martedì, settembre 30, 2008

Mitteleuropa, la fine dei partiti ottocenteschi

Monaco di Baviera. Mentre sui monitor si succedono, una dopo l’altra, le proiezioni delle elezioni regionali bavaresi e i militanti della Csu s’immalinconiscono abbassando gli occhi umidi nei boccali dell’immancabile birra, l’impressione è che qualcosa di straordinario stia accadendo lì fuori: fuori da queste stanze di legno scuro, così tradizionali e solide che di colpo sembrano lo scenario di un piccolo mondo antico. Là fuori, nella Baviera reale, nelle strade di Monaco, la città locomotiva dell’intera regione che già da tempo ha messo in soffitta il clichè dei loden verdi e dei calzoni di cuoio, ma anche nelle valli e più su fra i monti e i laghi e le cime alpine. Laddove il partito-Stato che pensava a tutto, che rappresentava tutti e che era parte fondante di quella sorta di eccezione tedesca che è il “Freiestaat Bayern”, il libero Stato di Baviera, ha interpretato per mezzo secolo il ruolo di padre protettivo, un po’ burbero ma molto premuroso. Ed è sembrato, proprio in quel momento lì, quando la terza proiezione ha tolto le speranze e ha inchiodato dirigenti e galoppini alla triste realtà del tracollo, che il vento della ribellione populista che un paio d’ore prima si era sollevato oltreconfine, nella vicina Austria, avesse superato le vette e fosse tracimato al di qua delle Alpi.

Per la Baviera è un po’ come la saga dei Buddenbrook in versione politica. Una famiglia che si sfilaccia lentamente, senza riuscire più a tenere insieme i suoi membri o a dare un senso compiuto a un percorso comune. I tempi che cambiano, non si sa neppure perché e per come, e la barca che va, sempre più lenta, sempre più a fatica, finché un bel giorno il battello si rovescia, tutti finiscono in acqua e si salvi chi può. Il guaio è che qui tutti sanno chi ha perso ma nessuno, tra i partiti concorrenti, ha ancora capito chi ha vinto. Un po’ come è accaduto in Austria. Perché quel diciotto percento in meno che ha tolto dopo decenni la maggioranza assoluta al partito padrone che fu di Franz Josef Strauss, in pochi se lo sono ritrovato sul proprio conto. Qualche spicciolo i liberali, che tornano nel parlamentino regionale. Qualcosa in più i Freie Wähler, la lista civica rafforzata in questa occasione da una robusta diaspora dalla Csu. Nulla l’Spd, tanto che il giubilo del suo candidato locale per la sconfitta storica degli avversari è arrivato assai attenuato a Berlino, dove Steinmeier ha usato toni più accorti. Meno del previsto la Linke, che questa volta non riesce a entrare in parlamento, anche se può valutare di tutto rispetto il quattro percento raccolto nella regione più conservatrice di Germania.

E’ dunque un deficit di rappresentanza, quello che ha attaccato infine anche la Csu. E che sta ridisegnando il panorama politico di questa Mitteleuropa ritrovata di inizio secolo. Elettori che non si riconoscono più nel mantra rassicurante dei partiti di massa. Quel che è accaduto in Italia negli anni Novanta sull’onda delle inchieste giudiziarie (che ebbero epicentro nel nord del paese) si è replicato più tardi in Austria (il fenomeno Haider a cavallo del cambio di secolo) e avviene oggi, più silenziosamente, anche in Germania. Il resto della Mitteleuropa, quella scongelata dal comunismo, l’Ungheria, le Repubbliche ceche e slovacche, hanno vissuto negli anni successivi al 1989 il loro “big bang”. E il panorama che si offre oggi all’osservatore, dopo la lunga onda sismica, resta frastagliato, confuso e pieno di incognite.

In Austria non è servito tornare al passato, al grande compromesso fra socialdemocratici e popolari, per ricomporre la cartolina nostalgica della repubblica alpina. L’irruenza governativa dei seguaci di Haider aveva bagnato le polveri dei populisti, ma la Grosse Koalition ha ricalcato uno spartito vecchio, senza neppure più lo smalto di un tempo. Così ritorna il caos sotto forma di paradosso: stravince una formazione composita (Fpö e Bzö), rappresentata da parenti-serpenti che propongono la stessa cosa ma si odiano fra di loro. La loro agibilità politica viene messa in dubbio da programmi di pancia, buoni a raccogliere il disagio e lo scontento, meno a offrire una concreta prospettiva di governo. Resta così la Grosse Koalition, l’abbraccio mortale (per loro stessi e per il paese) fra due forze tradizionali che non riescono più a comporre assieme neppure i propri interessi di bottega, figuriamoci le ansie degli elettori. Che pure in queste zone relativamente ricche del continente si chiamano immigrazione, islamismo, criminalità, smarrimento. Sono sentimenti di paura profondi e a volte ingigantiti, ai quali le forze tradizionali non hanno trovato una risposta efficace e alternativa alle scorciatoie offerte dai nuovi vincitori.

E in Germania la crisi dei grandi partiti otto-novecenteschi si compone di problemi vecchi e nuovi, che la politica non riesce più a tenere sotto controllo. E’ vecchia e nuova l’angoscia dei ricchi verso l’immigrazione, anche se il buonsenso tedesco aiuta ad arginare le derive razziste. E’ vecchia e nuova la paura dei poveri di restare ai margini della società e che gonfia le urne di un partito neo-comunista come la Linke. E’ vecchio e nuovo lo smarrimento di tutti verso un mondo globale che oggi offre il conto delle illusioni, i prezzi che aumentano, le azioni che crollano, le banche che scompaiono e poco o nulla interessa l’intellettualistico dibattito su più o meno mercato quando la sensazione è quella della casa che brucia.

Oggi che queste ansie si trasmettono anche nel cuore dell’Europa, tutto torna e tutto sembra ancor più maledettamente complicarsi. Viviamo smarriti la fine di un’epoca, ora che anche l’ultimo bastione continentale comincia a traballare, con il popolarismo in affanno, la socialdemocrazia che cede e il grande ballo dei particolarismi – difficile da etichettare di destra o di sinistra – che si appresta a danzare sulle note malinconiche del valzer che fu.

(pubblicato sul Secolo d'Italia del 30 settembre 2008).
Foto: una casa nel centro di Salisburgo, particolare (fotowalkingclass).

La grande crisi del 2008

La crisi finanziaria invade l'Europa e straccia il velo dell'illusione che fosse solo una storia americana: Rampini su Repubblica. Intanto, in questa fase, qui si segue chi di economia ne capisce. Per esempio Phastidio e Massimo Gaggi dagli Usa.

lunedì, settembre 29, 2008

Aus Weißrussland

Tv-Sender gegen den eisernen Vorhang.
Der jüngste Fernsehsender Weißrusslands hat seinen Sitz nicht in der Hauptstadt Minsk, sondern in Warschau. Denn im Land des Alexander Lukaschenko hat es die Opposition schwer, die Öffentlichkeit zu erreichen. Deshalb wird mit Unterstützung von Litauen und Polen täglich ein Fernsehprogramm verbreitet. Ziel des Senders ist der Abbau "des letzen Teils des Eisernen Vorhanges in Mittelosteuropa".

Nahe Nachbar, weite Nachbar.
Aus der polnischen Perspektive ist Weißrussland nicht nur ein undemokratischer Nachbar, sondern auch eine Art Patenkind. Seit dem Fall der Sowjetunion engagiert sich die Regierung in Warschau stark für den Demokratisierungsprozess bei ihrem östlichen Nachbarn. Warschau erteilt weißrussischen Oppositionellen Asyl, unterstützt demokratische Medien, kritisiert Lukaschenko. Für dieses Engagement wurde Polen von Weißrussland zum Feind Nummer Eins erklärt. Umso überraschender kam der jüngste Vorschlag des polnischen Außenministers, die EU solle ihre Sanktionen gegen Minsk aufheben.

Le elezioni sono andate così: nessun seggio all'opposizione. La comunità internazionale, per quel che può valere, non riconosce la caratura democratica del voto. Il commento della Zdf.

Fonte: n-ost.

La piccola Baviera del Brandeburgo

Mentre giustamente tutta l'attenzione politica tedesca è dirottata sul terremoto bavarese, altri grattacapi per Angela Merkel vengono dal Brandeburgo, dove si è votato per il rinnovo dei consigli comunali. Si tratta di un test limitato, condizionato come sempre da fattori locali, da personalità che non incideranno allo stesso modo al momento del voto federale. Eppure un campanello d'allarme che non andrebbe sottovalutato, anche perché viene da una difficile regione dell'est che sembra indifferente ai proclami di attenzione che la Cdu lancia verso i nuovi Länder.

Raggruppando tutti i voti (a oltre metà dello scrutinio effettuato) si delinea un testa a testa fra la Linke e l'Spd (attualmente sono divisi da uno 0,1 per cento: 25,4 per la sinistra, 25,3 per i socialdemocratici) e una netta sconfitta per la Cdu: al 19,4 per cento dal 27,8 di cinque anni fa. Fatte le proporzioni, una piccola Baviera per il partito della cancelliera. Che farà bene a rifare i propri conti, una volta sommate le sconfitte contemporanee della Csu a sud e della Cdu a est.

La ripresa della Linke e la tenuta dei socialdemocratici rinsalda il binomio rosso-rosso che ad est non conosce ostracismi e soprattutto consolida quel vento di sinistra che in Germania sembra essere il leit motiv politico di questi ultimi anni. Che la Merkel abbia saputo intercettarlo mostrando ai suoi cittadini il lato sociale dei cristiano-democratici è un dato di fatto. Che questo convinca gli elettori tradizionali di sinistra a votarla è altra cosa. Il governo giungerà inoltre al traguardo con un bilancio di riforme tutt'altro che esaltante e probabilmente non potrà giovarsi dei buoni risultati economici degli anni precedenti, dovendo affrontare le conseguenze della crisi internazionale.

C'è una cosa, in particolare, che sembra sfuggire a tutti i sondaggi che misurano la grande popolarità della cancelliera: ogni volta che negli ultimi anni si è andati a votare per rinnovare comuni o regioni, i partiti della Grosse Koalition sono sempre stati penalizzati e la personalità di Angela Merkel non è mai riuscita a salvare almeno il suo partito dalla sconfitta. Certo, una cosa sono gli interessi che si muovono attorno a elezioni locali, altro è il movimento di opinione che si mette in moto al momento di un voto nazionale. Diventa difficile però capire dove la Cdu troverà quei voti che i sondaggi le accreditano ma che le urne, ogni volta che vengono aperte, puntualmente le negano.

Qui approfondimenti dai berlinesi Tagesspiegel e Morgenpost e dalla brandeburghese Märkische Allgemeine.

domenica, settembre 28, 2008

La slavina alpina/2: Baviera, ciao ciao Csu

Le proiezioni sono come un pugno nell'occhio dei militanti della Csu, radunati davanti ai teleschermi del loro centro di ascolto: 43 per cento lampeggia il tabellone, e la seconda proiezione sarà ancora peggiore. Ma non c'è tempo, né pazienza per guardarla. La botta è talmente grande da far traballare l'equilibrio. Altro che due Maß di birra all'Oktoberfest. Altro che i cinque gol presi dal Werder Brema all'Allianz Arena (e ieri, funesto presagio, il Bayern è andato ancora sotto in Bundesliga). Se la Csu è la Baviera e la Baviera caccia la Csu diciotto punti indietro rispetto alle precedenti elezioni, qualcosa di grosso è successo. Nel tessuto profondo di questo Stato libero e anomalo nella Germania di oggi.

Un pezzo di passato che si stacca e vola via da una macchina in corsa come la Baviera, da una locomotiva a tutta velocità come la Germania riunificata. Un risultato storico che richiederà un'analisi di fondo, uno studio approfondito, che indaghi ben oltre le pur evidenti e contingenti responsabilità della buffa diarchia che ha retto le sorti della Csu dopo il regicidio di Stoiber. E che scavi nelle inquietudini profonde di un paese che si riscopre diverso da come si era immaginato, quasi vent'anni fa, quando il Muro venne giù e cominciò l'avventura della riunificazione. Inquietudini che toccano i poveri ma anche i ricchi, come il voto bavarese dimostra.

Tanto più che i voti in libera, liberissima uscita dai cristiano sociali non sono andati all'Spd (addirittura sotto il pur pessimo risultato della scorsa volta). Sono rimasti a galleggiare nel bacino del centrodestra, in parte intercettati dai liberali che rientrano in parlamento dopo tanti anni, in maggior parte assorbiti dai Freie Wähler, lo strano raggruppamento che questa volta si è giovato di una robusta diaspora dalla Csu. Stando alle proiezioni del momento, un buon 4,7 per cento è stato conquistato anche dalla Linke, che mancherebbe però l'ingresso in parlamento per una manciata di voti. La sostanza resta, la Baviera è la roccaforte conservatrice, ma l'immagine di una travolgente avanzata anche ad ovest ne viene pregiudicata.

Resta enorme l'impressione del crollo. Finisce l'ultimo partito-stato di Germania? Si chiude, con l'ultimo bastione sgretolato, la stagione dei partiti di massa in Germania? E verso cosa si muoverà l'intero quadro istituzionale federale nei prossimi anni? Finisce inevitabilmente in secondo piano il gioco delle coalizioni, che pure dopo tanti decenni tornerà ad animare il dopo-elezioni della Baviera. Anche perché non sarà difficile dare vita a un governo di centrodestra fra Csu e liberali. E probabilmente i cittadini avranno di che guadagnarne. Meno tranquilla sarà la nottata di Angela Merkel a Berlino. Le elezioni nazionali sono fra un anno e la forza della Csu era una sicurezza per i fratelli maggiori della Cdu. Oggi questa sicurezza è venuta meno.

Chi vuol seguire in diretta i risultati, segnalo il sito della Süddeutsche Zeitung e soprattutto, in italiano, il liveblogging di Giovanni Boggero su Germanynews.

La slavina alpina/1: l'Austropopulismo

Quella che vedete di fianco è la ripartizione dei seggi nel prossimo parlamento austriaco. Si gonfia il consenso delle destre, divise tra i liberal-nazionali al 18 per cento (Fpö, l'ex partito di Haider) e i neo-haideriani (Bzö) al 12 per cento. Crescita prevista ma non in queste proporzioni, soprattutto per il partito di Haider, andato assai oltre i sondaggi. Divisi anche da odi personali interni, ma uniti da una piattaforma programmatica simile di chiaro stampo populista. Cosa potrà significare questo per gli equilibri futuri di governo è ancora troppo presto per dirlo. I due partiti maggiori hanno subito una sonora sconfitta: socialdemocratici e popolari hanno pagato lo scotto di un governo di Grosse Koalition peggiore di quelli che avevano portato all'esplosione del fenomeno Heider alla fine degli anni Novanta. Ma è andata peggio ai popolari che hanno perduto di più, nonostante la guida (e la maggiore responsabilità) dell'esecutivo fallito fosse stata dei socialdemocratici. Questi ultimi si possono consolare con il fatto di esser rimasti primo partito, anche se i due raggruppamenti di destra possono contare assieme quasi il 30 per cento e trenta seggi in più rispetto alle precedenti elezioni (qui l'analisi dal quotidiano austriaco Kurier e quella di Vittorio Da Rold, in italiano, sul Sole 24 Ore).

L'Spö avanzerà la richiesta di avere la cancelleria in quanto primo partito e proverà a costruire un governo di coalizione. Ai popolari toccherà la pena di decidere se fare i partner di minoranza di una nuova Grosse Koalition, con il rischio di ripercorrere la stessa, deprimente strada degli ultimi mesi, o di avventurarsi in un governo di destra con i partiti populisti, ammesso e non concesso che questi abbiano intenzione di mettersi d'accordo fra di loro. Anche in questo caso, tuttavia, la forza delle due estreme è tale che ai popolari toccherà fare il vaso di coccio. Tengono i verdi, ma la debacle socialdemocratica rende impraticabile un governo di sinistra, anche perché i liberali non nazionalisti hanno fallito la soglia di ingresso in parlamento. Dunque, la coalizione che non è riuscita a governare, che ha fallito tutti gli obiettivi, che non ha assicurato stabilità e che è stata sonoramente bocciata dalle urne è quella che ha le maggiori possibilità di tornare a governare il paese. Se non è crisi di sistema questa...

Si vota e si corre

Si vota anche in Brandeburgo per le elezioni comunali. Piccolo test elettorale mentre tutta l'attenzione politica è concentrata sul risultato della Baviera. Tuttavia importante, perché i sondaggi segnalano una preoccupante ripresa del partito neonazista. La mobilitazione degli altri partiti è stata consistente ma grande è anche l'insoddisfazione di parte dei cittadini di cui prova a beneficiare il populismo razzista dell'Npd, il partito dell'estrema destra. Ma non è solo politica questa domenica. A Berlino, per esempio, si corre. Si sta disputando la trentacinquesima edizione della maratona.

Bielorussia, le urne silenziose

Domenica elettorale anche in Bielorussia, ma si fa per dire. L'unica differenza, questa volta, è che il governo ha scelto il silenzio, il basso profilo: solo una preventiva richiesta all'Europa e all'occidente in generale di non menarla troppo con i controlli e di considerare, senza farla lunga, legittime le elezioni di oggi. Cosa che con tutta probabilità l'Europa non farà. L'opposizione aveva boicottato le elezioni del 2000 e del 2004, questa volta ci sarà, anche se il controllo preventivo del governo ne ha decimato la rappresentanza. Non è mai facile fare politica in una dittatura, in più le catastrofiche performance di georgiani e ucraini hanno tagliato le gambe a contestatori già deboli. Ma rispetto al solito saranno presenti in maggior numero. Alcuni osservatori evidenziano qualche timido tentativo di alleggerimento della pressione interna da parte di Lukashenka, ma considerarle aperture in senso democratico pare un po' troppo. Chi scrive non è mai stato in Bielorussia e l'esperienza maturata nei viaggi ad est insegna ad andare cauti con i giudizi quando un paese non si è visitato. Dunque ci fermiamo qui: osserviamo il voto e gli sviluppi politici attraverso la stampa internazionale, agganciando le osservazioni alle realtà confinanti che si conoscono direttamente. In attesa di riprendere i bagagli e andare anche a Minsk. Intanto tre approfondimenti: Die Zeit, Transition Online e Radio Free Europe.

venerdì, settembre 26, 2008

Turbolenze ad alta quota: il voto alpino

(Alpi bavaresi, fotowalkingclass)

Domenica elettorale in area alpina. In Baviera si vota per rinnovare il parlamento regionale. La Csu, costola regionale dei cristiano-democratici, rischia il tracollo elettorale. A rischio la maggioranza assoluta. Gli ultimi sondaggi la danno al 47 per cento. Ovviamente i margini per un governo di coalizione ci sono tutti, ma secondo molti osservatori il crollo sarebbe l'onda lunga della crisi di consenso che ha investito i partiti di massa tedeschi (e in Baviera la Csu è il partito di massa per eccellenza). Campanello d'allarme per Angela Merkel in vista della corsa alla Cancelleria del prossimo anno. Da tenere sott'occhio, come sempre in ogni nuova elezione regionale ad ovest, la Linke, vicina alla soglia d'ingresso in parlamento del 5 per cento. Dovesse farcela anche nella conservatorissima Baviera (ma pare difficile), sarebbe un ulteriore segnale. Dall'articolo pubblicato due mesi fa non è cambiato molto, a parte le sbandate alcoliche sui boccali di birra del presidente uscente Beckstein. Per questo lo ripropongo nel link qui. Aggiungo le pagine speciali della bavarese Süddeutsche Zeitung e del settimanale Die Zeit.


Si salta il confine (virtuale, siamo in Europa) e si arriva in Austria, la repubblica alpina per eccellenza. Campagna elettorale sottotono, in un quadro politico soporifero che neppure il ritorno del populista Heider è riuscito a vivacizzare. Il governo di Grosse Koalition a guida socialdemocratica è caduto qualche tempo fa nell'indifferenza generale, un nuovo governo di Grosse Koalition potrebbe riformarsi dopo il voto, probabilmente sempre nell'indifferenza generale. D'altronde l'Austria è un paese piccolo ma ricco e benestante e la politica dell'ultimo decennio non rende merito anche al ruolo internazionale che il paese svolge, grazie anche alla sua posizione geografica al centro del continente. Sarà anche per questo che gli unici spasimi vengono dai sondaggi (così come la curiosità maggiore è quella dell'introduzione del voto ai sedicenni): gli austriaci sembrano intenzionati a punire i due partiti maggiori (socialdemocratici e popolari) che hanno insieme malgovernato, sprofondandoli ben al di sotto del 30 per cento. In compenso crescerebbero in maniera sparsa tutti i partiti minori, dai nazionalisti ai populisti, dai liberali ai verdi. Ci vorrà molta fantasia e un po' di azzardo per inventare inedite coalizioni di governo. Ma se il crollo di socialdemocratici e popolari sarà davvero pesante, si vivrà il paradosso che la Grosse Koalition sarà l'unica formula matematicamente possibile di governo. Un anticipo di quello che potrà accadere tra un anno in Germania (dove già si parla, non a caso, di deriva austriaca della politica tedesca)? Intanto link alle pagine speciali dei quotidiani anche qui: Der Standard e Die Presse.

mercoledì, settembre 24, 2008

Non ci sono più i giornalisti di una volta


Si legge in questi giorni dall'Italia degli assalti di Paolini alle postazioni del tg1 e dei divieti di movimento che gli vengono comminati nel tentativo di arginarne la follia. Eppure, quando c'era Frajese, Paolini aveva imparato a non avvicinarsi più alle telecamere.

Novantesimo minuto

Chissà se va

Allegria!

No, non è la BBC

La caduta del Muro di Berlino / 3

La caduta del Muro di Berlino / 2

La caduta del Muro di Berlino / 1

Intervallo

martedì, settembre 23, 2008

La difficile arte della stampa in Croazia

Der kroatische Journalist Dušan Miljuš ist vor mehr als 100 Tagen vor seinem Haus krankenhausreif geschlagen worden, doch noch immer tappt die Polizei bei der Suche nach den Tätern im Dunkeln. Miljuš ist kein Einzelfall: Mittlerweile wurden 60 Fälle bekannt, in denen Journalisten in Kroatien schikaniert oder körperlich angegriffen wurden. Nun gehen die Kollegen auf die Barrikaden. (Fonte: n-ost).

lunedì, settembre 22, 2008

E' morto il papà di Knut

Chissà perché, prima o poi, tutte le favole hanno una fine. E se non sono un film della Disney il lieto fine non è assicurato. Così finisce anche la favola di Knut e quella del suo papà adottivo, il veterinario dello Zoo di Berlino Thomas Dörflein, l'uomo dalla barba nera folta, tanto nera quanto bianca è la pelliccia di Knut. La favola è finita in un appartamento di Wilmersdorf, un quartiere verde e residenziale nella zona occidentale di Berlino. Dörflein è stato trovato lì, il corpo senza vita. Se n'è andato a quarantaquattro anni e con lui gran parte della nuvoletta magica che aveva accompagnato questa fiaba dei tempi moderni. La fiaba di Knut, l'orsetto senza madre che i fondamentalisti della natura volevano accoppare e che questo timido veterinario dal sorriso triste ha invece salvato, facendolo diventare - credo suo malgrado - simbolo di una città, mascotte dello zoo, oggetto di marketing, protagonista di film. Knut, prima di crescere e diventare un orso vero, si era già trasformato in una perfetta macchina da soldi. Ma la presenza accanto a lui del papà umano con la barba scura e il sorriso triste restituiva sempre un'alone di fiaba anche alla speculazione più spinta. Forse non c'è nessun mistero in questa morte, non un suicidio, non una vita sbarellata da un successo troppo improvviso e troppo grande. Certo, Dörflein aveva vissuto con un po' di imbarazzo il successo di sponda che lo aveva raggiunto. Ma la polizia conferma che non vi sono indizi di suicidio. Non amava i riflettori ma aveva sopportato con il suo sorriso malinconico (e qualche sudata davanti alle telecamere) la faticosa notorietà. Sembra che fosse da tempo malato. E forse era questa la ragione di quel sorriso a labbra in giù.

Sulla stampa berlinese: Tagesspiegel, Morgenpost, Taz, Berliner Zeitung, Bild.

Aliespaña

Basta che non la vendiamo agli spagnoli.

Oktoberfest

Questi sono i giocatori del Werder Brema che hanno festeggiato alla grande l'avvio dell'Oktoberfest battendo all'Allianz Arena il Bayern München per 5 a 2 (il parziale era di 5 a 0). Una sconfitta così, a Monaco di Baviera, la smaltiranno con più difficoltà delle due Maß Bier di Beckstein. Giornata calcistica piena di sorprese, comunque. Torna alla ribalta (e al secondo posto) la matricola Hoffenheim che si toglie la soddisfazione di un 4 a 1 contro il Borussia Dortmund. L'Amburgo si ferma a Wolfsburg e lascia il primato a beneficio dello Schalke 04. Vince anche l'Hertha sul campo del glorioso Mönchengladbach, che sembra proprio non riuscire a fare due anni di seguito in prima serie. Lassù si riaffaccia anche lo Stoccarda. Se Klinsmann stecca ancora, la Bundesliga ci può offrire un campionato aperto e appassionante.

domenica, settembre 21, 2008

Slovenia, avanti a sinistra

Cambio di guardia in Slovenia dove la sinistra socialdemocratica vince nettamente le elezioni. E si prepara a governare sotto la guida di un quarantaquattrenne, Borut Pahor, ex modello, presidente del parlamento e deputato europeo.

The Week After

Alla velocità della luce, il Corriere della Sera spara sul proprio sito una storia che qui vi avevamo raccontato undici giorni fa. Nel frattempo ne avevano parlato lo Stern, ovviamente la Bild, la dotta Deutschlandfunk e una quantità infinita di trasmissioni televisive.

venerdì, settembre 19, 2008

The Balkan Job

Sandro Grosso (Big Blog) ci porta nella nuova avventura imprenditoriale e musicale al di là dell'Adriatico. Nasce la Mtv balcanica, sede in Bulgaria e ramificazioni in tutta la penisola, da Zagabria e Bucarest, da Atene a Istanbul. In nome della rinascita del pop balcanico e alla scoperta di nuove star. Per chi ha seguito le ultime stagioni dell'Eurofestival, non è una sorpresa. Semmai una buona notizia.

Alithansa

L'ultima hansa, prima dello schianto. Ah, che cosa ridicola, l'italianità nel ventunesimo secolo. Qui si pensa che il capitalismo ha di questi tempi un bel po' di problemi, ma le vie nazionali non sono una soluzione. Che la proposta di Air France di qualche mese fa andava accettata e che Berlusconi non aveva elettoralmente alcun bisogno (come si è visto dall'ampia vittoria) di cavalcare demagogicamente la polemica anti-Prodi e di far da sponda (allora) ai piloti. Si pensa pure che le politiche di format si ritorcono contro gli autori quando il telespettatore si stanca e l'audience cala. Qui si trova anche un po' infantile il giubilo che si legge da qualche parte per l'eventuale fallimento di una compagnia come Alitalia.

mercoledì, settembre 17, 2008

Italia, radar e la sponda sud che parla francese

Spunti di riflessione giungono dall'auto-accusa che Carlo De Benedetti ha lanciato verso l'Italia e la sua classe dirigente, tutta quanta e non solo quella politica. Un'auto-accusa coraggiosa, perché il presidente del gruppo Cir (cui fanno parte Espresso e Repubblica) ci ha messo dentro anche l'imprenditoria, della quale è da decenni autorevole esponente. Un lamento, però ad essere onesti, giunto un po' in ritardo, sia nella parte distruttiva che in quella costruttiva. L'Italia non conta più nulla ha detto parlando ad un convegno dell'Aspen, è sparita dagli schermi radar: cosa aihmé vera e purtroppo nota da tempo a quanti si occupano di politica estera in generale e misurano da tempo lo spessore del nostro paese nel quadro internazionale. Poi la proposta: abbiamo di fronte alle nostre coste la nostra Cina e la nostra India, il sud del Mediterraneo, una sponda lungo la quale giocare le nostre carte (si suppone di potenza regionale e non più globale, come ci si era illusi qualche tempo fa) con le piccole e medie imprese. Però noi avevamo anche la sponda est, quell'area compresa tra i Balcani e la Romania, dove le condizioni erano, non più di dieci anni fa, le stesse che oggi vengono individuate nel sud del Mediterraneo. E ci siamo giocati la carta adriatica malissimo. Ora vorremmo superare il braccio di mare a sud. Anche qui un po' in ritardo: qualcuno si è accorto che proprio quest'area è stata già appaltata da Sarkozy e dalla Francia con il progetto dell'Unione per il Mediterraneo? Una leadership c'è già, agli altri toccheranno le briciole.

Cronachette meteo

Non è stata un'estate che si resterà nella memoria. Mediamente fresca, mediamente piovosa. Pochi giorni veramente caldi, concentrati all'inizio di giugno, poi quasi più niente. Da tre giorni, invece, le temperature sono crollate. Costante e inesorabile come una sottile lama d'acciaio, spira da est il vento freddo della steppa, insolitamente freddo anche per Berlino, a metà settembre. Non saremo alle soglie di una nuova guerra fredda, ma dalla Russia, meteorologicamente parlando, arrivano comunque brividi fuori stagione. Per dare un'idea, di giorno si superano a stento i 10 gradi, la notte si scende sui 7. Abbondantemente al di sotto della media per il periodo. Le statistiche (che in meteorologia valgono quanto il due di picche) assicurano che ad ottobre avremo un ritorno d'estate, e francamente sarebbe augurabile. Così come sarebbe augurabile avere un inverno che sia inverno e un'estate che sia un po' più estate. Da qualche tempo invece si assiste a questa sorta di livellamento climatico, per cui a gennaio ci sono 12 gradi e a settembre pure. Questi giorni butta così: vento moderato da oriente, neppure raffiche sostenute, ma un leggero alito freddo che si accompagna a una lastra spessa e inutile di nubi grigie. Sembra novembre. Ma a novembre farà più caldo.

martedì, settembre 16, 2008

Le vie dell'Ucraina sono finite

O almeno quelle del governo arancione. La crisi è ufficiale, le responabilità generali (e non solo interne), la soluzione complessa e difficile. Si partirà con colloqui tra i partiti. E se ci si infilerà in un vicolo cieco, nuove elezioni. Ovviamente nessuno sa per cosa. La crisi ucraina si inserisce in quella faglia geopolitica sensibilissima che è diventata l'area delle ex repubbliche dell'Urss. E, fra le tante cose, segna il fallimento più smaccato per la strategia statunitense di "allargamento ad est". Le leadership delle rivoluzioni colorate erano marce al loro interno, come dimostra il caso di Saakashvili in Georgia e quello più articolato di Jushenko in Ucraina. A Kiev come a Tbilisi, tuttavia, le ambizioni occidentali non sono state un'invenzione americana ma sentimenti presenti in larga fascia della popolazione. In Ucraina, in particolare, è forte la differenza tra est ed ovest. Ma questa è un'ulteriore complicazione, perché se l'ovest sente fortissima l'attrazione verso occidente, l'est e il sud mostrano un legame fortissimo con la Russia, che è umano, linguistico, culturale. Una leadership responsabile e capace avrebbe dovuto provare a tenere assieme le due parti, con gradualità e competenza, senza strappi velleitari. Il nostro eroe della rivoluzione (nostro, perché non c'è dubbio che attorno al suo volto butterato dal veleno si siano spese anche le nostre iniziali speranze) non era, giusto per rendergli l'onore delle armi in modo gentile, la persona giusta. E forse, da questa parte dell'Europa, i cambiamenti eterodiretti hanno vita corta. Ora la battaglia riprende, c'è di mezzo il potere e quello piace tremendamente a tutti in un paese oligarchico. L'Ucraina ritorna al centro di un grande gioco euro-asiatico, ma in realtà non aveva mai cessato di rappresentarne il cuore. Ora che è accaduto l'irreparabile, se ne accorgeranno anche i distratti media italiani?

Notizie in diretta da Kiev su Unian, Kiev Ukraine News Blog, Interfax, Kyiv Post, Zerkalo Nedeli.

In foto: l'ingresso di un non allettante Casinò ucraino (fotowalkingclass).

Il Corriere che si scioglie

Il Corriere della Sera (l'ex grande giornale autorevole d'Italia) fornisce sul suo sito internet una notizia sulla quale Repubblica ha mandato nelle settimane scorse uno dei migliori inviati scrittori italiani, Paolo Rumiz, che ci ha scritto sopra quattro reportage: uno, due, tre e quattro. Concorrenza: ma il Corsera arriva sempre dopo.

Dove vanno i navigli russi

Radio Free Europe sostiene che un ufficiale russo avrebbe dichiarato che il suo paese vuol mantenere la flotta militare nel porto ucraino di Sebastopoli. Ria Novosti ci fa sapere invece che lo stesso paese sta valutando l'ipotesi di mollare il porto sul Mar Nero per trasferirsi (nel 2017, quando l'accordo tra Russia e Ucraina avrà termine) nel Mediterraneo. Per la precisione, sulla costa siriana, a Tartus, dove la vecchia Unione Sovietica aveva un suo riferimento logistico. Che Ria Novosti ne sappia di più di Radio Free Europe è testimoniato dal post di questo buffo sito para-religioso, che riportava (in un italiano evidentemente filtrato dalla mefitica traduzione google) la notizia di lavori russi in zona già un anno fa. Ovviamente, materiale per chi sta costruendo lo scenario di una nuova guerra fredda. Però, credeteci: mandate i sovietologi in pensione, la storia nel Ventunesimo secolo è un'altra. Anche se è un po' difficile districarsi fra le differenti propagande, la cosa peggiore è ragionare come se fossero le stesse questioni di più di vent'anni fa. Magari sono anche più pericolose oggi, non fosse altro perché, qui in Europa, ancora non è chiaro a che gioco si stia giocando. Il mondo sta cambiando, il puzzle uscito dalle rivoluzioni dell'Ottantanove è stato frullato da altre date epocali. Verrebbe da dire che sono più validi i manuali dell'Ottocento di quelli del Novecento, per inquadrare diplomazie e strategie. Ma quei manuali e quelle geografie ottocentesche andrebbero spalmate sulle dimensioni globali del mondo contemporaneo.

lunedì, settembre 15, 2008

Come è possibile?

«Come è possibile — continua a chiedersi — che un padre e un figlio commettano un omicidio insieme? Il figlio che insulta, suo padre accanto a lui che picchia. E uccidono un ragazzo di 19 anni. Non è concepibile». Sono le parole di Bara Aminata, la mamma di Abdul William Guibre, il ragazzo italiano originario del Burkina Faso ucciso a bastonate ieri a Milano. Perché, al di là del furto dei biscotti, vero o falso, al di là del razzismo, certo o presunto, al di là di tutto, che padre e che figlio sono quei due? E che Italia rappresentano, quel padre e quel figlio? «Non siamo assolutamente razzisti» hanno appena fatto sapere i due assassini per bocca del loro avvocato. E allora? Possibile, davvero, che neppure ora si rendano conto della crudeltà che ha invaso le loro vite? «L'avremmo fatto lo stesso, anche se fosse stato bianco». Che facciamo, adesso, li assolviamo?

E a Torino ne succede un'altra: gli danno fuoco nell'auto dopo un litigio. Nessun meticciato di mezzo, né bianchi né neri. Solo imbecilli. E crudeli- Ma che succede? Come è possibile? O forse succede sempre, semplicemente che qualche volta le notizie si incatenano e bisognerebbe semplicemente guardare da un'altra parte (sperando che non capiti mai a noi)?

Nazista sarà lei

Scambio di cortesie fra l'anziano ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt (novant'anni portati che è una bellezza, e fuma pure!) e il leader della Linke Oscar Lafontaine, dai lunghi trascorsi nell'Spd. Il primo paragona il transfugo ad Adolf Hitler, il secondo dà al suo vecchio leader, più o meno, del rimbambito. Diciamo che bon ton e fair play sembrano andarsi a benedire pure in Germania, e non per colpa di una nuova e più aggressiva leva di politici. 

Un quasi sciopero generale

Servizi pubblici in sciopero, oggi, a Berlino. Rivendicazione: salari più alti. Obiettivo: il governo regionale, che qui si chiama Senato. La guida è rosso-rossa, Spd più Linke. Ma il sindacato qui non guarda in faccia a nessuno.

Casa dolce casa

Il riscatto politico di Kurt Beck nella sua Mainz. I delegati del partito socialdemocratico della Renania-Palatinato gli restituiscono entusiasmo, dignità e affetto. E lo confermano con il 99,5 per cento (una volta si sarebbe detto risultato bulgaro) alla guida del partito nella regione. Del Land Kurt Beck è anche presidente (oggi in Italia si direbbe - scimmiottando Lamerica - governatore). Se non è amore questo!

domenica, settembre 14, 2008

La domenica sportiva


Se l'Alitalia fallisce, si interrompono i voli e non si può più andare da una parte all'altra, bisognerà considerare concluso il campionato di calcio. Troverei di che consolarmi.

Le vie dell'Ucraina sono infinite

Per chi fosse ancora rimasto ancorato al 2004, ecco su Limes la perfetta analisi di Stefano Grazioli (Poganka) sulle ultime vicende ucraine. E occhio al finale, perché è probabilmente quello che accadrà.

E' nata una stella?

Sebastian Vettel, a ventun'anni, vince il suo primo gran premio, dopo aver ottenuto la sua prima pole (pilota più giovane di tutti i tempi). Sulla storica pista di Monza, in mezzo al diluvio, a bordo della piccola casa automobilistica Toro Rosso, erede della Minardi. E dopo un paio d'anni, sul podio, tornano a incrociarsi l'inno tedesco del pilota e quello italiano della casa costruttrice (che monta motori Ferrari). Come ai tempi di Schumi. Piano con i paragoni però, facciamolo crescere. Nella patria adottiva, si festeggia anche qui.

sabato, settembre 13, 2008

Rimescolamenti politici

La cura Steinmeier comincia a dare qualche frutto. E a movimentare il quadro politico. Tolto per il momento lo sguardo a sinistra, l'Spd rilancia al centro iniziando il corteggiamento dei liberali dell'Fdp. Obiettivo: quella che in Germania si chiama l'Ampelkoalition, la coalizione semaforo dai colori dei tre partiti che ne farebbero parte. Rosso (Spd), giallo (liberali) e verdi. Il primo segnale di attenzione era venuto qualche giorno fa da Dirk Niebel, segretario generale dell'Fdp che in un articolo sul Tagesspiegel dal titolo "Unsere neue Spd", la nostra nuova Spd, invitava la nuova-vecchia dirigenza socialdemocratica a riportare la barra al centro, a coniugare l'attenzione per il sociale con una visione liberale della società e a guardare con attenzione all'Fdp come possibile partner di governo. I giornali liberal tedeschi cavalcano molto questa ipotesi (il Tagesspiegel è uno di essi), anche perché l'alleanza liberal-socialista ha già segnato la stagione degli anni Settanta, ai tempi di Willy Brandt e Helmut Schmidt, anni d'oro per la socialdemocrazia. Allora non c'erano i verdi, oggi però indispensabili per un'eventuale maggioranza di governo: in più gli eredi di Joschka Fischer hanno già dimostrato di possedere cultura di governo nei sette anni con Schröder.

A dare corpo a questa strategia ci ha pensato più autorevolmente proprio il candidato alla cancelleria, il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, impegnato in questi giorni come la maggior parte dei politici nella campagna elettorale bavarese. Aperture ai liberali e chiusura, almeno a livello federale, verso la Linke. Obiettivo: riconquistare le posizioni perdute nella guerra a sinistra e sondare una più concreta alternativa politica alla Grosse Koalition. Nel nuovo tandem politico socialdemocratico, dopo la dichiarazione di Steinmeier è arrivata quella di Müntefering, che ha sostituito Beck alla guida del partito. Curiosamente, per il momento a frenare è proprio quel Niebel (Fdp) che aveva per primo lanciato il sasso.

Come alternativa all'Ampelkoalition, c'è sul versante opposto la cosiddetta Jamaika Koalition: ne abbiamo parlato a lungo nei mesi scorsi in occasione del dibattito suscitato dalla rivista Cicero (la Bionade Republik) e del primo esperimento in tal senso partorito a livello regionale nel Senato di Amburgo. A qualche mese di distanza, però, questa alleanza (che nel capoluogo anseatico non comprende i liberali) mostra segni di stanchezza e le piattaforme di Cdu e verdi, messe alla prova dei fatti, si dimostrano meno compatibili del previsto. A Berlino (sede di un altro esperimento politico, quello rosso-rosso tutto a sinistra guidato da Wowereit) il leader della Cdu Pflüger che aveva caldeggiato una Jamaika Koalition in versione locale, è stato fatto fuori dalla guida del partito (e perfidamente i verdi di qui gli hanno offerto asilo politico).

Per quanto la Cdu di Angela Merkel viaggi a punteggio pieno nei sondaggi di queste settimane, l'ipotesi più tradizionale cui punta la cancelliera - l'alleanza stabile di centrodestra con l'Fdp - è sempre a rischio della soglia di maggioranza. La Merkel proverà a gettare sul piatto elettorale tutta la sua popolarità, nella speranza di guadagnare quei punti percentuali che consentirebbero all'alleanza nero-gialla di superare il 50 per cento. Ma la ricerca di nuovi percorsi politici, stante l'ingresso ormai stabile della Linke nel panorama della democrazia tedesca post-riunificazione, resta un compito obbligato per gli sherpa dei cinque partiti.

Fantozzi sarà lei

Phastidio mette in fila l'insostenibile leggerezza dell'essere del ministro Sacconi, nel corso della trattativa Alitalia.

Scontro di civiltà?

Come la mettiamo?

venerdì, settembre 12, 2008

Calatrava, eppur è bello

Il ponte della discordia, progettato dall'architetto Calatrava, inaugurato in sordina a Venezia per le polemiche suscitate, è bello. Ha ragione il sindaco Cacciari: Venezia (e l'Italia) hanno perso una buona occasione. Modernità e tradizione possono andare d'accordo. Magari col tempo le polemiche cesseranno e il ponte sarà apprezzato nella sua bellezza. Resta però un'occasione persa.

Il dopo Saakashvili

Mesi contati per il presidente georgiano Saakashvili? L'ipotesi è più che probabile. L'azzardo di agosto non è stato molto apprezzato a Washington, nonostante le dichiarazioni di facciata. Figuriamoci in Europa, dove la mossa agostana ha solo fatto crescere le diffidenze nei suoi confronti della cancelliera Merkel. Certo, le dichiarazioni di parte russa hanno al momento compattato attorno a Saakashvili parte della popolazione e del ceto politico. Ma fino a quando durerà? Poco, sostiene Radio Free Europe, che per ora ci fornisce la lista dei possibili successori, con in testa una donna: Nino Burjanadze (non inganni il nome). Prendendo in prestito l'accetta con cui i media occidentali tagliano le vicende politiche di quest'area del pianeta, diciamo che anche Nino Burjanadze si inserisce nel novero dei politici filo-occidentali, anche se la sua carriera politica è ricca e frastagliata: per lungo tempo ha appoggiato un politico navigato e più prudente di Saakashvili come Edward Shevardnadze. E nell'ultima fase ha voltato le spalle a colui che era stato scambiato per un campione della democrazia per fondare un think-tank.

Lo shopping di Lufthansa

Mentre l'Alitalia vive il suo giorno più drammatico, vengono rese note le compagnie aeree cui è interessata la tedesca Lufthansa. Già da tempo si sapeva dell'interesse per Austrian Airlines, in difficoltà finanziarie ma ricca di rotte verso l'Europa orientale e balcanica. Oggi spunta anche il nome di Sas, la compagnia di bandiera scandinava le cui azioni sono state messe sul mercato. Insomma, la Lufthansa guarda a nord (Financial Times Deutschland). Rapporti si stringono anche con la polacca Lot e con la belga Brussels Airlines. Il quotidiano finanziario parla anche di rapporti presi con Alitalia ma su questo versante le incognite restano altissime, a partire dall'esito della trattativa in corso a Roma e forte resterebbe comunque la concorrenza di Air France-KLM.

Berlino Est vede rosso

Harald Martenstein, giornalista e scrittore piuttosto noto della carta stampata, è andato per gli incroci di Berlino a misurare la durata della luce rossa ai semafori. Ha trovato la fondamentale differenza fra le due vecchie parti di Berlino Est e Berlino Ovest, una differenza probabilmente ideologica che delimita la diversità delle due metà a ormai diciannove anni dalla caduta del Muro: ad Est il rosso dura di più. Per l'esattezza 12 secondi in più. Qui il video da Watch Berlin, via Die Zeit. Foto: Ampelmännchen rosso in una strada della ex Berlino Est, fotowalkingclass.

Aridatece Apicella!


Questo sarebbe lo spot ufficiale dei mondiali di ciclismo su strada organizzati dalla padanissima Varese. Poi si lamentano se i ciclisti si dopano. Varese va, Varese va...cce proprio!

Il senso delle russe per la moda

Il Berliner Morgenpost celebra la bellezza femminile slava impersonata dalle ragazze russe e dal loro particolare gusto per la moda eccentrica e aggressiva. Berlino in particolare, ospita una giovane, crescente e vivace comunità russa (qui l'intenso programma culturale mensile, grazie al sito Berlin-Moskau). In realtà un'antica tradizione quella dei russi a Berlino, basti pensare ai tempi di Nabokov e dare un'occhiata alla recensione di questo bel libro di Karl Schlögel, Das Russische Berlin, la Berlino russa. Ma non v'è dubbio che "l'invasione" di oggi sia, se letterariamente meno qualitativa (con tutto il rispetto e il divertimento, leggere Kaminer non è proprio come leggere Nabokov), almeno visivamente più piacevole. E forse anche più utile per una città che da qualche tempo avanza pretese (a mio avviso ancora velleitarie) di diventare anche una capitale della moda. Magari ci aiuteranno le russe.

L'Spd riparte ma la Merkel è lontana

Piccoli sommovimenti nei sondaggi del Politbarometer, il punto sul consenso ai partiti politici degli elettori che la Zdf offre periodicamente. Piuttosto attesi questa settimana, all'indomani del cambio di vertice nel partito socialdemocratico e del lancio della candidatura di Steinmeier alla cancelleria. L'Spd, dunque, sembra aver superato indenne il putsch della scorsa settimana e anzi aver recuperato qualcosa nella prospettiva di un riequilibrio al centro della sua politica. Tre punti, secondo il sondaggio, dal 25 al 28 per cento: intanto ha mollato gli ormeggi dal fondo. Salda al primo posto resta la corazzata Cdu/Csu, attestata al 42 per cento, in calo di un punto. Ma il grado di tenuta dei socialdemocratici è riscontrabile soprattutto nel mancato smottamento a sinistra, temuto o auspicato a seconda della prospettiva. Lafontaine e Gysi guadagnano un punto percentuale, sempre un buon risultato per un partito più piccolo ma, almeno per ora, non quella fuga verso la vera sinistra auspicata dal suo leader all'indomani della svolta spd: comunque 11 per cento e conferma di essere la terza forza.

Meno bene va per gli altri due partiti "minori". I verdi perdono un paio di punti (complice forse anche l'incertezza per il cambio di leadership che dovrebbe avvenire a breve) e si fermano all'8 per cento. E sembrano aver completamente perduto la loro spinta propulsiva i liberali di Westerwelle, che pure qualche tempo fa si erano affacciati stabilmente oltre il 10 per cento: ora sono al 7.

In Germania il cancelliere non è eletto direttamente dal popolo ed è sempre l'espressione di accordi fra i partiti. Tuttavia, la personalizzazione della vita politica ha ormai fatto breccia anche qui ed è comunque consuetudine che venga incaricato di formare il governo il leader (o il prescelto, come sarà per l'Spd la prossima volta) del partito che raccoglie il maggior numero di voti, fosse anche lo 0,1 per cento in più. Così il sondaggio della Zdf mette in concorrenza i leader principali, chiedendo ai cittadini di indicare il loro preferito, come se si trattasse di un'elezione diretta. E qui per l'Spd la strada resta tutta in salita: il primato di Angela Merkel non pare scalfibile. Cancelliera uscente al 51 per cento, Steinmeier quindici punti sotto al 36, gli indecisi sommano il 13 per cento. La Merkel pesca un 24 per cento nell'elettorato socialdemocratico, Steinmeier solo l'11 in quello cristiano-democratico. L'unica consolazione per il ministro degli esteri è quella di andarsi a guardare i sondaggi della volta precedente che davano Schröder praticamente spacciato ai nastri di partenza della campagna elettorale del 2005: ma questa volta il bonus del cancelliere se lo gioca la Merkel. Intanto la Süddeutsche Zeitung pubblica una prima, lunga intervista con Steinmeier.

Interessanti, per concludere, le domande riferite alle recenti vicende dell'Spd. La maggior parte degli elettori interpellati considera giuste le dimissioni di Kurt Beck dalla guida del partito (63 contro 20) e ritiene che con la nuova diarchia verrà abbandonata la prospettiva di poter realizzare un'alleanza con la Linke a livello federale (il 57 per cento lo credeva ad agosto, solo il 43 oggi). Supporto anche per la nuova leadership di Franz Müntefering: il 46 per cento lo ritiene più adeguato di Kurt Beck, contro il 6 che gli preferiva il presidente della Renania-Palatinato. A Kurt Beck non resta che mitigare la delusione nella sua Mainz.

Qui il Politbarometer di oggi, qui la pagina generale che contiene anche le precedenti edizioni.

Il grande freddo degli sfollati tedeschi

Il libro è arrivato come una fredda lama di coltello. A riaprire ferite che si volevano cicatrizzate, ad allargare un dibattito che da qualche anno era tornato a lacerare la Germania. L’argomento è stato tabù fino a poco tempo fa: i tedeschi dei territori dell’est costretti a sfollare dopo l’occupazione dell’Armata Rossa. La guerra rovinosamente finita e perduta, una popolazione sulla quale si abbattè la vendetta feroce dei vincitori e la nemesi dell’aggressione nazista. Stracci raccolti in fagotti di fortuna, un’interminabile, dolente fila di sfollati, in marcia con ogni mezzo da est verso ovest: una fila lunga quattordici milioni di persone, in gran parte donne, vecchi e bambini, perché gli uomini, quelli che erano sopravvissuti alle battaglie e alle vendette, erano rinchiusi nei gulag del profondo oriente sovietico. Il più grande esodo post-bellico, fra i tanti che seguirono il riposizionamento dei confini da est verso ovest di molti Stati sotto il cappello di Mosca: russi portati in Ucraina, polacchi presi di peso da Minsk e Leopoli e catapultati a Breslavia e nella Slesia. Ma sull’esodo dei tedeschi, i colpevoli, piombò il penoso silenzio della vergogna. Anche in patria, dove li chiamavano ufficialmente Vertriebene.

Finora, seppur lentamente e con le prudenze che anche in Italia hanno accompagnato la riapertura dei capitoli legati alle foibe e all’esodo degli esuli dalmati e giuliani, erano stati riesumati dall’oblio i racconti drammatici degli sfollati. Le loro memorie perdute, la nostalgia per le terre abbandonate. Ma ora un libro apre tutta un’altra storia. Sono 430 pagine esplosive quelle che Andreas Kossert ha dato alle stampe per l’editore Siedler, puntando però l’obiettivo ad ovest, nella stessa Germania. Il titolo è già un giudizio: “Kalte Heimat”, patria fredda, con tutta l’aggravante che il significato di Heimat si porta nell’immaginario linguistico tedesco (l’Heimat è qualcosa di sentimentale e caldo, distante dal concetto di Vaterland, più patriottico e ufficiale). Il libro dunque focalizza l’analisi non sul punto di partenza ma su quello di approdo. Per scoprire che non furono solidarietà e accoglienza i sentimenti prevalenti fra coloro che avevano sì subito le miserie della guerra ma almeno non avevano dovuto abbandonare, da un giorno all’altro, tutta la loro vita per inventarsene un’altra altrove. Est contro ovest, la Germania lontana delle marche orientali e quella “renana” che si aggrappava all’occidente per ricominciare. Si parla di più di sessant’anni fa, ma certi temi di fondo si ritrovano oggi nella storia della Germania riunificata ma sempre divisa fra un est e un ovest.

Andreas Kossert strappa il velo su una verità nascosta sotto il tappeto della retorica di Stato, quella di un paese pronto ad accogliere e assistere quegli sventurati che persero tutto. Costoro, anzi, subirono la doppia umiliazione di abbandonare le proprie terre e di ritrovarsi stranieri in quella che, comunque, sarebbe dovuta essere anche la loro patria. Kossert è uno storico giovane e originale, ha trentotto anni, lavora all’Istituto storico tedesco di Varsavia e si occupa principalmente di Europa centro-orientale. Ha al suo attivo già due libri di successo che hanno riportato all’attenzione dei lettori tedeschi immagini, ricordi, nozioni di due regioni perdute: la Prussia orientale e la sua appendice meridionale, quella dei laghi Masuri. Terre che fin dal 1200 furono la culla europea dell’Ordine Teutonico e che dal 2004 sono tornate a far parte dell’Unione Europea divise tra la Polonia e le Repubbliche Baltiche. Un’unica eccezione è l’enclave russa di Kaliningrad, l’antica Konigsberg di Immanuel Kant, E.T.A. Hoffmann, Käthe Kollowitz e nella quale soggiornò Anna Arendt.

La vicenda degli esuli ha sempre toccato un nervo scoperto in patria perché si temeva potesse riaprire tentazioni revanchiste sui confini. La responsabilità per l’olocausto e lo sterminio degli ebrei accentuava il senso di colpa e il pudore nel parlare dei dolori e delle ingiustizie subite proprio a causa di quella guerra. In più era un argomento politicamente scorretto per la sinistra che, pur distanziandosi con il famoso congresso di Bad Godesberg dal comunismo, privilegiava i buoni rapporti con i nuovi regimi popolari oltre cortina. Il libro si apre proprio con una citazione del 1999 dell’allora ministro degli Interni socialdemocratico Otto Schilly: “La sinistra politica ha in passato ignorato i delitti compiuti contro gli esuli e il loro dolore, vuoi per disinteresse, vuoi per paura di essere accusata di revanchismo o nella folle convinzione di raggiungere un accomodamento con i nostri vicini orientali attraverso l’omissione e la rimozione. Questo atteggiamento è stato indice di mancanza di coraggio e indecisione”. Sembra si sentir riecheggiare le parole fiere del nostro capo dello Stato in occasione delle più recenti giornate del ricordo, il 10 febbraio, in cui si celebra un altro esodo a lungo dimenticato, quello dei dalmati e dei giuliani costretti dalle truppe titine ad abbandonare le loro case.

Ravvedimenti tardivi? Meglio tardi che mai e tuttavia, ora che tutti sembrano riscoprire le pagine consegnate per decenni alla congiura del silenzio (da ultimo anche Günter Grass nel suo “Passo del gambero”), Kossert non dà tregua allo scavo nella memoria e riporta alla luce gli anni in cui la maggior parte dei tedeschi non voleva vedere, sentire, sapere. Gli esuli erano lì tra loro. Arrivarono con i vestiti sudici e qualche fagotto di fortuna. Ce li raccontò in presa diretta un giornalista e scrittore svedese, Stig Dagerman, autore del più bel reportage sull’ora zero tedesca (il libro, “Autunno tedesco”, è stato ripubblicato in italiano un anno fa dalla casa editrice Lindau): ora laceri scaricati dai treni sui marciapiedi delle stazioni di Monaco e Stoccarda, ora smarriti e quasi invisibili nei ruderi dove si erano rifugiati. “Polacchi” venivano chiamati con disprezzo dai concittadini dell’ovest che non li amavano. Erano anni difficili, nei quali la miseria si combatteva con l’astuzia e la furbizia, il mercato nero e il commercio illegale, mors tua vita mea: fu il destino di due comunità che avrebbero dovuto essere un'unica nazione solidale e invece si facevano concorrenza nella lotta per la sopravvivenza.

La situazione non cambiò molto, almeno dal punto di vista psicologico, anche dopo, quando per i Vertriebene venne istituito un ministero apposito che restò in attività per vent’anni, dal 1949 al 1969, sempre in mano alla Cdu con una breve parentesi liberale. I profughi furono parte decisiva del miracolo economico tedesco, il Wirtschaftswunder che fece ripartire in pochi anni la produzione industriale e poi i consumi e strappò definitivamente il paese dalla fame e dalla miseria. Un francobollo commemorativo nel 1965 ne celebrò il ventennale.

Il bilancio di questa tragedia fu enorme. Dei quattordici milioni di profughi, due milioni morirono per violenze, fame, sfinimenti nei mesi dell’occupazione e negli stenti della lunga fuga. La Germania perse un terzo dei suoi territori. Kossert rimarca non solo le perdite materiali ma anche quelle culturali: monco del suo polmone orientale, il paese ha vissuto sbilanciato su una sola gamba in una dimensione “renana”. Le difficoltà psicologiche dell’attuale riunificazione ne sono la conseguenza. E ancora oggi i ripensamenti tardivi non servono a stemperare il dibattito sulla richiesta dell’associazione degli esuli (il combattivo Bund der Vertribenen) di realizzare, magari a Berlino, un memoriale per tornare a ricordare.

(pubblicato il 28 luglio 2008)

giovedì, settembre 11, 2008

Undici Settembre

New York, World Trade Center, lapide commemorativa (fotowalkingclass)

E' partita la sfida ad Angela Merkel

A osservare le migliaia di cittadini che qualche settimana fa hanno affollato come mai in passato le stanze della Cancelleria nel giorno dedicato alla libera visita dei palazzi della politica, Angela Merkel deve avere tratto più di qualche buon auspicio per l’anno elettorale che si va aprendo. Sorrideva la cancelliera, sorpresa da tanto affetto e tanta curiosità. E firmando autografi da paziente padrona di casa incontrava solo sorrisi e attestati di stima. Le capita ormai da quattro anni, da quando si insediò sulla poltrona politica forse più importante d’Europa fra lo scetticismo generale. Sorrisi e complimenti. Da oggi però dovrà rassegnarsi a fare a meno di quello del suo vice-cancelliere, il fidato e leale ministro degli Esteri socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier. Il suo partito lo ha nominato a candidato ufficiale per la Cancelleria, al termine di una giornata surreale che ha certificato anche lo stato di crisi profonda nella quale versa il partito socialdemocratico tedesco.

Quasi un presagio della missione impossibile cui si fa carico questo nuovo personaggio della scena politica, non un politico di professione ma un funzionario, capace di affiancare con passo felpato due cancellieri: come consigliere quello che è considerato il suo padre politico, Gerhard Schröder, e come capo della diplomazia quella che sarà la sua avversaria nel lungo anno elettorale, Angela Merkel. La giornata che avrebbe solo dovuto incoronarlo sfidante ufficiale si è trasformata in una commedia degli intrighi, degna della penna del miglior Simenon. Con la defenestrazione improvvisa del leader del partito, Kurt Beck, le accuse e i risentimenti di quest’ultimo e il ritorno in blocco della vecchia guardia schröderiana e riformista che spera di salvare capra e cavoli dalla deriva massimalista degli ultimi tempi.

Che la nomina di Steinmeier avrebbe riequilibrato la rotta sbilanciata a sinistra dell’Spd era cosa attesa e scontata. Ma che la virata sarebbe stata tanto decisa e precipitosa, con il cambio anche del vertice del partito, questo non se lo aspettava nessuno. Sulla tolda di comando è pronto a ritornare Franz Müntefering, il grande avversario di Beck, uno dei sostenitori della famosa Agenda 2010, il programma di riforme dell’economia del governo di Schröder che resta il punto della discordia fra le due anime dei socialdemocratici. Müntefering era entrato come vice-cancelliere e ministro del Lavoro nel governo di Grosse Koalition, poi si era ritirato dalla politica per stare accanto alla moglie malata, lasciando il testimone del riformismo proprio a Steinmeier. Ora è pronto a riprendere la guida del partito (era già stato presidente dal 2004 al 2005) e a lanciare proprio con Steinmeier la sfida ad Angela Merkel.

In realtà il compito che attende la nuova diarchia socialdemocratica è innanzitutto un altro: salvare un partito glorioso come l’Spd dal declino. La stagione di Kurt Beck è stata tutt’altro che esaltante e sarà ricordata per il costante calo di consenso: da mesi ormai i sondaggi attestano l’Spd al suo minimo storico, attorno al 25 per cento. Marcata al centro dalla politica moderata e sociale della Cdu targata Merkel, la leadership di Beck si è trovata impreparata a gestire la concorrenza a sinistra della Linke. Non è riuscita ad affrontare con coerenza la fondamentale questione dell’alleanza con il partito di Lafontaine e Gysi, con il risultato di inseguire le occasioni (come in Assia) e di arrivare a trattare da posizioni di debolezza. A Beck è mancata la capacità di leadership, la sua Spd è apparsa una nave in mezzo alla tempesta, con i colonnelli che viaggiavano in ordine sparso, smarriti in dichiarazioni a ruota libera. Il cambio, per quanto traumatico e inatteso, non è sorprendente.

Ciò che sorprende sono invece le modalità. Tanto che la cancelliera ha avuto gioco facile nelle sue prime dichiarazioni. Da un lato ha mostrato il consueto fair play, congratulandosi con il suo vice e dicendosi, con qualche civetteria, felice di poter competere con lui per la cancelleria. Dall’altro non ha mancato di sottolineare la crisi dell’Spd, che accusa di essere “lacerata e poco dignitosa”.

Di fatto inizia così il lungo anno elettorale che vedrà di fronte i due politici simbolo del governo attualmente in carica. Una situazione particolare e pericolosa anche per l’azione dell’esecutivo, inevitabilmente preso nel mezzo di una competizione accesa. La Cdu e l’Spd non hanno mai mancato di evidenziare come il compromesso attuale sia temporaneo e destinato a rompersi una volta terminata l’emergenza. Ma i sondaggi indicano che il quadro politico tende a complicarsi, non a rasserenarsi. Che i cittadini sono entusiasti di Angela Merkel ma molto meno del suo governo. Che i due grandi partiti perdono consensi a vantaggio dei piccoli all’opposizione. Che l’ascesa ormai stabile della Linke impone scelte strategiche nell’ottica di un sistema pentapartitico. Cdu e Spd correranno puntando sui rispettivi alleati tradizionali, i liberali a destra, i verdi a sinistra. Ma le due segreterie sanno che fra un anno le urne potrebbero restituire le stesse carte del 2005. E in quel caso le strade saranno due: o dare subito vita a rischiose coalizioni mai sperimentate. O considerare l’alleanza tra i due partiti maggiori qualcosa di più di una occasione straordinaria: magari un centrosinistra organico. Con la Merkel e Steinmeier di nuovo fianco a fianco.

(pubblicato il 10 settembre 2008)

mercoledì, settembre 10, 2008

La casa degli orsi berlinesi

Si inaugura oggi la nuova Arena am Ostbahnhof (O2 World Arena, per chi amerà chiamarla con il nome dello sponsor), il nuovo palazzone dello sport cittadino sulla riva della Sprea, che sarà ad un tempo arena di concerti e palazzo dello sport per due delle nostre squadre berlinesi preferite: gli Eisbären di hockey su ghiaccio e l'Alba di pallacanestro. Sugli spalti, posto per 17mila spettatori. Qui tutto sulla inaugurazione. Questo, invece, il sito ufficiale.

Noio voulevon savuar


Il Trap è sempre in piedi, nonostante gli scivoloni dalla sedia. Cosa che non si può dire di Repubblica (nonostante un grande pezzo di Ezio Mauro oggi sulle svolte politiche poco digerite di An). Nel sito, commentando la caduta di Trapattoni dalla sedia in conferenza stampa con la sua nuova nazionale irlandese, Repubblica sostiene: "Giovanni Trapattoni prosegue la striscia fortunata di esibizioni all'estero. Dopo la lavata di capo in tedesco quando era allenatore dello Stoccarda, ora tocca all'Irlanda. Il nuovo ct si è esibito (senza coseguenze) in uno scivolone nel corso di una conferenza stampa. Molte risate ma nessun danno. In questa galleria le immagini diffuse dai quotidiani irlandesi". In apertura del post, da YouTube, la famosa "lavata di capo" (ma come si esprimono a Repubblica... le parole sono importanti, gridava Nanni Moretti): vi sembra che siamo a Stoccarda?

I Kurt Beck della Cdu di Berlino

Mentre l'attenzione nazionale è focalizzata sulle vicende dell'Spd, a Berlino va di scena il motivo per cui la conferma di Angela Merkel, fra un anno, è tutt'altro che scontata. La crisi profonda della Cdu berlinese è solo uno dei tasselli delle difficoltà della variegata costellazione conservatrice tedesca. Che dalla capitale all'Assia dell'identitario Roland Koch (per non parlare della costola cristiano-sociale in Baviera) vive un presente difficile, mascherato a livello federale dalla popolarità della cancelliera. Chi conosce la Germania sa, però, quanto siano importanti le realtà regionali.

Accordo d'associazione

Sempre più distante la politica dell'Ue e la realpolitik dell'Ucraina dai desiderata degli States. Per ora bisogna leggere tra le righe. I conti finali si faranno quando alla Casa Bianca ci saranno Sarah o Barack.

martedì, settembre 09, 2008

L'Angela desnuda

Questa volta i paparazzi non c'entrano. La cancelliera desnuda e in atteggiamenti equivoci (si può dire orgiastici?) con colleghi politici è l'opera di un'artista costata 35 mila euro con il contributo finanziario del comune di Bodman-Ludwigshafen. Che l'ha esposta al pubblico, pare finora con grande successo e sicuro ritorno economico. Il paese è diviso, anche se i più sembrano non vedere l'ora di fare una visita. Ci racconta la storia Enzo Piergianni dal Velino, ma non perdetevi il video dello Stern che trovate sotto.

La carica dei cinquantenni

Angela Merkel ha 54 anni, con un'esperienza di quattro anni di cancelliera già alle spalle. Il suo attuale alleato ma futuro sfidante Frank-Walter Steinmeier di anni ne ha 52. E oggi la Bild presenta il ritratto di sua moglie, l'aspirante First Lady (o erste Frau im Staate), Elke Büdenbender, che di anni ne ha 46. Per essere un paese anagraficamente piuttosto vecchio, bisogna riconoscere che la Germania, almeno in politica, ha saputo rinnovare la propria prima fila.

Poganka educational

Tutti i conflitti congelati ma aperti nello spazio post-sovietico. Un piccolo dizionario geopolitico per i prossimi mesi.

Piano piano, Marshall

Cheney di là, l'Europa di qua. E l'Atlantico sempre più largo. Qui lo avevamo detto: gli interessi di Europa e Stati Uniti sembrano destinati a divaricarsi. Che vinca McCain (cioè la Palin) o Obama.

A time will come

Movimenti ad est. La Timoschenko pencola verso Mosca, Lukaschenko si mette in disparte e non riconosce, per il momento, i Kossovi della Georgia: "A time will come". L'Ucraina sembra ricercare il suo equilibrio tra est e ovest, tra Russia e Occidente. Forse anche la Bielorussia.

lunedì, settembre 08, 2008

L'onore perduto di Kurt Beck

Non ci volevano anni di esperienza con le vicende bizantine della politica italiana per capire, a tarda mattinata, che nel ristorante a due passi dal luogo del Parteitag socialdemocratico si stava consumando qualcosa di drammatico. La cronaca di una dimissione non annunciata, quella del leader del partito Kurt Beck, si è subito tinta di giallo, rovinando la giornata in cui Frank-Walter Steinmeier avrebbe dovuto lanciarsi nella lunga e difficile corsa verso la cancelleria. La sua incoronazione è passata quasi in secondo piano rispetto all'addio di Beck. Di putsch abbiamo parlato subito su questo blog, non appena le agenzie di stampa hanno ribattuto la notizia delle dimissioni. Adesso il sostantivo ritorna sui titoli degli organi di informazione tedeschi, dalla sofisticata Süddeutsche alla popolare Bild, dal riflessivo magazine di area Cicero all'autorevole Spiegel che conferma quanto si scriveva alla fine del post precedente: la lunga mano degli schröderiani, Müntefering in testa, che hanno consumato a freddo la vendetta verso un leader in difficoltà e mai amato. Kurt Beck ha concentrato il suo testamento politico in un foglio dattiloscritto: un concentrato di amarezza e risentimento racchiuso in formato A4. Parla di false informazioni, di un lavorio continuo contro la sua autorità, adombra manovre oscure. E rivendica, in un ultimo impeto di orgoglio, l'onore perduto. I commentatori si dividono, fra chi considera questo terremoto un segnale di ulteriore debolezza del partito e chi valuta invece le opportunità del nuovo-vecchio corso riformista. Sullo sfondo, almeno per oggi, restano tutti gli interrogativi (la strategia politica ed elettorale, le alleanze, il rapporto con la Linke e ora anche quello con la Merkel nel governo di Grosse Koalition) cui nei prossimi giorni la ritrovata diarchia dell'Spd dovrà cominciare a dare risposta.

domenica, settembre 07, 2008

Il terremoto in casa Spd

Alla fine il Parteitag dell'Spd si è rivelato un terremoto. Non solo l'ormai scontata candidatura alla cancelleria del ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier ma addirittura la defenestrazione del leader del partito Kurt Beck. Al suo posto, Franz Müntefering, appena rientrato sulla scena politica dopo l'assenza dovuta a motivi personali. La vecchia guardia torna dunque al comando del partito, con il compito di trascinarlo fuori dalla crisi in cui la leadership di Beck l'aveva precipitato. Un buon uomo, il presidente della Renania Palatinato, che aveva preso le redini della socialdemocrazia tedesca dopo l'abbandono del brandeburghese Matthias Platzeck, nell'aprile 2006, per motivi di salute. Ma incapace di assicurare una guida sicura e ferma: ha subìto inopinatamente la concorrenza della Linke, ha provato a rincorrerla sui temi sociali indebolendo la tradizione riformista dell'Spd, ha evitato di porre apertamente la questione di una collaborazione strategica a sinistra (tappa obbligata nell'ottica di un sistema partitico a cinque) per poi chiedere a Lafontaine i voti per un esecutivo regionale di minoranza (è il caso dell'Assia). Negli ultimi tempi la gloriosa Spd è apparsa una nave in mezzo alla tempesta, con i colonnelli che viaggiavano in ordine sparso perduti in dichiarazioni a ruota libera. L'esito di tanta incertezza è nei sondaggi, che da mesi condannano il partito alle cifre più basse della sua storia: intorno al 25 per cento. Non stupisce dunque il drammatico putsch interno di oggi, che liquida una leadership incerta e riporta con il duo Steinmeier-Müntefering la barra al centro. E' facile intravedere dietro il colpo la mano dell'ex cancelliere Schröder, la cui politica economica (simbolizzata dall'Agenda 2010) è stata ripetutamente messa in discussione dalla componente più a sinistra del partito, la cui influenza su Beck era cresciuta negli ultimi tempi. E' ancora presto per valutare le conseguenze della svolta anche solo sul piano interno del partito: se la nuova diarchia sarà in grado di unificare le forze ponendo fine alla deriva centripeta che stava distruggendo l'Spd. La campagna elettorale per la cancelleria (si voterà fra un anno, settembre 2009) dovrebbe aiutare l'impresa. Con Steinmeier candidato, l'Spd mette in campo il politico più apprezzato del partito, almeno stando ai sondaggi. E' anche stato un fedele alleato di quella Angela Merkel che da oggi si troverà a sfidare. La campagna è di fatto cominciata, la strada lunga, la rincorsa difficile. Ma l'esito non è più scontato come sembrava.

sabato, settembre 06, 2008

Apulians do it better (l'integrazione)

Da Euronews (grazie a Sandro).

Message in a bottle (per Paolo Emilio Petrillo)

Non conosco personalmente il collega Paolo Emilio Petrillo, che lavora anche lui da Berlino. Ma avevo avuto occasione di incrociare quasi un anno fa un suo articolo e di prenderlo ad esempio di una imprecisione professionale. La mia critica era al fatto, non alla persona: non sono così presuntuoso da fare il professorino e perderei giornate intere a raccontare i miei errori. Nulla di personale, ci mancherebbe, solo un caso da raccontare e lui ci era capitato in mezzo. Ora però un amico comune ha avuto occasione di incontrarlo e Petrillo gli ha raccontato come andarono le cose in quell'occasione. Per farla breve, la fonte lui l'aveva citata e il taglio avvenne in redazione. Ora si aprirebbe il vasto capitolo del rapporto fra i corrispondenti (e gli inviati) e le proprie redazioni, gli articoli letti velocemente e mal titolati, le richieste balzane dei direttori mentre si cerca di spiegare che la notizia è altrove, i tagli arbitrari di chi deve chiudere pagine e giornale in tempi brevissimi. Solo chi vive la vita interna dei giornali può comprendere come, ingranaggi che si ritengono oliati, siano invece continuamente inceppati da quella splendida intrusione nel meccanismo che è l'uomo. Vaste programme. Il mio è invece solo il doveroso obbligo di dare a Petrillo quel che è di Petrillo, chiudere un malinteso nel modo che spero più corretto, augurandomi che legga questo post come aveva letto l'altro.

Frank-Walter Steinmeier, missione impossibile

Secondo tutte le indiscrezioni, la scelta di Frank-Walter Steinmeier come candidato dell'Spd per la cancelleria nelle elezioni del prossimo anno (settembre 2009) è ormai fatta. La sua ufficializzazione sembra solo questione di tempo. I socialdemocratici vanno a congresso, nel momento più delicato della loro storia politica. Fra graditi ritorni (Müntefering) e leadership in bilico (Beck), concorrenze a sinistra (Lafontaine) e al centro (Merkel), il partito cerca le strade e le idee per uscire dalla crisi e puntare alla vittoria, fra un anno. A guardare i sondaggi, sembra una missione impossibile. Giusto un caso per il diplomatico Steinmeier. Che se non potrà vincere, cercherà almeno di evitare il successo pieno della Merkel e un governo giallo-nero: moriremo Grossekoalizionisti?

Analisi e commenti da: FAZ, Tagesspiegel, Welt, Cicero, Zeit. Qui le vignette di Cicero su Steinmeier.

Le paure dell'est

Torna netta la divisione fra Europa occidentale e orientale di fronte all'approccio da tenere verso la Russia. Anzi, più che di Europa occidentale, è più corretto parlare di Europa continentale, dal momento che la Gran Bretagna va incasellata di diritto come l'alfiere dei paesi dell'est. Una divisione che si va approfondendo sempre di più e che spacca l'Unione Europea a metà. Oggi, mentre i ministri degli Esteri dei 27 si riuniscono sulla crisi in Caucaso, da Varsavia e dal Baltico giungono toni forti.

Calcio e diplomazia

La partita di calcio più importante, oggi, si gioca qui.

venerdì, settembre 05, 2008

Come (e dove) cresce la Germania

Dalla Süddeutsche Zeitung, la classifica della crescita economica in Germania per grandi città. Entrate, prodotto lordo, quota di occupati e altri indicatori economici (in tutto ben 104) incoronano - tanto per cambiare - Monaco di Baviera in testa alla tabella. Che, tuttavia, contiene qualche sorpresa. Non sorprende, invece, l'assenza dalla top ten della capitale Berlino, per la quale vale ancora lo straordinario slogan coniato dal suo sindaco: arm aber sexy. (Nella foto: lo stadio Allianz Arena di Monaco, fotowalkingclass).

Aggiornamento. Ancora maggiori informazioni dal settimanale che ha promosso (insieme alla Initiative Neue Soziale Marktwirtschaft, INSM) e pubblicato l'intera classifica, Wirtschaftswoche. L'inchiesta si allarga a cinquanta città e valuta anche il grado di attrazione delle infrastrutture e del clima imprenditoriale per le imprese. Conforta il recupero delle città dell'est - simboleggiato dall'ingresso nella top ten di Dresda grazie alla diffusione della piccola e media impresa - un dato che smentisce il giudizio consolidato di depressione nei nuovi Länder. E grazie alle considerazioni del Tagesspigel, abbiamo anche scoperto la posizione di Berlino: cinquantesima. Cioè, ultima. Più arm che sexy. Come è possibile? Pare che, per dirla con un concetto che in Italia pare di moda, Berlino sia la città dei fannulloni. Solo il 45,7 per cento degli abitanti compresi tra i 15 e i 65 anni lavora contro il 54,7 della media delle città analizzate e la disoccupazione raggiunge il 17,9 per cento contro la media del 12,8 delle altre città. E' l'altra faccia del fascino berlinese, città levantina nella quale è dolce bighellonare: per questo così poco tedesca e in fondo alla classifica della crescita economica.