giovedì, luglio 16, 2009

Stasi e terrorismo, il caso Benno Ohnesorg

Berlino 1967. L'assassinio di Benno Ohnesorg (immagine da Internet)

La storia del terrorismo che insanguinò la Germania occidentale negli anni Settanta va probabilmente in buona parte riscritta. Ci fu la Stasi dietro i momenti cruciali che determinarono le svolte cruente di quegli anni. Ci fu la Stasi dietro l'omicidio del giovane studente Benno Ohnesorg, che spinse parte del movimento studentesco a scivolare sul terreno della lotta armata. E forse ci fu ancora la Stasi dietro l'attentato a Rudi Dutschke, il leader degli studenti che venne gravemente ferito dal colpo di pistola di un fanatico. La Germania comunista, attraverso i propri spioni, influenzò, aiutò e strumentalizzò il fenomeno della contestazione studentesca del Sessantotto e dintorni fino a determinarne la svolta terroristica con l'obiettivo di destabilizzare la Repubblica federale.

Ci sono voluti dunque venti anni perché dai voluminosi faldoni dei servizi di sicurezza della Germania Est - le migliaia e migliaia di documenti e incartamenti preparati nei decenni dalla Stasi - cominciassero a trapelare non solo le vite private dei singoli cittadini spiati da vicini, parenti, funzionari arruolati dalla pervasiva macchina della sicurezza comunista ma anche i condizionamenti operati sulla vita pubblica della Germania federale. Dalle vite degli altri alle vite di tutti. Episodi decisivi nella storia del paese, fino ad ora interpretati in un certo modo, e che adesso, alla luce di nuove rivelazioni, devono leggersi in tutt'altra luce. Il grande abbraccio della riunificazione aveva messo in sordina il pesante ruolo della Stasi nelle vicende della concorrente Germania occidentale, quasi si potesse relegare la sua funzione al semplice controllo asfissiante sui cittadini della Ddr, una questione certo spiacevole ma tutta interna alla storia di uno Stato totalitario crollato dopo quarant'anni di esistenza.

Un'illusione, quando lungo il confine inter-tedesco si sono giocate le partite più importanti della guerra fredda e Berlino in particolare ha rappresentato per decenni non solo lo scenario prediletto per gli autori di romanzi spionistici di successo ma il vero, concreto terreno di scontro dei servizi segreti di tutto il globo. Un'illusione nel paese in cui la Stasi era riuscita a infiltrare l'entourage del cancelliere Willy Brandt, il suo braccio destro Guillarme che ne seguì e determinò tutte le mosse politiche nella delicata fase dell'Ostpolitik, fino a quando non venne scoperto, causando la caduta del governo liberalsocialista guidato da Brandt e le sue dimissioni da cancelliere.

Ora i libri di storia si riaprono, proprio nell'anno che segna il ventennale dalla caduta del muro di Berlino e nuovi particolari impongono di riconsiderare pasaggi decisivi delle vicende politiche della Repubblica federale, di riaprire ferite anche recenti. Come quelle della contestazione studentesca, maturata anche in Germania occidentale negli anni Sessanta (e di cui solo un anno fa si è celebrato il quarantennale) e della successiva degenerazione sul crinale del terrorismo. Vicende peraltro non troppo dissimili da quelle accadute in Italia, dove il fenomeno delle Brigate Rosse, per origine, sviluppo e conclusione, ricalca molto da vicino quello tedesco della Raf, la Rote Armee Fraktion che insanguinò il paese con particolare virulenza negli anni Settanta.

La prima rivelazione viene dalle ricerche di due studiosi, Helmut Mueller-Enbergs e Cornelia Jabs, e riporta indietro la memoria di quarantadue anni. Era la sera del 2 giugno 1967 e il movimento della sinistra extraparlamentare si sviluppava ancora tra proteste e manifestazioni.

In quei giorni, a Berlino ovest, uno dei punti caldi dell'attivismo studentesco e frontiera del conflitto che contrapponeva due mondi, era in visita ufficiale lo scià di Persia Reza Pahlavi accompagnato dalla moglie Farah Diba. Un viaggio delicato, costellato da manifestazioni contrapposte fra oppositori e sostenitori dello scià, imponenti misure di sicurezza, presenza di uomini dei servizi persiani. Già in mattinata vi erano stati dei tafferugli di fronte al municipio di Schoeneberg, la sede del comune della Berlino occidentale dove alcuni anni prima un milione di berlinesi, spaventati dal comunismo e dal muro appena edificato dalla Ddr, aveva ascoltato con trepidazione il famoso discorso di John Fitzgerald Kennedy. In pochi anni lo scenario era radicalmente cambiato e per la nuova generazione il pericolo veniva da occidente e il sol dell'avvenire era tornato a sorgere ad est. Cori e lanci di uova segnarono anche l'appuntamento culturale serale della coppia imperiale alla Deutsche Oper dove assistettero a una rappresentazione del Flauto magico.

E' qui che scattò la rappresaglia della polizia contro i manifestanti, particolarmente brutale soprattutto se rapportata alla reale minaccia rappresentata in quell'occasione dagli studenti. Alle otto e mezza, quando lo scià e la moglie erano già entrati sani e salvi nel teatro, partì la carica e secondo testimoni oculari non venne risparmiato un abbondante uso di manganelli. Fino a quando un agente di polizia non credette di aver individuato il capo degli agitatori e si buttò al suo inseguimento. Dietro di lui si precipitò anche l'ispettore in borghese Karl-Heinz Kurras del primo reparto della polizia politica. Fu proprio Kurras che, dopo una colluttazione con lo studente Benno Ohnesorg, uscì una pistola calibro 7,65 senza sicura e fece fuoco da distanza ravvicinata. Fu un errore, si giustificò Kurras. La foto di Ohnesorg riverso a terra con il capo sanguinante, sorretto da Friederike Hausmann, allora studentessa di storia e filologia, divenne l'icona di quel momento. E quel momento fu considerato dalla fazione più radicale del movimento studentesco il punto di non ritorno, l'attimo in cui alcuni di loro maturarono la convinzione di dover passare a una lotta più violenta, alla lotta armata: uno dei gruppi terroristici più efferati si chiamerà infatti proprio "2 giugno".

Il momento in cui la Germania perse la propria innocenza, sostennero i commentatori. Ma i ricercatori Mueller-Enbergs e Jabs hanno ora scoperto nei 180 chilometri di atti della Stasi che l'allora trentanovenne ispettore Kurras era da anni membro della Sed, il partito comunista della Germania est e un collaboratore non ufficiale del suo servizio di sicurezza, la Stasi, guidato dalla spia più famosa della guerra fredda, markus Wolf. L'assassinio di Ohnesorg non fu, con tutta probabilità, il frutto di un incidente o dell'autoritarismo che si stava imponendo nelle fila della polizia tedesco-occidentale, ma un'azione deliberatamente studiata a tavolino nelle stanze della dirigenza comunista di Berlino est. I due studiosi hanno pubblicato la loro scoperta sulle pagine del bimestrale Deutschland Arkiv, la rivista voluta alla fine degli anni Sessanta proprio da Willi Brandt con l'obiettivo di studiare e interpretare le vicende istituzionali ed economiche della Ddr nell'ambito della politica di disgelo inaugurata con l'Ostpolitik. La rivista è sopravvissuta alla caduta del muro e alla fine del regime, continuando a offrire a un pubblico selezionato di lettori analisi e interpretazioni arricchite dall'accesso ai documenti un tempo inaccessibili della Germania comunista, atti della Stasi compresi.

Le conseguenze dell'omicidio di Ohnesorg furono devastanti per la Repubblica federale. La tensione nei giorni seguenti fu altissima, il movimento della Sds, la lega tedesca degli studenti socialisti, teorizzò una linea di continuità fra lo stato tedesco occidentale e i suoi apparati di sicurezza, polizia in primis, con il Terzo Reich e i sistemi totalitari e sanguinari di Hitler. Il 3 giugno un gruppo di studenti aggirò il divieto di esporre striscioni imposto dalle autorità presentandosi sulla Kurfurstendamm, il viale principale di Berlino ovest, indossando magliette con grandi lettere stampate che, messe in fila, invitavano il borgomastro della città alle dimissioni. Nella foto che ritrae questa originale manifestazione, si nota ultima a destra Gudrun Ensslin, una delle componenti di spicco del futuro gruppo terroristico Baader-Meinhof.

I giornali tedeschi si interrogano su quale sarebbe potuta essere la scelta dei gruppi extraparlamentari se avessero potuto sapere che Kurras non era una pedina del risorgente autoritarismo tedesco ma più prosaicamente un agente al servizio della Germania comunista. Ma la domanda corretta è più quella che chiede di capire fino a che punto lo scivolamento dei gruppi protestatari verso la deriva terroristica sia stato non solo appoggiato e finanziato dalla Ddr ma addirittura da essa determinato. Dell'aiuto finanziario e logistico fornito alla Baader-Mainhof dai tedesco-orientali si sa già molto. Dopo l'evasione di Adreas Baader, il gruppo dirigente della Baader-Mainhof fu spedito a impratichirsi di armi e tecniche di guerriglia urbana nei campi di addestramento di al-Fatah in Giordania, imbarcandosi direttamente dall'aeroporto di Schoenefeld di Berlino est.

Ma in queste settimane emerge ben altro che un fiancheggiamento. Mentre si svela la realtà del caso Kurras, un altro episodio cruciale di quei terribili anni alla fine dei Sessanta finisce nel mirino degli storici. Riguarda l'attentato a Rudi Dutschke, il simbolo del movimento studentesco. Il figlio ventinovenne Marek ha reso noto alla Sueddeutsche Zeitung una lettera indirizzata dal padre alla moglie, nella quale dichiarava di essere sempre stato nel mirino della Stasi e di ritenere che anche l'attentato di cui fu vittima fosse stato perpetrato dal servizio di sicurezza della Ddr. Dutschke era nato nella Germania orientale, dalla quale poi era fuggito rinforzando la propria battaglia in nome di un socialismo libertario e antiautoritario. All'interno del movimento il suo carisma e la sua leadership spingevano per posizioni distanti dall'ortodossia comunista. Venne sparato l'11 aprile 1968 a bruciapelo da Josef Bacmann, un balordo di Monaco, che si fece un viaggio in treno dalla Baviera a Berlino ovest utilizzando uno dei treni che attraversavano la Germania est attraverso il corridoio che dal sud raggiungeva la ex capitale del Reich. Lo fece armato di pistola e proiettili, senza che un controllo riuscisse a scoprire le armi. Chiunque abbia compiuto quel tragitto negli anni della Germania divisa può testimoniare la meticolosità maniacale dei controlli di frontiera, nei quali i treni venivano bloccati per tre ore e gli agenti controllavano ogni bagaglio e ogni interstizio dei vagoni, smontando con i cacciaviti interi pezzi di treno. Difficile passare armati attraverso maglie tanto strette. Dutschke venne ferito gravemente, salvò la pelle ma a prezzo di pesanti menomazioni al cervello, si trasferì in Danimarca e morì nel 1979. Data la notorietà del personaggio, un leader non solo per gli studenti tedeschi ma anche per quelli di tutta Europa, l'attentato contro di lui incatttivì ulteriormente la protesta e spinse altri giovani sulla strada del terrorismo.

Dopo le rivelazioni del caso Kurras e i nuovi sospetti sul caso Dutschke, le ricerche negli archivi segreti della Stasi, dove molti documenti attendono ancora un vaglio accurato, sono destinate a riprendere. Da quei calderoni riesumati dal passato comunista emergono continuamente testimonianze che impongono riletture dei momenti cruciali della guerra fredda. L'ultima in ordine cronologico viene da Mosca e riguarda la costruzione del muro di Berlino. Fino a ieri si riteneva che fosse stata una forzatura di Walter Ulbricht, il capo della Ddr, per porre fine all'emorragia di professionisti e giovani che scappavano nella germania ovest in cerca di libertà, salari e condizioni di vita migliori. Ora lo storico matthias Uhl ha rintracciato negli archivi moscoviti il documento, finora sconosciuto, di un colloquio tra Ulbricht e Crusciov dal quale emerge con chiarezza che il muro fu un'imposizione dell'Unione Sovietica: “Vi diamo due settimane di tempo”, dice il leader sovietico a quello tedesco orientale. Era il primo agosto 1961. Tredici giorni dopo il muro divideva la città di Berlino.