venerdì, ottobre 19, 2007

La Polonia al voto e il ritorno dell'Europa

Varsavia. Se Jaroslaw Kaczynski avesse prestato più attenzione all’intero paese e non solo al suo elettorato profondo, forse adesso non si troverebbe nella condizione di dover inseguire il suo principale avversario a tre giorni dalla data del voto. La svolta pare certificata da tutti i sondaggi, fino a ieri ancora ondivaghi e discordanti. Oggi non lo sono più, e tutti registrano che il leader dell’opposizione liberale, Donald Tusk, ha preso il largo dopo aver vinto l’unico dibattito televisivo con il premier di questa campagna elettorale. Il suo partito, Piattaforma Civica, è accreditato del 39 per cento. Segue Giustizia e Libertà dei gemelli Kaczynski a 4-5 punti di distanza, mentre i socialdemocratici dell’ex presidente Kwasniewski restano piantati al 15 per cento.

Il gemello premier si è fatto battere sui temi dell’Europa e dei turbolenti rapporti internazionali. E’ stato incalzato dallo sfidante che lo ha accusato di incompetenza e di aver isolato la Polonia dai suoi vicini naturali come Germania e Russia e dal contesto europeo. Il premier non è riuscito ad opporre risposte convincenti e, fuori dal bozzolo protetto delle convention di partito, è apparso incerto.

D’altronde il paradosso polacco è che tutto, in questo paese, richiama l’Europa, sin da quando si attraversa il confine dalla Germania, sul lungo ponte che attraversa l’Oder dopo aver lasciato la Francoforte dell’est. E proprio nel momento in cui Varsavia si diletta nel ruolo del guastafeste ad ogni summit europeo (ma questa volta a Lisbona le divergenze dovrebbero essere superate), le sue terre raccontano la storia del continente, le sue tragedie, le sue turbolenze, le sue passioni. Ed è una storia a lieto fine, fatta di frontiere che evaporano e di popolazioni che s’incontrano, di rivalità che si chiudono, forse per sempre. Un confine d’acqua, quello del fiume Oder, che segna una certezza nella geografia della Nuova Europa. Cristallizza le responsabilità storiche, le punizioni accettate come colpa da espiare. E’ la garanzia che dopo la seconda guerra mondiale, la guerra fredda, la fine delle ideologie e dei muri, s’è aperta una storia nuova, questa sì dal volto umano.

L’Oder, in questo punto, è quasi sempre stato una frontiera, anche quando il Reich tedesco si estendeva a nord e a sud, verso la Pomerania e la Slesia, verso Stettino e Breslavia. La regione un po' piu' a est si chiama Wielkopolska e ha sempre costituito il cuore del paese, anche nei periodo in cui è stata occupata dai tedeschi. I nomi delle città e delle vie, i palazzi, i monumenti e le piazze parlano polacco ma l’università di riferimento, oltre a Poznan, è quella di Francoforte sull’Oder, volutamente ridisegnata nel nome dell’unità tedesco-polacca, la più importante accademia transfrontaliera d’Europa. Le frizioni ritornano, alimentate dalla demagogia politica, dal passato non digerito e quindi strumentalizzato, dalle paure a volte alimentate ad arte ma la gente vive i tempi nuovi con semplicità e naturalezza. E se avessero tempo da perdere, i polacchi percorrerebbero a piedi il ponte sull’Oder che li unisce a Francoforte avanti e indietro, senza mai fermarsi: una danza gioiosa sui piloni piantati nell’acqua, su quel confine che per tanti anni è stato luogo di tragedie, strazi e annegamenti, esattamente come danzavano i giovani di Berlino la notte in cui il Muro se ne venne giù.

E’ su questo che i gemelli Kaczynski rischiano di perdere la loro scommessa politica. La Polonia vive una quotidianità diversa da quella che siamo abituati a leggere sui giornali. Sulla stampa fa notizia solo l’eccentricità, la drammatizzazione, l’enfasi. Finiscono in prima pagina le contrapposizioni artificiali della politica, le spacconate dei protagonisti del momento, le piccole guerre di posizione per il potere e viene emarginata dai racconti e dai reportage quella che chiameremmo la Polonia reale. I milioni di cittadini che lavorano, sgobbano, s’industriano, a volte si arrabattano, e che tutti assieme realizzano quella crescita dell’economia che da dieci anni a questa parte ha consentito al paese di sganciarsi dalle secche della transizione e muovere speditamente verso condizioni di benessere si possono cominciare a paragonare a quelle dell’Europa dell’ovest.

E’ una crescita diseguale, caotica, irregolare, che non coinvolge tutti e lascia ai margini quanti sono impegnati nei settori più tradizionali, o coloro che per età hanno più difficoltà ad adattarsi alle diavolerie della concorrenza e del libero mercato. Non è tutto oro quello che luccica nel modello polacco, ma almeno luccica. Dieci anni fa c’era la disperazione per una transizione che appariva senza via d’uscita. Vent’anni fa c’era ancora il comunismo e il disastro economico lasciato dal generale Jaruzelski. La politica, invece, interessa poco perché negli ultimi tempi è sembrata vivere su un pianeta parallelo. Ventiquattro mesi fa, quando i gemelli Kaczynski infilarono la sorprendente doppietta (vittoria alle politiche e alle presidenziali) in nome della lotta morale alla corruzione, andò a votare la metà degli aventi diritto. Il cinquanta per cento. Una delle percentuali più basse di tutta Europa. Questa volta chissà: Donald Tusk promette di ricucire il rapporto tra politica e cittadini.

(Pubblicato sul Secolo d'Italia del 19 ottobre 2007)