giovedì, ottobre 09, 2008

Tic tac, tic tac

Nella mia nuova casa berlinese, nella cucina riempita di sapori e attrezzi mediterranei, hanno trovato spazio due oggetti che a Roma non avevo mai messo in funzione. Due orologi da muro. Adesso fanno bella mostra nella cucina. Funzionano con le pile (batterie) e, quando come adesso è notte fonda e il cortile interno è tutto in silenzio, sprofondato da ore nel sonno teutonico, che è un po' il sonno dei giusti, di quelli che si sono svegliati presto, hanno lavorato, forse prodotto, di certo si sono stancati, e alle due della notte sono nelle braccia di Morfeo almeno da tre o quattro ore (non tutta Berlino tira tardi fino al mattino)... insomma, se c'è silenzio, e come stasera neppure un filo di vento che spira dal Brandeburgo o da ancora più ad est, dalle pianure polacche, dalle steppe bielorusse, dalle tundre oltre Mosca, un vento che fa sibilare alberi e rami, foglie e cespugli (quanto è verde Berlino!)... se insomma tutto tace fuori dalla finestra, allora il ticchettio dei due orologi si sente eccome, penetra ritmando nel cervello, ora uno, ora l'altro, tic tac, tic tac, senza coordinamento, senza grazia. I due orologi sono uguali e diversissimi. Uguali nel colore, argento metallizzato. Diversissimi nella forma. Pretenziosi tutti e due. A destra c'è una versione moderna di un orologio a cucù. Quando ero a Roma avevo sempre desiderato un orologio a cucù, di quelli antichi e barocchi, di legno e sincronizzati, prodotti nella Foresta nera, con i pupazzetti - gli uomini nei calzoncini tradizionali e le donne nelle ampie gonne dei secoli andati - che quando è l'ora di uscire allo scoperto, al suono del cucù, fanno un'inutile ma divertente comparsa all'esterno, e sembra che ti salutano, proprio a te che stai lì di fronte come un fessacchiotto. Ora che sono a Berlino, guai ad avere un oggetto cosi kitsch. E infatti, il mio cucù berlinese è tutto argentato, un cucù da discoteca. direi troppo kitsch per essere semplicen+mente kitsch, con il passerotto che dondola (niente sottintesi, per carità) e il ticchettio insopportabile. Comunque è a destra della finestra: la tradizione, il conservatorismo, il buon vecchio tempo andato e visto che siamo in Germania, la Baviera. A sinistra, invece, c'è l'orologio che tutti quelli che fanno i giornalisti sognano di avere anche se non serve a niente: l'orologio internazionale, con nove orari di nove città-mondo e nove diversi fusi orari. Banalizzo: la modernità, il cosmopolitismo, il progresso, forse l'internazionalismo simbolizzato dal fatto di stare qua e di sapere che ora fa là. Non mi chiedete che cosa me ne faccia. Niente, ovviamente, salvo di questi tempi sapere con esattezza quando sta crollando la borsa di Tokyo, quando quella di Hong Kong, quando quella di Francoforte e quando arriva il momento del crollo di Wall Street. In questo non mi frega nessuno: meno quattro, tre, due, uno... tutti giù per terra! Per il resto non serve a niente, perché peraltro Berlino e Roma sono nello stesso fuso orario e purtroppo nessun quotidiano moscovita (c'è anche Mosca fra i nove, previdenti!) sembra interessato alle mie rade corrispondenze. Dunque il risultato è che in uno spazio uguale dell'orologio a cucù che è a destra, a sinistra ci sono nove orologi in un singolo quadro, che funzionano con nove batterie e fanno nove volte il casino che fa l'orologio a cucù. Non ci avevo pensato, sembra la politica italiana. Visto che non volendo, alla fine l'ho buttata in politica, diciamo ancora che l'orologio unico mi fa un po' di paura (e anche un po' di tristezza), l'orologio a nove teste è una caciara, una cacofonia se volete, ma almeno fra di loro discutono dove mettersi la lancetta dei secondi.