martedì, ottobre 27, 2009

Sterzata Opel

Il nuovo governo tedesco riprende in mano il dossier Opel, complice anche le recenti minacce all'accordo con Magna giunte da Bruxelles. Niente più russi? Si tornerà in casa General Motors? Sulla Faz le ultime speculazioni.

venerdì, ottobre 23, 2009

Le sorprese del nuovo governo Merkel

Merkel sulla tolda di comando e Westerwelle al ministero degli Esteri, con il primo compito di imparare per bene l'inglese. Poi Schäuble alle Finanze, zu Guttenberg alla Difesa, il liberale Brüdele all'Economia. Questi gli spostamenti più rilevanti nel nuovo governo tedesco. Tre giovani new entry: il liberale Philipp Rösler, di origini vietnamite, al delicato ministero della Salute, Ronald Pofalla capo della Cancelleria e Norbert Röttgen all'Ambiente. Gli ultimi due sono i più fidati collaboratori di Angela Merkel. Domattina i tre leader dei partiti coinvolti, Merkel, Westerwelle e Seehofer, annunceranno in una conferenza stampa ai giornalisti il contenuto del programma di governo, sui cui ultimi dettagli si tratterà ancora questa notte. Le altre indiscrezioni sui ministeri, in questo articolo della Süddeutsche Zeitung.

Bielorussia, in digiuno per protesta

Minsk. Jailed Belarusian opposition activist Alyaksandr Bandarenka began an indefinite hunger strike on October 19, demanding that his case be reconsidered, RFE/RL's Belarus Service reports. Bandarenka's lawyer, Zmitzer Laeuski, told RFE/RL that he visited his client in Detention Center No. 1 in Minsk on October 22, where he was informed about the hunger strike. Bandarenka, a private businessman, was convicted of financial crimes and sentenced to seven years in prison on October 9. Last year, Bandarenka, who is an active member of the opposition United Civic Party (AHP), ran unsuccessfully for parliament. He and his supporters say his case is politically motivated.

Fonte: Radio Free Europe/Radio Liberty.

Kseniya Simonova, talento ucraino

Fischia il vento, urla la bufera

Ma non a San Pietroburgo, dove per tutta la giornata, con temperature tra i 4 e i 7 gradi sopra lo zero e deboli piogge, tutto s'è visto tranne che tempeste di neve.

Leggete e diffondete

domenica, ottobre 18, 2009

I colori della Berliner Republik/1. Jamaika

Mentre a Berlino proseguono le trattative per definire il programma di governo della nuova maggioranza di centrodestra, in periferia la politica muove i primi passi verso nuovi scenari politici. E nell’estremo ovest, nella piccola regione della Saar, ex terra mineraria schiacciata verso Lussemburgo e Francia, arriva il soffio esotico della Giamaica. Ovvero la Jamaika Koalition, il sogno dei politologi alla ricerca di soluzioni finora solo studiate a tavolino. Quattro settimane fa il voto aveva premiato la sinistra radicale della Linke, portata oltre il 20 per cento (risultato mai raggiunto in una regione dell’ovest) dal carisma del vecchio leader massimalista Lafontaine, che aveva abbandonato l’Spd in polemica con la sua «deriva riformista» per costituire, assieme ai post-comunisti del Pds, una sinistra più radicale. Domenica i verdi hanno chiuso la porta a una coalizione di sinistra, aprendo la strada per un’alleanza con liberali e cristiano-democratici. Se le trattative andranno a buon fine, la Saar sperimenterà un nuovo tipo di centrodestra, a vocazione ecologica.

Per la politica tedesca è una rivoluzione, foriera di scenari innovativi anche a livello nazionale, sebbene le ragioni di questa svolta siano tutte locali. Il voto del congresso dei verdi è stato plebiscitario: l’opzione Giamaica ha ottenuto il 78 per cento dei suffragi. Ma molto ha contato la presenza nella Saar proprio di Lafontaine, che aveva appena rinunciato al suo posto di capogruppo parlamentare per dedicarsi esclusivamente alla scena politica regionale. «Non ho alcuna fiducia in questa persona», ha tuonato il leader locale dei verdi Hubert Ulrich, «non possiamo collaborare con chi vuol farci fuori in maniera così cinica». Per tutta la campagna elettorale, è l’accusa di Ulrich, Lafontaine ha cercato di spazzare i verdi dalla scena politica: un governo di sinistra con lui è impossibile, non ci resta che guardare a destra.

I tre seggi dei verdi sono decisivi per entrambe le ipotesi, sia quella di centrodestra con Cdu e Fdp, sia quella di sinistra con Spd e Linke. Ma sul tappeto ora resta solo la scommessa della coalizione Giamaica (dai colori dei partiti che dovrebbero far parte della nuova coalizione, il nero della Cdu, il giallo dell’Fdp e ovviamente il verde dei Grünen, cioè i colori della bandiera caraibica). I verdi hanno posto alcune condizioni: abolizione delle tasse universitarie, chiusura nel 2012 delle miniere ancora in funzione, riforma del sistema ginnasiale. Ambiente e istruzione sono al centro delle politiche dei verdi, a livello nazionale come in periferia e per agevolare la realizzazione di queste proposte, il primo ministro cristiano-democratico uscente (che ora potrebbe rimanere in carica) è disposto ad affidare agli ecologisti i due ministeri competenti.

L’eventuale successo delle trattative e la conseguente nascita del primo governo Giamaica a livello regionale sarebbero dunque le novità più interessanti della scena politica tedesca post-elettorale. Ancor più del nuovo governo nazionale di Angela Merkel, che di fatto riporta in auge una coalizione tradizionale che negli anni Ottanta e Novanta ha condotto la Germania attraverso la riunificazione sotto la guida di Helmut Kohl. Il quadro politico, nonostante l’affermazione di Cdu/Csu e Fdp, resta piuttosto incerto, dal momento che il sistema a cinque partiti non garantisce più automaticamente la vittoria di un’alleanza di tipo tradizionale, sia per il ridimensionamento dei partiti di massa che per la presenza stabile della Linke, che subisce una sorta di conventio ad excludendum.

Già un anno e mezzo fa, ad Amburgo, cristiano-democratici e verdi avevano dato vita a una prima collaborazione regionale, rompendo il tabù. I Grünen nascono come una costola movimentista dell’Spd e si sono sempre caratterizzati per una politica non convenzionale a anti-conservatrice. Poi la svolta pragmatica, avvenuta paradossalmente con l’assunzione di responsabilità governative nei due governi rosso-verdi guidati da Gerhard Schröder. Ma già alla metà degli anni Ottanta, un lungimirante Helmut Kohl aveva immaginato che, un giorno, conservatori ed ecologisti avrebbero potuto trovare terreni di collaborazione e aveva dato vita a una serie di incontri informali fra i giovani dei due partiti. Passò alla storia come la pizza-connection, perché gli incontri avvenivano in una sala riservata di un ristorante italiano di Bonn. Tra quei giovani, due leader che nel frattempo hanno fatto carriera, il verde Cem Özdemir, l’attuale segretario dei verdi di origini turche, e Norbert Rüttgen, braccio destro di Angela Merkel.

Il resto lo ha fatto la politica. La Cdu ha accentuato la propria sensibilità ecologista sotto la leadership della cancelliera mentre i liberali, oltre a ai temi classici dell’economia di mercato, presentano un profilo moderno sulle questioni dei diritti civili e delle libertà individuali. Quello che divide fortemente è la posizione sull’energia nucleare, tanto che nelle ultime settimane di campagna elettorale i verdi hanno molto calcato sulla paura di un ritorno al passato in caso di vittoria del centrodestra. Ma anche su questo punto le posizioni sono meno distanti di un tempo: i verdi restano inflessibili sulla chiusura di tutte le centrali tedesche nel 2020, liberali e cristiano-democratici ritengono invece di dover continuare a produrre energia atomica fino a quando le energie alternative non saranno in grado di sostituirla completamente. Ma della costruzione di nuove centrali, qui in Germania non parla nessuno. Il paese ha ormai acquisito una leadership nel campo delle energie rinnovabili, il futuro è verde, cambiano solo le prospettive temporali. Una settimana prima del voto nazionale, l’esponente dell’ala sinistra dei verdi, Trittin, aveva escluso ogni ipotesi di collaborazione con il centrodestra: «La Giamaica rimane nei Caraibi». Ora invece è ricomparsa nella Saar.

martedì, ottobre 13, 2009

Prove tecniche di nuove coalizioni

Jamaika Koalition nella Saar, rosso-rosso in Brandeburgo. Come scritto, il bello della politica, in Germania, viene adesso e comincia dagli esperimenti regionali. Grandi polemiche, qualche aspettativa e molta curiosità. Ne vedremo delle belle.

La Fiera del libro di Francoforte parla cinese

Quando la settimana scorsa Jürgen Boos, il direttore della Fiera del libro di Francoforte, è sbarcato a Berlino per presentare l’edizione che si apre oggi, alla domanda se fosse dispiaciuto per il fatto che quest’anno l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura non coincidesse con i giorni della fiera, aveva replicato con diplomazia, sostenendo che la manifestazione non ne avrebbe sofferto e che non era la prima volta che le due date fossero sfalsate. Boos non sapeva che due giorni dopo, in quella stessa sala dell’Associazione del commercio librario che si affaccia sulla Sprea, la berlinese d’adozione Herta Müller avrebbe sorriso di gioia e di stupore per l’assegnazione del premio Nobel. E così anche la mondanità è salva. La scrittrice tedesca nata nel Banato rumeno, che la scelta degli accademici di Stoccolma ha strappato alla ristretta cerchia degli appassionati, farà proprio oggi a Francoforte, negli stand della rete televisiva pubblica franco-tedesca Arte, la sua prima uscita pubblica dopo la conquista del premio, presentando il suo ultimo lavoro “Atemschaukle”, la storia di due prigionieri rumeni deportati in un campo di concentramento sovietico in Ucraina.

Per il resto, la scena è tutta occupata dal paese d’onore, che quest’anno è misterioso, grande e ingombrante. A Francoforte sbarca la Cina. Anzi, i cinesi. I letterati graditi al regime e quelli scomodi (ma non tutti), i funzionari statali e gli uomini del business, i quadri del partito e gli artefici del miracolo capitalista, gli editori e i librai. E da qualche settimana è già polemica, da quando si è capito che le grandi meraviglie della letteratura cinese riscoperta dall’Europa nascondo anche le storie di repressione e censura. Boos lo sapeva e in qualche modo ha giocato questa scommessa per dare lustro a un’edizione che quest’anno festeggia un numero tondo: sessant’anni. «Sappiamo benissimo che in Cina c’è un sistema totalitario che fa largo uso della censura», dice Boos, «eppure nei prossimi cinque giorni avremo modo di conoscere le mille sfaccettature di questo paese. Ci saranno gli incontri organizzati dalla controparte cinese, ma anche molti appuntamenti con i dissidenti e con letterati non allineati organizzati dalle case editrici europee e da molte istituzioni libere. Saranno presenti le organizzazioni non governative che lottano per la democratizzazione in Cina e il Dalai Lama, i rappresentanti del Falugong e degli iguri perseguitati dal regime e tanti lettori tedeschi ed europei che potranno farsi una loro idea di come vanno le cose in quel paese».

Si temono anche manifestazioni e proteste. «Tutti potranno dire la loro», assicura Boos, «l’unico limite è rappresentato dalla costituzione della Repubblica federale tedesca». Il direttore sottolinea come la fiera non sia mai stata un appuntamento politico ma sempre un luogo di incontro e di riflessione, un teatro di discussione sul quale le opinioni si sono confrontate e scontrate e magari un po’ avvicinate. «Spero che accadrà anche questa volta, che le presentazioni ufficiali possano colloquiare con quelle inufficiali, che gli spazi della fiera divengano un luogo di conoscenza reciproca. Non possiamo sapere se questo accadrà. ma almeno il pubblico avrà occasione di sentire tutti e di farsi una opinione personale e non filtrata».

Questa, secondo il suo direttore, è la tradizione della fiera di Francoforte. E la Cina è stata da lungo tempo corteggiata dagli organizzatori. Fino a cinque anni fa, ogni tentativo si è infranto contro una sorta di grande muraglia. Ma dal 2004 i rapporti si sono intensificati e le autorità cinesi hanno dimostrato una maggiore disponibilità a discutere e ad accettare osservazioni critiche. Quello che alla metà di questo decennio appariva ancora impossibile, oggi è accaduto e Boos spera che la conoscenza e la frequentazione su un palcoscenico franco ma non pregiudiziale come Francoforte possa far avanzare una sorta di distensione, almeno in campo letterario.

Ma che le cose possano anche andare diversamente lo dimostra la brusca reazione dell’ambasciatore cinese in Germania un mese fa, durante il Simposio che ha di fatto aperto la stagione fieristica: «Non siamo venuti qui per farci dare lezioni di democrazia», ha detto piccato in faccia allo stesso Broos, «questi tempi sono ormai passati». Quali tempi siano arrivati, ce lo spiegheranno proprio i giorni della fiera e le decine di appuntamenti incrociati.

La Cina si mostrerà attraverso due piattaforme, quella ufficiale gestita dallo Stato della Repubblica popolare e quella delle Ong: da un lato lo spazio legale di un paese divenuto ormai centrale negli equilibri internazionali, dall’altro lo spazio reale di una società alla ricerca di spazi di libertà che sarebbero la naturale conseguenza degli sviluppi in campo economico, ma che il regime ostinatamente rifiuta. Quanto queste realtà riusciranno a dialogare, a discutere e a comprendersi è tutto da vedere. Nel frattempo, finiscono sul taccuino i nomi dei dissidenti cui il governo non ha concesso il visto di viaggio in Germania. Come Liao Yiwu, autore di “Massacro”, il romanzo del 1989 sulla repressione di piazza Tienanmen che gli è costato quattro anni di prigione. Avvicinamento attraverso il dialogo è il motto di Francoforte, la Cina è la sfida di questa sessantesima edizione. Da oggi capiremo un po’ di più cosa si nasconde sotto il comunismo capitalista di regime di Pechino.

Angela Merkel e la modernizzazione della Cdu

Lipsia, 9 ottobre 2009: Bundespräsident und Bundeskanzlerin (fotowalkingclass)

Una compagna, nel senso politico del termine, Angela Merkel lo è stata per davvero. Erano gli anni della Ddr e della frequentazione al corso di fisica dell’università di Lipsia. La camicia azzurra della Freie Deutsche Jugend (Fdj), l’organizzazione giovanile del partito comunista, doveva probabilmente andarle stretta e tuttavia, assieme a tutta la paccottiglia d’ordinanza – stemmi, gagliardetti, fazzoletti, bandiere rosse, insomma i gadget del tempo – ha rappresentato un pezzo della sua vita, fino alla caduta del Muro. Aveva ancora il nome da ragazza, si chiamava Angela Kasner, entrò nella Fdj perché era impossibile farne a meno: l’organizzazione permeava l’intera vita degli studenti universitari, chi si rifiutava veniva sbattuto fuori dagli atenei. «Durante gli studi sono stata una volta addetta culturale della Fdj e mi sono occupata dell’ordinazione dei biglietti del teatro», ha raccontato nel 1991 alla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Non esattamente un ruolo di primo piano. E tuttavia, chi è abituato a tagliare le biografie o le idee altrui con l’accetta potrebbe maliziosamente far risalire a quei tempi la sua naturale tendenza a privilegiare gli aspetti sociali nell’azione politica.

Sulla scena conservatrice europea s’è affacciata da qualche anno un’enigmatica signora che la stampa internazionale fa ancora fatica a catalogare. È una donna e tutti le usano la galanteria appresa quando ancora insegnavano le buone maniere. Ma lei non fa nulla per sottolineare la sua femminilità, né quando si veste, né quando si muove e neppure quando mette mano ai progetti di governo. Hanno atteso per anni che si rivelasse una lady di ferro, riesumando fuori tempo massimo i fasti di Margaret Thatcher, e probabilmente attenderanno ancora a lungo, anche adesso che quelle illusioni si riaccendono per l’ingresso dei liberali nell’esecutivo. È considerata fra i politici più influenti del mondo e, un anno sì e un anno no, addirittura la più influente, eppure fa fatica a tenere sotto controllo l’irrequieta nomenclatura del suo partito che continua a considerarla un corpo estraneo.

Se si fa un salto in libreria, anche qui in Germania, salta agli occhi la sproporzione fra le pubblicazioni che raccontano le biografie dei cancellieri. Gli scaffali sono pieni delle storie e degli scritti di Helmut Schmidt, che sta conoscendo in tarda età un destino di guru della patria, di Gerhard Schröder, anche se qui bisogna ammettere che prevalgono i patinati libri fotografici che ne evidenziano gli aspetti da piacione, e ovviamente di Konrad Adenauer e Willy Brandt, tornati all’attenzione del pubblico in concomitanza dell’anniversario di fondazione della Bundesrepublik. Alla Merkel sembra per ora toccare il destino di Helmut Kohl, rimasto solo con le sue poderose memorie raccolte in due tomi, nonostante la ricorrenza dei vent’anni dalla caduta del Muro. Qualcosa è uscito in questi mesi, durante la campagna elettorale, ma al momento la migliore biografia in tedesco resta quella del politologo Gerd Langguth, pubblicata nel 2005 e aggiornata nel 2007 dopo due anni di Grosse Koalition. E anche in Italia si sono dovute attendere le elezioni di quest’anno per poter leggere il lavoro di Veronica De Romanis, Il metodo Merkel, appena dato alle stampe da Marsilio.

Ma non è tanto una questione di disattenzione. È che il personaggio piace, affascina, ma è difficile da afferrare. E da trasferire nero su bianco sulle pagine di un libro. Se si cercano somiglianze con i politici italiani – che è sempre un esercizio un po’ forzato – la Merkel non assomiglia a nessuno dei leader del centrodestra attuale. Non a Silvio Berlusconi, e questo pare abbastanza evidente. Ma neppure a Gianfranco Fini, nonostante una comune pacatezza dei toni e una simile tendenza ad andare incontro alle opinioni altrui. Per essere onesti, e dirla tutta, Angela Merkel assomiglia semmai a Romano Prodi. A parte la stessa origine democratico-cristiana, la cancelliera ha affinato un’arte tutta particolare della melina. Attorno scoppia il finimondo e lei non si scompone neppure un po’. Non si agita. Non replica. Non controbatte. Anzi, dà l’impressione di essere un’ottima incassatrice, ma è proprio in quel momento che, con straordinario calcolo scientifico (è una fisica, non dimenticatelo) prepara la mossa che prenderà tutti in contropiede e le permetterà di raggiungere ogni tipo di compromesso che possa tornare a suo vantaggio. Guardando ai risultati, tuttavia, la similitudine con Prodi si ferma al carattere.

Sebbene non sia amata dalla vecchia nomenclatura della Cdu, in un decennio la Merkel ha trasformato il partito. L’ha raccolto nel 2000 al punto più basso della sua storia, travolto dallo scandalo dei fondi neri che aveva chiuso la lunga e gloriosa carriera di Helmut Kohl, e lo ha lentamente modificato. Ha relegato i suoi oppositori nei rispettivi confini regionali e ha fatto in modo che il loro potere locale dipendesse in fondo dall’immagine nazionale del partito. Molti di loro sono presidenti di Länder e vincono perché la la Cdu è tornata ad essere un partito affidabile. Grazie a lei. Gli elettori in Assia, Baden-Württemberg, Nord Renania-Vestfalia, Bassa Sassonia guardano Koch, Oettinger, Rüttgers e Wulff, i leader locali, e vedono la Merkel. Che nel frattempo, a Berlino, ha riempito il partito di giovani leve provenienti dalla fondazione Adenauer, con il compito di svecchiare le idee e modernizzare l’arsenale culturale, facendo rizzare i capelli alla vecchia guardia rimasta a presidiare la sontuosa sede di Bonn.

La Cdu non è più il partito del vecchio conservatorismo, anche se questa componente è ancora presente. È aperta all’immigrazione, non teme una società multietnica, ha trovato il giusto equilibrio fra le pretese degli imprenditori e le richieste dei lavoratori, ha fatto breccia nei sindacati da sempre appannaggio dell’Spd, ha sdoganato il ruolo della donna nella società mettendo fine alla tradizione tedesca delle tre K, Kinder, Küche e Kirche, bambini, casa e chiesa. D’altronde, quale migliore esempio di quello della stessa Angela Merkel, protestante, sposata e poi separata, senza figli, totalmente dedita al lavoro?

E poi la svolta ambientalista, l’impegno per la lotta contro i cambiamenti climatici, l’attenzione per l’energia rinnovabile, fino al via libera dato al sindaco di Amburgo per formare un governo assieme ai verdi. Chi l’avrebbe mai detto dieci anni prima? La cancelliera è un politico pragmatico, dotata di metodo scientifico. Non ha in testa un modello di società da costruire e realizzare, cosa che ogni tanto le viene rimproverato. Ma l’esperienza nella Ddr l’ha vaccinata da questo virus: lì si pretendeva di costruire l’uomo nuovo e si realizzava la schiavitù dei cittadini e i privilegi per gli apparati. Secondo lei la società è quella che è e non quella che si vorrebbe, con le sue gioie e i suoi dolori, con milioni di individui che hanno aspirazioni e bisogni diversi e difficilmente amalgamabili. Di questo bisogna occuparsi. E le soluzioni sono diverse, flessibili, non si fanno irrigidire in un preciso schema ideologico. La politica deve risolvere questi problemi. Li deve analizzare, vivisezionare, capire, ordinare. E poi affrontare. Come in un laboratorio scientifico.

E la politica è compromesso, l’arte del possibile, in quel dato momento e in quella data condizione. Si possono fare alcune cose, se si deve governare con la sinistra, altre, se al fianco ci sono i liberali. Con tutti si può trovare un comune denominatore, non ci sono scuse per dilazionare gli interventi. Questa duttilità, unita a una straordinaria determinazione, l’ha portata ad essere apprezzata non solo dai politici degli altri partiti ma anche da tanti cittadini che quattro anni fa non l’avevano votata. E questa volta invece sì.

Dietro il carattere apparentemente condiscendente c’è una vera e propria strategia politica che ha prosciugato, sul lato moderato, l’acqua in cui nuotavano i socialdemocratici dell’era Schröder. Die Neue Mitte - il nuovo centro - la versione continentale del labourismo blairiano, aveva riportato l’Spd al centro della scena politica. Lei ha eroso quella posizione, scavando giorno dopo giorno la trappola dentro la quale è finita l’Spd. L’ha costretta a scivolare a sinistra, dove ha cozzato contro il massimalismo della Linke. Così facendo s’è persa qualche voto a destra, ma quattro anni dopo si è presa la rivincita centrando l’obiettivo elettorale di formare una coalizione organica di centrodestra con i liberali.

Non ha tradito la storia del suo partito, l’ha semplicemente adeguata ai tempi, recuperando il passo di una società che a cavallo dei due secoli ha visto trasformarsi in classe dirigente la generazione del Sessantotto e ha visto dispiegarsi in tutta la sua potenza la rivoluzione digitale. E che nella sua marcia verso la modernità s’è riscoperta de-ideologizzata. Fosse rimasta ancorata alle tre K, ai bambini, alla cucina e alla chiesa, la Merkel avrebbe condannato se stessa e la Cdu a una perenne marginalità. Invece ha percorso strade nuove, sentieri inesplorati, si è fatta contaminare da idee inedite. E vi ha trascinato il partito, a volte per i capelli, rintuzzando gli oppositori, obbligandoli all’angolo con un gelido cinismo che è l’altra faccia di questa donna che ha scalato da outsider tutti i gradini della politica. Outsider e solitaria. Slegata da vincoli di cordata, lei che veniva dall’est mentre il cuore del partito aveva sempre battuto ad ovest.

La cancelliera è diventata l’interprete riconosciuta di questa fase della storia tedesca, l’icona vincente di questo paese. La Germania è un paese che si tiene. È attraversata, come tutte le società moderne, da tensioni e frammentazioni, eppure poggia su una base di consenso solidale che ne preserva la stabilità sociale. La stella polare resta l’economia sociale di mercato, che ha conosciuto una sua rivincita in questi mesi di tempesta finanziaria. È soprattutto un paese che si governa dal centro, puntando al centro. Con equilibrio e moderazione. Con rispetto degli avversari e con grande attenzione alle competenze. Ci ricordiamo di studiarla solo quando arrivano le elezioni. Eppure, almeno in Europa, rappresenta un modello al quale si potrebbe guardare più spesso, magari per provare a ricostruire una politica gentile, lontana dagli slogan, più concreta e in fondo più utile ai cittadini.

venerdì, ottobre 09, 2009

Il secolo finisce a Lipsia


La sera che cambia i destini della Germania ha l’odore aspro di un ottobre sassone. È l’odore della paura, della tensione, della speranza. Un odore che non vedi ma respiri a pieni polmoni. Freddo e umido, penetra nelle ossa, manda in fibrillazione il sistema nervoso. S’impregna dei fumi aspri delle stufe a carbone e delle fabbriche chimiche che da anni rendono l’aria di Lipsia asfissiante. Si alimenta del fiato caldo di settantamila cittadini che sentono arrivare il momento decisivo [continua su Il Riformista].

E' il mio esordio sul Riformista.

Il balcone di Genscher

Il balcone è sempre là, appiccicato alla facciata di palazzo Lobkowitz. Dal 1972, anno in cui Bonn e Praga ristabilirono i rapporti diplomatici, è la sede dell’ambasciata tedesca nella capitale ceca. Prima della sola Germania ovest, dal 1990 della Germania riunificata. Ma sebbene il palazzo in stile barocco sia bellissimo, posizionato nella cornice silenziosa di uno dei luoghi più magici della Mitteleuropa, il quartiere di Mala Strana, l’attrattiva principale è rappresentata da quei cinque metri quadrati di pietra sostenuti dalle due colonne che troneggiano accanto al pesante portone di legno d’entrata. Lo chiamano il balcone di Genscher. Lissù, esattamente vent’anni fa, l’allora ministro degli Esteri tedesco-occidentale provò a dire alle migliaia di cittadini tedesco-orientali assiepati da giorni nel giardino dell’ambasciata che erano liberi. Che la Ddr aveva ceduto e accettato di farli transitare verso la Germania ovest. Verso la libertà [continua su Ff Web Magazine].

giovedì, ottobre 08, 2009

Herta Müller vince il Nobel per la letteratura

Nel ventennale della caduta del Muro, il Nobel per la letteratura viene assegnato a Herta Müller, scrittrice nata nella regione rumena del Banato, dove è presente una robusta minoranza germanofona. La sua attività intellettuale ha sempre dovuto confrontarsi con la censura dell'era Ceausescu, la sua vita ostacolata dalla pressione della Securitate, il servizio di sicurezza rumeno, con il quale rifiutò di collaborare. Riparò con l'ex marito, lo scrittore Richard Wagner, in Germania nel 1987, due anni prima i grandi rivolgimenti che squassarono il blocco orientale. Nel 2005 ottenne una cattedra alla Freie Universität di Berlino, città nella quale vive tuttora. Quest'anno, il suo ultimo romanzo "Atemschaukel" pubblicato dalla Hanser Verlage è entrato nella sestina finale del prestigioso Deutscher Buchpreis. In Italia il suo "Il paese dalle prugne verdi" è stato pubblicato dalla piccola casa editrice Keller. Qui una più estesa biografia da Wikipedia in tedesco.

domenica, ottobre 04, 2009

Russia e Islanda, appuntamento sul Bosforo

Delegations of economic ministries of Russia and Iceland are set to hold talks in Turkey's Istanbul, a source in the Russian delegation said on Saturday. He said that the Russian delegation will be headed by Deputy Finance Minister Dmitry Pankin. "Iceland turned to Russia for holding talks on its own initiative," the source said, but did not specify whether the delegations will be discussing Russia's possible stabilization loan to Iceland.

A delegation from Iceland was in Moscow a year ago for a series of meetings to agree the terms for a loan that would allow Iceland's government to shore up its shaky national currency, the krona, which collapsed after the country was forced to nationalize its three main banks after they amassed debts of over $60 billion.

With the sub-Arctic island's population of only 320,000, the banks' debt last year was equivalent to $187,000 per person. With debts some 12 times larger than the national economy, which is expected to contract by 10% in 2009, Iceland's Central Bank said that Russia's possible loan of some $500 million would bolster Iceland's foreign exchange reserves, strengthening the stability of the krona in the face of the financial crisis.

(Fonte: Ria Novosti)