sabato, giugno 30, 2007

Il Veltroni sottovalutato

Attenzione: post lungo.

Intervengo ormai raramente sulle vicende politiche italiane. La distanza non aiuta a comprendere a fondo la portata degli avvenimenti. Tuttavia, la decisione di Walter Veltroni di assumere la guida del PD e di candidarsi a premier alle prossime elezioni, mi è apparsa subito come una svolta per la politica interna. Al di là di quello che avrebbe detto o non detto nel discorso di Torino. E ben oltre la portata della nascita del partito democratico, che è un'operazione ancora piena di insidie e di incertezze, che lascia pericolosamente scoperto il lato a sinistra della politica italiana e che tuttavia una qualche scossa l'aveva creata. Non per l'immediato, semmai per il futuro. Ora però il partito democratico ha un volto e un'anima che ne riassume le diversità e le complessità. Ha il volto e l'anima di un politico esperto, che obbliga il centrodestra a quel salto generazionale che, a mio avviso, avrebbe dovuto già compiere nei mesi passati. Non l'ha fatto e oggi si trova a dover rincorrere, sia sulla proposta politica (il rassemblement unitario), sia su quella della leadership. Ho letto sbadatamente le reazioni dei politici e della stampa vicina al centrodestra e non mi pare che si sia avvertita la novità dell'opzione-Veltroni. Sono prevalse le battute, gli slogan, le analisi scontate. Ricordo a chi ha la memoria corta che fu proprio la mancata percezione della forza della discesa in campo di Silvio Berlusconi, nell'inverno del 1994, a far sbarellare la formidabile macchina da guerra di Achille Occhetto. Ora la storia sembra ripetersi, alla rovescia. Riprendo qui di seguito (e per intero) una delle poche analisi che mi pare centrino bene la questione, anche in riferimento alle reazioni del centrodestra. E' pubblicata sul Foglio di oggi ma, forse, non a caso è scritta da un giornalista non di destra. E' scritta da Lanfranco Pace, s'intitola "Tutto quello che i berluscones non vogliono ma dovrebbero vedere di W". Buona lettura.

"Quando un generale non vuol vedere che l’avversario ha messo in campo nuove armi e mezzi più moderni, continua a cullarsi in una valutazione sbagliata dei rapporti di forza, si ostina a scommettere sulla tenuta di posizioni considerate inespugnabili e sulla bontà di tattiche collaudate, accade che la sua armata partita al fronte cantando, con il fiore nella canna del fucile, finisca per perdere senza nemmeno aver sparato un colpo. E’ una “drôle de guerre”, quella che sta combattendo il centrodestra e se non s’interviene in fretta, l’esito infausto è garantito.

La scesa in campo di Veltroni è un avvenimento in sé, indipendentemente da quello che dice e da come lo dice. E’ un dato di discontinuità e un’accelerazione importante per tutto il sistema politico. La sua candidatura a leader del Partito democratico, a cui seguirà la costruzione meticolosa ma rapida della sua immagine come solo premier possibile del centrosinistra significa l’irruzione della guerra di movimento nella vecchia e logora guerra di trincea. Veltroni non è Blair: è Guderian che sta scaldando i motori dei carri. Non importa che avrebbe preferito rinviare l’attacco, che si è trovato spiazzato e messo spalle al muro dalla pressione dei cosiddetti amici. Ci sono uomini politici che decidono e agiscono in fretta e poi esitano, indietreggiano. Altri invece traccheggiano, stanno sul posto finché possono, poi però una volta deciso, vanno avanti spediti come treni.

Veltroni appartiene a questa categoria. Non è bene perciò che Silvio Berlusconi abbia liquidato il discorso del Lingotto con la spocchia del vecchio maresciallo di Francia, il petto appesantito dalle medaglie. Che il Giornale abbia titolato a tutta pagina “sans rire” che “il programma di Veltroni è copiare Berlusconi”: primo non è vero, secondo se fosse vero sarebbe ancora peggio per il centrodestra, terzo di cose così non gliene frega niente a nessuno. Duole infine che menti raffinate per di più di cari amici abbiano seguito piattamente, senza nemmeno un punto di domanda. Che senso ha scrivere che è tutto un carosello di suoni e luci nel paese che i caroselli li adora o ancora che l’America dove le primarie sono una cosa seria boccia il “candidato”, quando è noto che il nostro popolo ha come metro di giudizio il rispetto scrupoloso del meccanismo delle primarie? E infine tu quoque Vichi Festa, perché accusarlo di essere un parolaio, figlio della solita gnagnera del “vogliamo questo e il suo contrario”, soltanto perché in poco più di un’ora Veltroni ha detto che bisogna difendere l’ambiente, fare un patto tra le generazioni, costruire la Tav e le discariche, investire nella scuola dimenticando l’energia nucleare, l’età pensionabile, la critica del ribellismo locale e dello spirito del ’68? Ci vorrebbe un vero cretino per uscire dalla tana, presentarsi al primo beauty contest e mettersi a straparlare di date, cifre e impegni, senza nemmeno aver incassato l’elezione a segretario, ma tutto si può dire di Veltroni tranne che sia un cretino.

Il rischio è che le belle parole e le facili polemiche demagogiche avvalorino questo clima di stolta euforia che si avverte intorno al Polo, per il Prodi non più bollito ma brasato, per il governo sempre più mal visto, per il nord dove si giura che gli altri non passeranno mai. Quei famosi dieci punti in più, Berlusconi dovrebbe essere il primo a sapere che come sono venuti se ne vanno, magari in poche settimane, perché conquistare e tenere è sempre difficile. Veltroni non è Blair? E allora? Berlusconi ha i capelli cotonati, non è figlia di un droghiere e non porta la borsetta al braccio, ma la sua strada l’ha fatta. Veltroni non è un ossimoro. Non è la coniugazione degli opposti. E non è nemmeno buono, comunque non particolarmente e non più di tanti altri. E’ un politico navigato e abile, che a torto o a ragione sa far sognare chi ha bisogno di sognare.

Si muove con la prudenza di un indiano, perché sa perfettamente che in questo paese, come d’altronde in Francia, una politica costruita attorno all’agenda Giavazzi-Ichino-Salvati e quanti altri sarebbe impallinata al primo passo. Il riformismo di principio, moderno, democratico e liberale non sarà mai un pilastro, al massimo qualche vaso di gerani per abbellire finestre e balconi. Il resto va conquistato pezzo a pezzo di volta in volta, in un negoziato sfibrante e permanente. Per questo lo strumento più importante per governare, l’unico che forse paga, è dire sempre la verità a tutti. Sarkozy l’ha capito. Ora lo ha capito anche Veltroni. Sarebbe ora che lo capisse anche la destra italiana".