domenica, settembre 09, 2007

L'inno degli altri

Non c'entra come scusa la recente rivalità con la Francia. Perché questo vizio di fischiare allo stadio gli inni degli altri, noi italiani lo abbiamo da sempre. Anche quando in campo non ci sono gli azzurri. Milano e Roma fischiarono l'inno argentino nei tristemente famosi Mondiali '90, all'esordio e alla finale, la prima volta per punire (chissà perché) Diego Armando Maradona, la seconda perché i biancocelesti ci avevano sfilato la finale nei rigori del San Paolo. Poi abbiamo proseguito. E quasi non passa partita che i nostri tifosi, anche all'estero, quando si alzano le note degli inni degli altri, danno sfogo al fiato proveniente dal basso ventre. Istinti primordiali, spesso in mondovisione. Che poi sia una specialità del tifoso di calcio, vero anche questo: basta vedere il trasporto con cui gli appassionati di rugby cantano l'inno italiano e applaudono quelli altrui (Marsigliese compresa) durante il Sei Nazioni. Sarà che chi non ama il proprio inno non può rispettare quelli degli altri (e il recente attaccamento nazionale a musiche e parole di Fratelli d'Italia sa un po' di posticcio). Sarà che i cattivi esempi hanno sempre la meglio, e allora quelli del rugby dovranno stare molto attenti. Anche perché, in quello sport, gli altri non capirebbero. E forse ci metterebbero alla porta, con un bel cucchiaio di legno alla maleducazione.