sabato, gennaio 20, 2007

Trent'anni senza l'Angelo Biondo

Recupero con qualche giorno di ritardo un post di Wittgenstein che riportava un articolo di Corrado Sannucci (Repubblica) sulla tragedia dell'Angelo Biondo che, nel 1977, infranse gioie e dolori suoi e dei suoi tifosi contro i proiettili di un gioielliere nella Roma terrorizzata degli anni Settanta. "Re Cecconi, quell'ultima follia del ragazzo che giocava con la vita" è il titolo, qui di seguito alcuni estratti:

"Come non fosse già abbastanza assurdo che la pazza Lazio del '74 avesse vinto uno scudetto, arrivò tre anni dopo la morte di Luciano Re Cecconi, inchiodato al suo destino da una frase insensata, "fermi tutti, questa è una rapina", con le mani in tasca dove non c'era nessuna arma. Quella sera del 18 gennaio di trent'anni fa, cadendo a terra, Re Cecconi segnava anche la sconfitta di tanti scherzi, rischi, sfide, tresche con il pericolo: un modo di vivere immerso nei tempi, e allora erano anche tempi di violenza ed incoscienza, con gli spari che avrebbero cominciato a risuonare per tutte le strade del '77. Ma la sua morte era anche la fine del gioco di equilibrio tra la disciplina dell'atleta e l'anarchia del carattere, finché era stato quest'ultimo a prevalere e a imporre la sua legge"...

"La pallottola del gioielliere Tabocchini fece cadere Re Cecconi dal crinale lungo il quale spavaldamente, incoscientemente, aveva camminato, non da solo, con molti compagni, con molti rivali all'interno di quella Lazio. Questa la schizofrenia che la sua morte non ha risolto, o meglio, ha fissato nell'aspetto più doloroso, tra un giocatore che correva con il nuovo, nel rinnovamento atletico e tecnico generale dei primi anni '70, e il ragazzo che si era fatto trascinare a esibizioni di coraggio e sfrontatezza, il brevetto del paracadutismo, l'adesione a ideologie di destra, il corteggiare le pistole (il dottor Ziaco svenne dopo un bumbum nella sua stanza, credeva di essere stato colpito). Un cocktail incomprensibile oggi, quando essere un calciatore è già qualcosa che riempie troppo la vita, ma che poteva non bastare trent'anni fa"...

"Tra Busto Arsizio e Foggia lo chiamano Volkswagen, perché ha l'aria tedesca, ma soprattutto Cecconetzer, anche se di Netzer non ha nulla a parte i capelli biondi, ma è l'epoca in cui si cercano nuovi modelli per un calcio tecnico ma più rapido, moderno, fisico. Re Cecconi continua a correre, perché quello era il gusto intimo del calcio, e quando partiva in coppia con Martini lì sulla sinistra c'erano dentro amicizia, complicità, intesa che andavano oltre il campo e spesso erano appese ai paracadute"...

"Ma anche il finale è nel segno di una frattura definitiva tra abilità e fortuna, all'esordio della nuova stagione Re Cecconi segna un gol straordinario contro la Juve all'Olimpico, ma sarà l'ultimo della sua carriera, alla terza di campionato, contro il Bologna si infortuna al ginocchio sinistro, non giocherà mai più. E' il calcio di allora, che non guariva i suoi atleti (lui come Rocca), che lo manda verso la gioielleria di Tabocchini, Re Cecconi non aveva niente da fare, non poteva allenarsi, non rimanevano che l'ansia di avere chiuso a 29 anni e gli scherzi pericolosi. Si accasciava a terra un uomo, l'angelo biondo, al quale non era stato sufficiente (e gli altri non capiranno mai perché) essere solo un grande calciatore".