sabato, febbraio 27, 2010

Chi salverà il mito di Abbey Road?



Londra. Costretto a rallentare, il tassista si volta e sbotta: «Vede, ogni volta che passo da qui sempre la stessa storia. Quattro stramaledetti turisti si mettono a fare su e giù per le strisce pedonali mentre un loro amico li fotografa. Poi, non contenti, si scambiano i ruoli e questa pantomima può durare anche qualche minuto. Io, se posso, Abbey Road la evito. E sì che resto un fan dei Beatles». Le strisce pedonali, lievemente spostate rispetto alla posizione originale del 1969, sono appunto quelle di Abbey Road. La foto con i quattro Beatles che le attraversano in una soleggiata mattinata londinese, scattata da Ian McMillan, è stampata ad eterna memoria sulla copertina dell’omonimo long playing, l’ultimo registrato dal quartetto di Liverpool negli studi lì accanto (il successivo Let it be era stato inciso precedentemente). Gli studi discografici della Emi, i più famosi del mondo, quelli dove i Beatles registrarono il 90 per cento dei loro successi.

Nelle prossime settimane il pellegrinaggio di turisti e amanti dei Beatles e della musica potrebbe addirittura aumentare e il nostro tassista e i suoi colleghi faranno bene a passare al largo. Gli studi sono in vendita. La società che li gestisce da settantanove anni, la prestigiosa Emi, li ha messi sul mercato con l’obiettivo di racimolare 10 milioni di sterline necessarie a parare il colpo del leveraged buy-out (l’acquisizione di una società attraverso il debito) messo a segno dal fondo Terra Firma nel 2007: un’operazione che ha fatto impennare l’indebitamento dell’azienda, una storia legata anch’essa alle conseguenze della crisi finanziaria che ha investito i più grandi istituti bancari globali. Ad attirare i compratori, come ha fatto intendere al Financial Times un avvocato della Emi, dovrebbe essere il fascino del marchio e non solo la bellezza del palazzo e le apparecchiature che ci sono dentro. Ma è come mettere in vendita un pezzo di storia della musica mondiale e soprattutto il profumo di quei quattro musicisti che il 6 giugno del 1962 il compositore George Martin, poi divenuto anch’egli discografico, portò negli studi di Abbey Road.

L’allarme è scattato non solo tra i fan della musica. Preoccupato che questa icona possa finire nelle mani di un acquirente sbagliato è intervenuto addirittura il National Trust, l’ente che gestisce il patrimonio storico-architettonico del Regno Unito. E mentre i nostalgici sperano (e s’illudono) che possa essere proprio Paul McCartney, mosso da intenti sentimentali, ad acquistare il palazzo, il National Trust pensa più realisticamente di lanciare una campagna internazionale per salvare quello che non è semplicemente un asset finanziario ma un vero e proprio patrimonio nazionale.

Dall’esterno il palazzotto sembra quello che fu un tempo: una semplice ed elegante costruzione ottocentesca in stile georgiano piazzata nel quartiere aristocratico di St. John’s Wood, nella zona settentrionale di Londra. Curiosamente, venne acquistato dalla Emi per centomila sterline proprio in un altro anno legato a una devastante crisi economica globale, il 1929. Due anni di ristrutturazioni, quindi l’inaugurazione, il 12 novembre 1931 con la storica registrazione condotta nello studio 1 dal compositore inglese Sir Edward Elgar di Land of hope and glory, suonata dalla London Symphony Orchestra alla presenza di George Bernard Shaw. Alla musica classica gli studios hanno fornito grandi contributi come la rimasterizzazione di molte registrazioni effettuate nella chiesa metodista di Kingsway Hall, dotata di un’acustica eccezionale ma finita anch’essa negli archivi storici della città: fu demolita dieci anni fa per lasciare spazio a un hotel che ne ha ripreso il nome.

Negli anni della seconda guerra mondiale gli studi vennero utilizzati dal governo per trasmissioni di propaganda e dalla BBC per registrare i suoi notiziari. Ma è alla stagione post-bellica e alla nascita e allo sviluppo della musica rock dagli anni Sessanta fino agli anni Ottanta che è legata gran parte della sua leggenda. I Beatles ci capitarono ancora poco conosciuti nel 1962 e vi rimasero fino al 1969, registrando quasi tutti i loro singoli e i loro long playing, fino all’ultimo cui diedero proprio il nome di Abbey Road. Fu un evento particolare per la storia del gruppo di Liverpool. I quattro erano ormai prossimi allo scioglimento, Lennon, Harrison e Starr erano tutti presi dai loro nuovi interessi e l’unico che riuscì a tenere i cocci insieme, anche perché c’era ancora un impegno da rispettare nel contratto della Emi, fu Paul McCartney. Non ci furono i memorabili litigi che avevano segnato la incisione dei precedenti due dischi, ma gran parte dell’album fu registrato separatamente e le uniche sessioni comuni furono quelle in cui vennero realizzate le basi ritmiche. Lennon avrebbe voluto piazzare le sue canzoni sul lato A, relegando quelle di McCartney al lato B. Nonostante il clima ormai di rottura fu un bel lavoro, che non risentì della frammentarietà con cui venne realizzato.

Ian McMillan, famoso fotografo scozzese trapiantato da Dundee a Londra e amico di Yoko Ono conobbe John Lennon e fu amicizia al primo colpo. Fu così che Lennon gli chiese di lavorare alla copertina dell’album e McMillan decise di non spostarsi troppo dalla sede degli studios e di portare i quattro Beatles a passeggio sulle strisce pedonali di fronte. Sei scatti realizzati alle 11 e mezzo del mattino, per evitare la presenza dei fan generalmente concentrata nel primo pomeriggio quando i musicisti erano soliti arrivare per le registrazioni, con un bobby che si godeva la scena bloccando il traffico cittadino. Dall’anno dopo gli studios della Emi presero il nome di Abbey Road, aprendo la strada alla leggenda.

Dal 1957, quando Cliff Richard e i Drifters incisero Move It, il primo singolo rock europeo, da qui sono passati i grandi nomi della musica rock internazionale. Dai Pink Floyd a Manfred Mann, dagli Hollies a Gerry and the Peacemakers ai Manic Street Preachers, dai Queen ai Deep Purple, dai Police agli U2, fino alla new wawe anni Ottanta con gli Spandau Ballet e i Simple Minds e alle band più prestigiose dei tempi recenti, gli Oasis, i Radiohead, i Blur. Composta da tre studi (quello destinato al rock era lo studio 2), la struttura venne ampliata nel 1980 con la costruzione della Penthouse per i mixing e le colonne sonore e completata successivamente con la costituzione di due studi mobili. Per le sue ampie sale, è anche uno dei pochi studi a permettere l’ingresso di una orchestra completa. Da qui l’utilizzo anche per le colonne sonore del cinema. Ci ha lavorato Ennio Morricone, qui sono state registrate le colonne sonore di film che hanno segnato, anche con la loro musica, la storia del grande schermo, da Guerre stellari alla trilogia del Signore degli anelli, da Braveheart a Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick, fino alle serie di Herry Potter.

Ora tutta questa leggenda rischia di scomparire. Navigando sul sito online degli Abbey Road Studios sembra che ancora non sia successo niente. La notizia della messa in vendita non compare affatto, e d’altronde la Emi non l’ha ancora confermata ufficialmente. Gli appassionati possono viaggiare virtualmente dentro le stanze che hanno fatto la storia della musica, o sbirciare attraverso una webcam ruffiana fissata proprio sulle strisce pedonali calpestate quarant’anni fa dai Beatles. Ma il recupero dell’indebitamento è solo una faccia della crudeltà dei tempi moderni. L’altra è che gli studios sono diventati troppo costosi e sono insidiati dalla concorrenza di strutture simili in paesi dove il costo del lavoro è più basso e dallo sviluppo tecnologico che oggi permette agli artisti di registrare da soli utilizzando un semplice computer portatile. Per le case musicali il budget da destinare a un’eventuale registrazione nelle sale del mito è troppo impegnativo. «Abbiamo un pezzo di eredità eccessivamente costoso», confessa l’avvocato sempre al Financial Times, «se un’artista chiede alla propria casa discografica di fare le sue registrazioni a Abbey Road, il minimo che può ottenere in cambio è una sonora risata».

(Pubblicato sul Secolo d'Italia)

Qualche aggiornamento rispetto a questo articolo scritto una settimana fa. La Emi, forse sorpresa dalle reazioni alle voci di una vendita degli Studios, ha reso noto ufficialmente di non aver intenzione di mettere in vendita Abbey Road. La casa discografica pensa adesso all'intervento di un investitore per dare nuova linfa e magari diversificare il loro utilizzo. In questo senso l'attenzione mostrata dal National Trust può essere di buon auspicio in vista di un più generale piano di rivitalizzazione dell'intera area di St. John's Wood.