutti in qualche modo vicini alle posizioni politiche di Angela Merkel.
Qui voglio aggiungere solo poche osservazioni. La prima riguarda il giornalismo tedesco. A tirare fuori la notizia è stata una trasmissione dell'ARD. L'ARD non è una tv locale o legata a qualche partito, ma la prima rete televisiva pubblica tedesca. Ve lo immaginate in Italia un servizio del Tg1 che, in piena campagna elettorale, realizza uno scoop che mette in difficoltà il capo del governo in carica? Intendo qualsiasi presidente del Consiglio, non solo Berlusconi, in questo caso non è opportuno avere la memoria corta.
La seconda si riferisce più strettamente alla vicenda. E' sempre difficile delimitare il confine fra un pranzo di lavoro e una festa privata, un'occasione pubblica e una personale. In questo caso non c'erano fanciulle o fanciulli, non si è ballato, non si sono fatte le ore piccole. Anzi qualche osservatore (anche di area socialdemocratica) ha ricordato che incontri di questo genere erano frequenti anche durante il cancellierato di Gerhard Schröder (e semmai si rimpiange che a quei tempi scorreva molto più alcool e girava anche qualche sigaro, "vizi" ai quali l'ex cancelliere amava abbandonarsi). Frank Schirmacher, giornalista della Frankfurter Allgemeine presente alla famigerata cena, racconta oggi sul suo giornale con ironia l'avvenimento: "Sehr viel wurde über Bildung gesprochen und über die Präsentation deutscher Kultur im Ausland. Ich habe sehr profitiert. Niemand schien betrunken. Es wurde nicht getanzt. Petra Roth erwähnte Goethe". Insomma, uno scenario che farebbe inorridire - e morire di noia - i frequentatori di Villa Certosa.
La terza osservazione riguarda invece il clima in cui si sta svolgendo questa campagna elettorale. Il clima dell'elettorato, intendo. Per quanto i tedeschi abbiano sempre richiesto alla politica un alto livello di moralizzazione e si siano scandalizzati per vicende che altrove sarebbero state liquidate con un'alzata di spalle, pare di riscontrare in questi tempi l'effetto di una disaffezione e disillusione verso la politica che alimenta un sentimento di disincanto, se non di latente ribellione. L'alto astensionismo nelle recenti elezioni europee è stato un campanello d'allarme. Per la Germania si tratta di un fenomeno relativamente recente, cui media e analisti hanno cominciato a prestare una crescente attenzione. Ora l'SPD (anche in risposta alla campagna che gli altri partiti hanno fatto sul caso Schmidt) i Verdi e la Linke promettono battaglia sulla cena della cancelliera. Comprensibile in campagna elettorale, ma rischia di essere un terreno scivoloso sul quale tutti i partiti possono scivolare: giocare con la pancia dell'elettorato è sempre un esercizio a doppio taglio. Dal disincanto al qualunquismo il passo può essere molto breve, come testimoniano le vicende di molti altri paesi europei.
lunedì, agosto 24, 2009
venerdì, agosto 21, 2009
mercoledì, agosto 19, 2009
Berlino, l'utopia degli ultimi moicani
Un tratto della Sprea compreso nell'area del progetto Mediaspree (fotowalkingclass)
Al “Bar 25” si arriva scendendo alla stazione di Ostbahnhof, sfiorando i resti del muro della East Side Gallery recentemente ripitturato dagli stessi artisti che l’avevano colorato con i loro graffiti dopo il 1989, e imboccando un ingresso clandestino aperto in una lunga palizzata di legno. E’ il più famoso tra i rifugi alternativi che sorgono sulla sponda orientale del fiume Sprea. Qualcuno lo spaccia come la Christiania di Berlino, la scommessa utopistica degli hippy di Copenaghen, ma l’unica cosa che l’accomuna al più famoso quartiere danese è la difficoltà di sopravvivere alla fine delle utopie. “Bar 25” chiuderà a fine agosto, giusto il tempo di vivere l’ultima estate in riva al fiume e di far respirare ai suoi clienti anticonformisti l’atmosfera frizzante di un ritrovo balneare nel cuore della metropoli. La torre di Alexanderplatz si illumina sullo sfondo, le acque scure del fiume rimandano un po’ di frescura e i vagoni della metropolitana che scorrono sul ponte a destra proiettano nella notte berlinese luci psichedeliche e rumori meccanici.
All’interno si fa di tutto, e non sempre a prezzo politico. Ci si può sedere con una bottiglia di birra sul bordo del fiume, sulla sabbia o sull’erba o, se si è fortunati, su una delle sdraio stile Rimini anni Sessanta, oppure ci si può gettare sulla pista da ballo con un cocktail recuperato dal bancone, o infine sedersi ai tavoli del ristorante, sotto le stelle o sotto il patio coperto, a seconda delle condizioni meteo e della disponibilità di posti. E qui il conto può essere anche salato, perché chi cura pietanze e cantina ha voluto dare alla cucina un tocco da gourmet.
Un collettivo di quattordici persone gestisce l’intero complesso, una sessantina fa parte del gruppo fisso. Vivono in comunità e ogni decisione viene approvata assieme: difficile trovare un capo, anche perché nessuno vuole esserlo. Il ristorante, come tutto il resto, lo hanno tirato su da soli, anche se gli autori del progetto non avrebbero difficoltà a farsi ingaggiare da un famoso studio di architettura d’interni. Tutto è venuto su per caso, con gusto spontaneo e con una caparbia voglia di resistere alle mode. E tuttavia è l’angolo più affascinante di Berlino, esteticamente bellissimo, orgogliosamente alternativo. Nei diecimila metri quadrati di area, trova posto anche un ostello fatto di capanne in legno, un piccolo cinema all’aperto, una radio autogestita, spazi per mostre ed eventi: un’utopia divenuta con il passare del tempo sempre più pragmatica e oggi minacciata da un mega progetto immobiliare destinato a rivoluzionare tutta questa area lungo la Sprea.
Il progetto si chiama Mediaspree, raggruppa investitori, proprietari terrieri e imprenditori che hanno deciso, attraverso un nuovo sviluppo urbanistico, di cambiare il volto di quest’area sulle due sponde del fiume, che racchiude in sé molte simbologie. E’ il punto di raccordo fra le due metà di Berlino, l’est e l’ovest, il luogo in cui si incontrano i due quartieri storici dell’anima anarchica cittadina, Friedrichshain e Kreuzberg, abitati da artisti, alternativi, squatter e immigrati turchi: 270mila abitanti, come una città di medie dimensioni, oggi riuniti da una recente riforma amministrativa che ha accorpato i quartieri berlinesi. Alla guida un borgomastro verde, Franz Schulz.
Il progetto s’incentra sul nuovo palazzo multifunzionale O2-World, inaugurato lo scorso autunno, che già ospita a rotazione le partite delle locali squadre di basket e hockey su giaccio e concerti rock delle star tedesche e internazionali. Un gruppo giapponese sta costruendo un nuovo albergo della catena spagnola NH e il piano prevede altri uffici, appartamenti di lusso, alberghi. L’obiettivo degli investitori è di attirare in quest’area le sedi delle società di media, della moda, magari delle nuove tecnologie. E il Senato berlinese guidato dalla sinistra, socialdemocratici più Linke, ha dato l’avallo.
Esattamente un anno fa gli abitanti dei due quartieri, che nessuno ha sentito il dovere di interpellare quando il progetto è partito, hanno potuto recarsi alle urne e dare il loro giudizio, puramente consultivo, con un referendum: hanno vinto i contrari con l’87 per cento dei voti. Un plebiscito. Così la lotta è ripresa, anche con un po’ di violenza. Nel quartiere di Kreuzberg non è solo il Mediaspree a sollevare la rivolta degli anarchici. Da quando il Muro è caduto, il quartiere un tempo snobbato perché circondato dal confine si è ritrovato nel centro della Berlino riunificata, attirando gli appetiti del settore immobiliare. C’è voluto un po’ di tempo ma, piano piano, la speculazione è arrivata: nuovi condomini di lusso, ristrutturazioni costose, progetti anche un po’ pacchiani come quelli che prevedono posti auto sul pianerottolo, di fianco alla porta di casa. Le cronache cittadine degli ultimi giorni riportano notizie sul lavoro straordinario cui sono costretti i vigili del fuoco per spegnere gli incendi ai nuovi cantieri causati da attentati incendiari notturni.
Tornando verso la sponda del fiume, questa volta sul lato del quartiere Treptow, ex Berlino est, a rischio è un altro esperimento di vita fuori dai canoni tradizionali. E’ lo “Schwarzer Kanal”, letteralmente “canale nero”, un sito abitativo costituito da roulotte, non troppo diverso dagli accampamenti gitani che si ritrovano nelle campagne dell’Europa danubiana o, meno romanticamente, nelle periferie delle metropoli occidentali. In tedesco si chiamano Bauwagenplatz: ma anche qui, vita comunitaria e stile alternativo hanno le settimane contate. Hochtief, un complesso industriale di costruzioni, istallerà la sua filiale berlinese e ha consegnato agli abitanti dello Schwarzer Kanal la lettera di sfratto: primavera 2010. Altri dodici siti abitati da 320 persone, dispersi un po’ in tutta la città, rischiano di subire la stessa sorte: nel 2002 l’amministrazione dei proprietari terrieri e la centrale degli architetti tedeschi hanno presentato un esposto contro i Bauwagenplatz accusandoli di esporre gli abitanti dei complessi vicini a una grave situazione di degrado urbanistico.
I fuochi di Kreuzberg, l’opposizione degli elettori e la rassegnata delusione degli alternativi di “Bar 25” e delle altre comunità sorte lungo la Sprea sono facce differenti di una stessa storia: quella della Berlino alternativa che va scomparendo, marginale rispetto ai profondi processi modernizzanti dell’Europa occidentale eppure ancora orgogliosa e ribelle. E’ in fondo un altro pezzo della vecchia Berlino ovest che tramonta, assieme alla memoria degli anni Settanta e Ottanta, al fenomeno dei punk e poi degli squatter, delle case occupate e degli stabili fatiscenti acquisiti a prezzo politico e rivoltati a centri di cultura underground. Un’utopia che aveva trovato nuova linfa nelle aree dismesse di Berlino est, subito dopo la caduta del Muro, ma che adesso sembra arrivata al capolinea.
L’assedio non si ferma a Kreuzberg e Friedrichshein. Nel centrale quartiere di Mitte vive tempi incerti un altro locale storico, il “Tacheles” sulla Oranienburgerstrasse. Di fatto è una galleria d’arte moderna, messa su nel 1990 da un gruppo di artisti anarchici in un palazzo malandato destinato alla demolizione. E’ divenuto un centro sociale con tanto di mostre, cinema per pellicole indipendenti, un laboratorio sperimentale e il celebre caffè Zapata, pasto completo a otto euro. Il nome, di derivazione yiddish, richiama la censura ai tempi della Ddr: Tacheles significa “parlar chiaro”, cosa proibita ai tempi del regime. Oggi è un pugno nell’occhio (benefico secondo alcuni, superato secondo altri) in un’area in cui gli investimenti immobiliari degli ultimi vent’anni hanno completamente trasformato l’atmosfera. I suoi muri crepati cozzano con il travertino liscio di un’hotel di lusso, gli appartamenti attorno hanno prezzi proibitivi per la maggior parte dei berlinesi e i nuovi proprietari del suolo hanno in mente di buttare giù il rudere degli artisti alternativi per realizzare ancora un albergo. Dunque, il Tacheles è sotto sfratto e prosegue la sua agonia nella speranza che la crisi che ha investito il settore immobiliare rallenti i progetti e prolunghi il più possibile la propria esistenza.
Economia e utopia paiono andare d’accordo solo nelle teorie delle moderne architetture. Quando si passa alla pratica, quello che intendono gli urbanisti e quello che vorrebbero gli utopisti appare del tutto inconciliabile. Una città moderna, una metropoli europea contemporanea, non riesce più a tollerare spazi autogestiti all’interno del suo perimetro urbano. C’è un mondo che scompare, che non va giudicato ma raccontato anche nelle sue ultime illusioni, perché almeno qui a Berlino ha fatto storia e letteratura di una capitale che si è autorappresentata diversa, forse anche per sopravvivere alla condizione inedita di città divisa. E c’è un mondo che è pronto al compromesso, che non compie attentati ma che, ad esempio, spinge per inserire nel progetto ormai inevitabile del Mediaspree cinture verdi, piste ciclabili, spazi condivisi. E’ la maggioranza di quell’87 per cento che ha votato contro il progetto e che ora si è messa attorno a un tavolo assieme al borgomastro verde e ai responsabili delle imprese immobiliari per trovare l’araba fenice dell’utopia pragmatica.
(pubblicato sul Secolo d'Italia di luglio 2009)
lunedì, agosto 17, 2009
Jackpot, nuovo giro nuova corsa
Dopo il successo del primo volo (a Milano), la Bild ci riprova e spedisce 55 lettori a Rimini per ritentare la fortuna del Jackpot italiano. In questa stagione Rimini appare più invitante del capoluogo lombardo e così l'Italia inaugura il turismo mordi e fuggi da Jackpot. Al ministro Brambilla non sarebbe mai venuto in mente, i tedeschi invece si stanno organizzando da soli. Da Berlino piovono telefonate a parenti, amici e vacanzieri in Italia per giocate collettive. L'Europa si unisce nel nome del Lotto e chissà che con questa organizzazione spontanea il Jackpot tricolore non finisca nelle tasche di qualche giocatore tedesco.
domenica, agosto 16, 2009
Nove e cinquantotto
Un lampo nero nella notte di Berlino, nove e cinquantotto è il nuovo record mondiale del giamaicano Usain Bolt nei cento metri.
2. Bundesliga, l'Union Berlin parte a razzo
Mentre gran parte dell'attenzione internazionale si concentra sul mondiale di atletica leggera che da ieri si disputa all'Olympiastadion di Berlino, il campionato di calcio tedesco è giunto alla seconda giornata. Liquidata la Bundesliga con le constatazioni che i campioni in carica del Wolfsburg sono già al comando e confermano di essere una squadra solida e capace di aprire un vero e proprio ciclo e che Felix Magath (oggi allo Schalke e in testa pure lui) è un tecnico coi fiocchi, ci concentriamo sulla seconda liga dove milita l'Union Berlin, la squadra che questo blog ha adottato e della quale abbiamo qui raccontato la favola dei suoi tifosi. Bene, anche nella serie cadetta siamo alla seconda giornata e l'Union si presenta con le carte in regola per disputare una stagione di rilievo. Al momento è prima, vanta una migliore differenza reti rispetto al Kaiserslautern e attende senza troppe ansie il risultato del St. Pauli nel posticipo del lunedì. Ieri, ovviamente, eravamo all'Alte Försterei a seguire la partita fra Union e Fortuna Düsseldorf, vecchia gloria del calcio tedesco sprofondata l'anno scorso in terza divisione e promossa in seconda liga assieme all'Union. I biancorossi di Köpenick, il quartiere orientale di Berlino, hanno giocato un incontro perfetto, scambi veloci, grande aggressività specie nel primo tempo, buona forma fisica per essere a inizio stagione. Un piccolo calo nel secondo tempo, poi il gol un po' fortunoso, forse nel momento migliore degli ospiti e qualche spreco di troppo nei prevedibili contropiedi finali. Nel complesso un successo meritato. Questa Union potrà farci divertire anche nella "serie B" tedesca. Qui il quadro completo.
Ipse dixit/1: Walter Ulbricht
"Niemand hat die Absicht, eine Mauer zu errichten" (15 giugno 1961). "Nessuno ha intenzione di erigere un Muro". Walter Ulbricht, presidente della Ddr dal 1960 al 1973 e segretario generale della Sed dal 1950 al 1971, pronunciò questa frase nel corso di una conferenza stampa in risposta a una domanda posta da una giornalista della Frankfurter Rundschau. Era il giugno 1961 e le speculazioni sulle intenzioni da parte della Germania orientale di rinforzare il confine tra le due Berlino si facevano sempre più insistenti. Due mesi dopo, nella notte fra il 12 e il 13 agosto 1961, cominciò la costruzione del Muro che avrebbe diviso Berlino per ventotto anni. Nella foto (fonte DHM) Walter Ulbricht siede accanto al segretario generale del Pcus Nikita Chrusciov, in occasione della visita di quest'ultimo a Berlino Est.
mercoledì, agosto 12, 2009
Alla conquista del Jackpot italiano
La Bild, il quotidiano popolare tedesco da 5 milioni di lettori, organizza una squadra d'assalto teutonica per conquistare il Jackpot italiano di 131 milioni e mezzo di euro. Il programma è semplice: volo Air Berlin in partenza da Tegel per Milano verso mezzogiorno, pranzo, bevute e, per chi dovesse reggersi ancora in piedi, una puntata in tabaccheria per tentare la sorte al nuovo giro. Il titolo con cui il tabloid lancia la propria offerta è bellicoso: andiamo a rubare agli italiani il loro Jackpot. Sulla qualità dei lettori che sbarcheranno all'aeroporto milanese non c'è da farsi troppe illusioni. Per accaparrarsi uno dei 140 posti messi a disposizione dalla Bild bisogna partecipare a una lotteria preventiva, telefonando fino alle 16 in redazione e rispondendo alla domanda: "Dove va il nostro aereo per giocare al Lotto, in Italia o a Timbuktu?". Chi verrà estratto a sorte sarà molto fortunato, perché c'è da immaginare che anche un lettore della Bild possa indovinare che il panzer-volo per conquistare il Jackpot italiano, tutto sommato, non possa atterrare a Timbuktu. Qui il dettaglio dell'iniziativa.
martedì, agosto 11, 2009
Ritratto di Berlino
"In effetti di Berlino mi piace proprio ciò che la distingue da Amburgo, Francoforte, Monaco: i resti delle rovine, nelle quali hanno messo radici faggi e arbusti alti quanto un uomo; i buchi dei proiettili sulle facciate scassate dei palazzi grigi come la sabbia; le immagini pubblicitarie sbiadite dei muri ciechi che reclamizzano sigarette e liquori scomparsi da tempo. Talvolta, nel pomeriggio, dall'unica finestra di uno di questi muri appare una faccia, la testa sopra i due gomiti appoggiati su un cuscino, un volto incorniciato da qualche migliaio di mattoni: ritratto di Berlino. I semafori sono più piccoli, le stanze più alte, gli ascensori più vecchi che nel resto della Germania; l'asfalto è ricco di crepe dalle quali riaffiora il passato. Berlino mi piace soprattutto d'agosto, quando le saracinesche sono chiuse e sulle vetrine si leggono messaggi che annunciano una riapertura sempre meno credibile; quando i 90.000 cani vanno in ferie e intorno ai tergicristalli delle poche auto rimaste si arrotolano i manifestini pubblicitari di un qualsiasi spettacolo life; quando dietro le porte aperte di un bar le sedie rimangono vuote e nella stanza due clienti sparsi non alzano più la testa, nemmeno se per caso entra un terzo".
Peter Schneider, Il saltatore del Muro, 1982
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