venerdì, febbraio 29, 2008

Sondaggi d'autore

Andrea Mancia non ha sbagliato un sondaggio che fosse uno nelle precedenti elezioni americane. Numeri e grafici sono la sua passione. Ci si tuffa dentro come fossero le monete del deposito e lui lo zio Paperone di turno. Pesa e soppesa. Conta e riconta, con la maestria di chi è convinto che calcolatrici e diavolerie tecnologiche che tanto gli piacciono dovessero, almeno in questa sacra occasione del sondaggio, lasciare il passo a una sapienza antica. Giuro: l'ho visto smanettare con il pallottoliere, pur di non sbagliare un decimale. E l'ha azzeccata sempre, quella previsione al di là dell'Oceano. Siccome la cosa gli piace, e siccome credo sia l'unico campo nel quale mette le briglie alla sua nota faziosità, Andrea ha deciso che la stessa arte investigativa andava messa a disposizione per le elezioni italiane. Che saranno meno appassionanti di quelle americane, ma sono le nostre elezioni e dunque ci interessano di più. Sul suo blog impasta tabelle e commenti con tutte quelle diavolerie matematiche di cui io, personalmente, non capisco nulla e dunque non sto qui a tentare di raccontarvele. Quello che vi consiglio, invece, è di andarvele a vedere ogni giorno. Medie ponderate, limature, aggiustamenti: tutto serve a riequilibrare le sfasature dei singoli sondaggi prodotti dai tanti istituti ufficiali demoscopici. Saprete come stanno andando davvero le cose. Meglio del sondaggista del Cavaliere e dei guru di Veltroni. State certi: il giorno prima del voto segnatevi i numeri e andateveli a giocare da qualche scommettitore (legale, per carità). Poi però ricordatevi di dare la percentuale a chi vi ha dato questa dritta.

Vaduz, o cara

Una riflessione che prende spunto dalle vicende dello scandalo fiscale che corre lungo la linea Germania-Liechtenstein (e che lambisce anche l'Italia) nell'intervista di Giovanni Boggero ad Alberto Mingardi pubblicata, ieri, su Ideazione. Personalmente sulle tasse ho una posizione più articolata e soprattutto, penso che la legge vada sempre e comunque rispettata. Ma gli spunti sono tanti e interessanti e meritano di essere dibattuti: non mi ha convinto, in particolare, il ruolo dei servizi segreti e il loro metodo di pagare un informatore per acquisire dati segreti. Starei attento ai paragoni, non li definirei metodi da Gestapo. Ma non sono bei metodi.

Arriva l'uragana

Di nuovo in tema di tropico del Brandeburgo. Come in tutti i tropici che si rispettino, domani non ci faremo mancare la visita dell'uragano. Anzi, dell'uragana, giacché la gentile tempesta si chiama Emma. Da questa notte gli esperti prevedono venti in rinforzo fino ai 120 chilometri orari, rovesci e acquazzoni, fulmini e lampi. In città c'è allarme. I bollettini invitano a starsene al chiuso, se possibile, o almeno a evitare di camminare a ridosso di cornicioni e ponteggi. Visto il precedente di un anno fa, sarebbe il caso di evitare anche la nuovissima stazione centrale. A Cottbus dovranno rinunciare alla partita con i campioni di Germania dello Stoccarda: rinviata a data da destinarsi.

mercoledì, febbraio 27, 2008

Tropico del Brandeburgo

Il tempo di uscire dal portone e sembra quasi di essere tornati a Roma. Il vento caldo e umido che spira da occidente ovatta il respiro e lascia senza fiato. Sarà una giornata fiacca, come quando da noi giù arriva l'alito dello scirocco e le gambe si piegano e la volontà si appanna. Solo che qui siamo a Berlino ed è fine febbraio. Quando l'inverno era inverno, di questi tempi ci si metteva i mutandoni lunghi sotto i pantaloni e il cappellone di lana e le sciarpe, due o tre, e i guanti e tutto quello che potesse coprire ogni centimetro di pelle scoperta. Quando l'inverno era inverno, si usciva dal portone di casa con l'unico obbiettivo di infilarsi il più presto possibile nel tunnel della metropolitana per riscaldarsi al caldo artificiale della sotterranea. Oggi la colonnina di mercurio ha segnato quattordici gradi di massima e undici di minima. Se non è global warming, è almeno Berlin warming. E neppure c'è il sole. E' proprio caldo di suo. E' la nuova vita all'ombra del Tropico del Brandeburgo.

martedì, febbraio 26, 2008

Questa Germania così italiana

Sembra buffa questa Germania così moderna, così efficiente, eppure di questi tempi sempre più spesso costretta a misurarsi con sfide che in Italia abbiamo già affrontato negli anni passati, e qualche volta con successo. A dispetto della sua tradizionale efficienza questo Paese, centrale e decisivo per la crescita dell’Europa, scopre ogni giorno di più di dover fare i conti con un sistema che si fa sempre meno prevedibile e che comporta una certa dose di flessibilità e di improvvisazione. Se il contorno si fa più incerto, è possibile anche non prendere tutto alla lettera e provare a navigare a vista, fra scioperi selvaggi e imprevisti, leggi e regolamenti considerati vessatori, politici e partiti che perdono il ruolo di punto di riferimento sacrale. La società diventa più individualistica, forse un po’ più italiana [... continua su Ideazione/Alexanderplatz].

Amburgo e Berlino, laboratori per uscire dalla crisi

Berlino chiama e Amburgo risponde. Passa dai laboratori politici di queste due città il tentativo di offrire alla politica tedesca strade nuove che facciano uscire il Paese intero dallo stallo politico nel quale pare caduto. Berlino è la città della svolta a sinistra, socialdemocratici più sinistra radicale, benedetta dal sindaco in carica Klaus Wowereit. Amburgo può diventare la prima città a dare vita a un esecutivo tra Cdu e verdi, un’alleanza insolita che può aprire la strada a nuove alternative per il versante conservatore, finora relegato solo all’opzione liberale [... continua su Ideazione].

lunedì, febbraio 25, 2008

Minchia e ariminchia

Pare che la novità del centrodestra in Sicilia si chiami Raffaele Lombardo. Minchia! La monnezza dell'Udc se la becca tutta Berlusconi. Ariminchia!

martedì, febbraio 19, 2008

Berlinale, voce ai silenzi di Katyn

Alla Berlinale, tra premiazioni e cerimonia di chiusura, è stato il fine settimana di Katyn, il film di Andrzej Wajda presentato fuori concorso che racconta uno degli episodi più raccapriccianti della Seconda guerra mondiale: il massacro degli ufficiali polacchi perpetrato dai sovietici nelle campagne di Katyn, nell’Europa orientale. Una vicenda tragica tra le tante di quel conflitto tremendo che però rimase coperta da silenzi e omissioni anche negli anni del dopoguerra, quando i sovietici provarono ad addossare la colpa ai nazisti, imbastendo una serie di testimonianze e prove imbarazzanti, che non convinsero la commissione di Norimberga.

Una sorta di segreto di Pulcinella, ostinatamente portato avanti da autorità e storici sovietici, di cui era vietato parlare in tutta l’Europa comunista e, ovviamente, soprattutto in Polonia. Wajda restituisce alla vicenda immagini e voci, dramma e passione. Lo fa sulla base dell’ormai ampia documentazione cui gli storici possono avere accesso, dopo l’apertura degli archivi sovietici di Mosca. Fu Eltsin, in verità, come racconta lo storico Viktor Zaslavsky in un libro del 1989 pubblicato proprio dalla casa editrice Ideazione (e poi ulteriormente ampliato con nuova documentazione in una successiva edizione del Mulino), a rendere pubblici gli atti di Katyn, sui quali il silenzio era stato tenuto fino all’ultimo anche da Gorbaciov, per le evidenti ricadute che – non solo la storia quanto i meccanismi messi in moto per il suo occultamento – avrebbe avuto nei rapporti russo-polacchi.

Il film di Wajda è stato presentato venerdì sera in prima visione europea al pubblico della Berlinale del Palast sulla Marlene-Dietrich-Platz. E poi replicato in altri cinema del circuito nel fine settimana. L’anteprima europea era stata preceduta da cinque mesi di successo ininterrotto in Polonia, dove è uscito ad ottobre. Tre milioni di spettatori polacchi hanno sinora visto la pellicola. Il film è secco e crudele. Racconta la vicenda attraverso differenti piani. Il diario di un ufficiale è il brogliaccio attraverso il quale scorre la narrazione. La strenua quanto inutile difesa dell’esercito polacco dall’aggressione nazista, il ripiego verso oriente, l’abbraccio mortale con i sovietici nel momento in cui il patto Ribbentrop-Molotov cominciò a svelare i famigerati protocolli segreti che prevedevano la spartizione della Polonia. Gli ufficiali che credevano di trovare ad oriente se non aiuto almeno un rifugio, vennero imprigionati, umiliati e infine giustiziati nei pozzi senza luce della ragione di Stato bolscevica.

Ci sono altre tracce lungo le quali il film di Wojda si muove. Soprattutto quella del racconto dei familiari, degli amici che nel settore polacco occupato dai tedeschi o in quello occupato dai russi, di colpo videro interrompersi le comunicazioni epistolari con i loro cari, rinchiusi nei campi di concentramento sovietici. La storia su questo punto si muove speculare, Germania nazista e Russia sovietica partecipano assieme all’eliminazione fisica, culturale e linguistica della fragile Polonia. Poi ci sono gli anni del dopoguerra e della costruzione del mondo comunista, nei quali l’eccidio ormai non più oscurabile viene alla luce ma attribuito ai nazisti, in una babele di date, testimonianze, rapporti che si contraddicono uno con l’altro. Le famiglie sanno e i polacchi sanno, ma nessuno può dire o provare la verità ad alta voce. La verità è nelle carte nascoste nei più segreti archivi moscoviti. E nella memoria degli ufficiali che non ci sono più.

Nella scena che chiude il film, uno dopo l’altro gli ufficiali escono dai camion che li avrebbero dovuti condurre dal campo di concentramento alla libertà, in Russia, per partecipare alla lotta di liberazione contro i nazisti (ora non più alleati dei sovietici ma in guerra proprio contro Mosca). Ma lo spiazzo nel quale scendono, dopo ore di viaggio, non è un campo di libertà. E’ un campo di morte. Per ogni ufficiale che salta giù dal carro e prova a inspirare un po’ di aria fresca c’è un sicario che lo affianca puntandogli una pistola alla nuca. Il colpo. Un lago di sangue. E una fossa comune. Si esce dal cinema in silenzio, come dopo la proiezione di “Schindler’s List” di Steven Spielberg o “Il Pianista” di Roman Polanski. Gettandosi alle spalle le polemiche per l’accuratezza della ricostruzione storica (che pure in Katyn è piuttosto attenta). Chi scrive aveva già visto il film ad ottobre, in un cinema di Varsavia. Dopo i titoli di coda un silenzio commosso e angoscioso. Ora gli spettatori zittiscono pure negli androni della Berlinale. Anche se lì fuori c’è Madonna e i suoi fan fanno festa.

Il martedì appuntamento sull'Alexanderplatz

Con l'ampliamento del sito di Ideazione e la trasformazione della rivista in quotidiano online, torna (come promesso) la rubrica Alexanderplatz, le curiosità sull'Europa centro-orientale vista da Berlino, o meglio dalla sua piazza più famosa. Una rubrica che aveva tenuto quotidianamente compagnia ai lettori di Ideazione nella primavera e nell'estate scorsa. Con la nuova impaginazione, Alexanderplatz diventa settimanale. Il suo giorno ufficiale è il martedì (le rubriche del colonnino di sinistra sono settimanali e si aggiornano a rotazione). Rispetto alla prima versione, questa Alexanderplatz si occuperà meno di politica (argomento di cui scriveremo direttamente all'interno del giornale) e più di costume, cultura e società. In Italia l'attenzione verso l'altra Europa (dalla Germania all'Est, passando per la Scandinavia e la Mitteleuropa) è ancora troppo limitata e Alexanderplatz ha un po' l'ambizione di colmare il vuoto. Dunque, appuntamento ad ogni martedì.

L'Europa e il Kossovo

Quando torna di scena il Kossovo, a me vengono in mente le immagini cui ho assistito nove anni fa, in una Tirana assediata dai profughi, mentre al di là del confine a nord i macellai di Milosevic inscenavano l'ultimo capitolo del medioevo balcanico. Conosco la complessità della politica, figuriamoci di quella dei Balcani. Ma non mi è mai capitato di recriminare sull'intervento della Nato, che anzi giudicai tardivo, perché ho visto con i miei occhi le tragedie scatenate dalla sete di potere del tiranno serbo. Di quei giorni passati nel fango della capitale albanese resta questo vecchio reportage, che ogni tanto ripropongo ai lettori del blog. Ci sono i dolori e le speranze di quel pezzo di storia balcanica che mi è capitato di vivere direttamente. Oggi, quando a Pristina sventolano le bandiere di un altro nazionalismo, quello pan-albanese, un po' mi vengono i brividi, perché mi pare di ascoltare venti di intolleranza uguali e contrari. Ma poi penso che questa indipendenza, questa chance di libertà, i kossovari se la siano meritata. La speranza è che sappiano utilizzarla bene.

I tempi passano, nove anni sono tanti, le situazioni si evolvono. Oggi quell'area si trova davvero ad uno snodo cruciale. Gli Stati Uniti avevano fatto anche troppo, se si tiene conto del fatto che l'area di crisi balcanica, in fondo, non era di vitale importanza per la geopolitica di Washington. L'Europa ha fatto quel che ha potuto e saputo fare. Cioè poco. Ha messo le toppe a una ricostruzione faticosa e difficile con i suoi soldati e i suoi aiuti economici. Ma è stata tiepida nell'azione politica. Certo, la transizione serba è stata lenta e complessa, la lunga teoria di assassini politici - clamoroso quello del premier Dijndrijc nel 2003 - ha ripetutamente messo in dubbio la sua marcia democratica, ma negli ultimi tempi l'appoggio alla linea moderata del presidente Tadic (rieletto da qualche giorno per il rotto della cuffia) è stata determinata dalla fatica dell'Unione più che dalle lentezze di Belgrado.

L'indipendenza è cosa fatta. Accadde la stessa cosa con Slovenia e Croazia. Il dado è tratto, l'annuncio è arrivato e i riconoscimenti seguiranno, con la prudenza che la diplomazia in questi casi richiede. Ancor prima degli Usa è arrivato il sì della Francia, prima fra le grandi nazioni europee. Seguirà a breve quello della Gran Bretagna. Quindi sarà la volta di Germania e Italia. Solo la Spagna ha giurato che non riconoscerà il nuovo Stato, aprendo di fatto una piccola crisi diplomatica all'interno della Ue, che ha lasciato liberi i propri membri di decidere autonomamente la linea da adottare: un ulteriore segno di debolezza. Proprio mentre ci vorrebbe forza e compattezza per indicare al "paese mutilato" un'alternativa concreta. La Serbia può digerire con il tempo il boccone amaro (ma meritato) del Kossovo indipendente solo se vedrà che l'alternativa a un nazionalismo rancoroso e asfittico è una nuova strada di prosperità. Questa strada porta da Belgrado a Bruxelles. E passa per Zagabria e Lubiana. L'esempio dei vicini ex nemici. E la buona volontà dell'Unione. Facciamo in modo che Belgrado possa volersi bene, una volta tanto. Faremmo del bene anche a noi stessi.

lunedì, febbraio 18, 2008

Da oggi online la nuova Ideazione

I lettori di Ideazione troveranno questa mattina una bella sorpresa. Il nuovo editore della casa editrice ha deciso di puntare su internet per potenziare l'informazione del gruppo. E la rivista, da oggi, diventa quotidiano online. Ideazione ha una storia lunga, anche su internet. Il bimestrale cartaceo è nato nel novembre 1994. Alla prima versione online di Ideazione ci mettemmo a lavorare alla fine del 1996. Internet era una curiosità per pochi ma (cedo ai ricordi personali) Franco Oliva, che era stato mio caporedattore all'Opinione, ci aveva convinti tutti che il futuro sarebbe passato da lì. E aveva ragione. I collegamenti con il modem rendevano la lettura online più una fatica che un piacere, ma l'impressione era quella di essere tanti Neil Armstrong, e muovere i primi passi sulla Luna.

Anno dopo anno il sito si è arricchito. Gli articoli dalla rivista cartacea, le edizioni dei libri, gli studi del centro culturale. Poi il boom, con lo sviluppo delle tecnologie. La prima edizione autonoma di Ideazione sul web fu una specie di prototipo. Lo realizzammo con Andrea Mancia e si chiamava Interazione: un settimanale snello, dodici articoli che diventarono quindici in breve tempo. Si spaziava dalla politica al calcio, una bella boccata d'ossigeno per una rivista seria come Ideazione. Fu un successo e, pochi mesi dopo, Interazione si trasformò in Ideazione.com, raccogliendo l'onore di portare nel "nuovo mondo" il nome della testata principale. Settimanale, quindicinale, poi quotidiano con la difficoltà di assegnare a un'esperienza online la periodicità tipica delle pubblicazioni cartacee.

Ideazione si è riflessa negli ultimi dieci anni della sua lunga storia anche e soprattutto nelle edizioni online. Oltre al sito principale, ricordo i cinque anni di Emporion, l'accreditato quindicinale di geo-economia che ha coperto un vuoto nella pubblicistica di settore su internet, nel quale abbiamo speso passione e impegno. E la creazione e la crescita di Tocqueville, l'aggregatore di blog che poi ha saputo muoversi sulle proprie gambe. Su internet si è formata una generazione di giornalisti la cui affermazione rappresenta l'orgoglio della testata che per alcuni anni ho avuto l'onore di dirigere. Qui non ci sono mai state seconde file, come sanno bene tutti coloro che per Ideazione sono passati e che oggi rappresentano le prime file dei giornali in cui sono sbarcati: spero non lo dimentichino mai.

Oggi si deve alla tenacia, (mi si passerà la citazione affettuosa e personale - in fondo questo è un blog) alla tenacia di Barbara e Domenico, la nuova scommessa che si apre sotto una testata antica e prestigiosa. La scommessa è quella di puntare su una nuova stagione del giornalismo nel momento in cui in Italia si apre una nuova stagione della politica. Da raccontare, innanzitutto, nelle sue luci e nelle sue ombre. Senza il velo dell'ideologia o della faziosità ma con l'apertura mentale di cui è capace solo chi ha il futuro davanti a sé e sa che non può sprecarselo rincorrendo i rancori del passato. C'è un mondo nuovo da descrivere ai lettori, mentre sempre più l'informazione (anche quella sul web) tende a banalizzarlo o a rinchiuderlo in parabole tanto accademiche quanto di convenienza. Che sia convenienza politica o addirittura personale, poco importa rispetto alla deriva di un giornalismo che svaluta la propria professione.

E poi c'è il mondo intero, che ancora meno si può inscatolare nelle matrioske provinciali fabbricate a uso interno. L'esperienza di Emporion sarà fondamentale in questo e da Ideazione sapremo descriverlo questo mondo che cambia, senza stare troppo a guardare da che parte tira il vento dell'interesse di parte. Il nostro interesse è quello di raccontarvela giusta, stando a debita distanza dalle sedi istituzionali dei partiti, di tutti i partiti. C'è una frase ripresa dal libro di uno scrittore di successo che vorrei fosse il motto di questa nuova fase di Ideazione e che in qualche modo riannoda un po' tutta la storia di questa testata, spiegandone le sue fasi e anche - perché no - le sue tribolazioni. E' la sfida che il contadino Barnat lancia al suo padrone nel momento dell'arrivo a Barcellona: "Tieniti pure le nostre terre, signore di Bellera; noi ci terremo la nostra libertà". E sapremo farne buon uso.

domenica, febbraio 17, 2008

The Cure, il concerto


Robert Smith era in forma straordinaria. Sarà stato questo Velodrom splendido e zeppo come un uovo. Sarà stato che fuori, una volta tanto, la temperatura era sotto zero e nessuno aveva voglia di uscire. Sarà stato che - ancora, una volta tanto - i berlinesi sembravano impazziti come un pubblico mediterraneo. Sarà stato chissà che, ma io uno che suona e canta per tre ore e mezzo, ad un concerto, non l'avevo mai visto. Via gli sparring partners, arrivano sulla scena The Cure. Manca un quarto alle nove, loro partono freddi e sparati con le sonorità alternative-rock che segnano l'ultima stagione della lunghissima storia del gruppo. Rispetto ai componenti degli inizi c'è in verità solo lui, Robert Smith, gli altri sono tutti nuovi e questo spiega anche la capacità del gruppo di rinnovarsi continuamente, senza restare aggrappato alle mode. Chitarre elettriche a tutto volume e la voce di Smith straordinaria, come sempre, anzi visti gli anni che passano verrebbe da dire più di sempre.

Il Velodrom è gremito e la generazione degli anni Ottanta è numerosa e ben rappresentata, con gli immancabili fan-nostalgia asserragliati nel look dark-gothic, riesumato per l'occasione. I capelli sono bianchi - i loro - fanno un po' tenerezza ma in fondo li sento tutti miei fratelli. Smith e i suoi invece concedono poco alla nostalgia, un paio di canzoni, nulla più. Ma la nuova musica è buona, buonissima, l'avevo sentita di sfuggita alla radio, merita tutto lo scatenamento di cui siamo capaci. Si balla, abbiamo deciso di conquistare il "parterre" lasciando gli spalti ai più tiepidi (che si scalderanno nell'ultima ora). Due ore dura il concerto base. Poi la sfilza dei bis. Uno dietro l'altro. Tornano in scena tre volte i Cure, tra gli applausi e le grida sempre più forti. Ricordo il mio primo concerto importante, il tremendo sbarco degli U2 a Roma, nell'afa di fine maggio del 1987, un concerto da schifo, violenza, polizia impreparata, organizzazione da denuncia penale, uno stadio Flaminio che grida ancora vendetta. E loro, i ribelli degli slums di Dublino, che la tirano lunga per un'ora, tutta grazia ricevuta.

Qui i Cure sembrano mettercela tutta per convincerci che sono una band che ha ancora cose da dire. Il ricordo del passato appartiene tutto agli ultimi due bis. E' musica dolce che fa bene ai ricordi e loro continuano ad alternarla alla produzione più recente. Invecchiano con noi, ma come noi non restano prigionieri degli anni che sono passati. E' la lezione dei Cure. Chi li ama li segua. Anche oggi che sono lontani da "Kiss me, kiss me, kiss me".

Berlinale: i premi

Vince il Brasile. Su questo blog vi abbiamo raccontato l'atmosfera di alcune serate. I risultati finali li trovate ovunque. Sul Corriere in italiano (che pena, però, la copertura del festival del cosiddetto primo giornale italiano!) e, se non vi spaventa il tedesco, sulla Süddeutsche.

Il co-padre della patria

Nel seguire la campagna elettorale italiana, la scelta delle alleanze, i messaggi che da qui in avanti i contendenti si lanceranno e, soprattutto, le prime mosse del prossimo governo, ricordatevi di questa frase: "A Berlusconi piace recitare più parti in una commedia, anche nella sua, se si convince che deve fare il co-padre della patria, magari ci riesce pure". In genere, qui ci vediamo lungo.

sabato, febbraio 16, 2008

Kiss me, kiss me, kiss me

Questo è il giorno dei Cure a Berlino e Walking Class sarà della partita. Il concerto era previsto all'Arena. Tutto esaurito da tempo e gli organizzatori hanno avuto l'idea di tentare l'azzardo. Viste le richieste che ancora arrivavano, una settimana fa hanno deciso lo spostamento del concerto al più grande Velodrom (una delle recenti meraviglie architettoniche della nuova Berlino post-muro completata nel 1999 dall'architetto francese Dominique Perroult, lo stesso della Biblioteca nazionale di Parigi). Disponibilità di biglietti triplicata ma nuovo spazio da riempire in soli sette giorni. Risultato: da giovedì non si trova più un biglietto. La band inglese è in tour internazionale, Berlino, Amburgo e Monaco sono le tappe tedesche. La loro musica ha accompagnato la nostra adolescenza e poi più avanti anche il prosieguo della nostra vita ma la storia del gruppo (per chi davvero non la conoscesse) è raccontata in dettaglio su Wikipedia. Qui si deve qualcosa alla sorellina più piccola, che dalla stanza accanto ha fatto dei Cure (ma non solo) l'involontaria colonna sonora della mia maturità. E ora, assiepiamoci ai cancelli come ai vecchi tempi, che è il momento di entrare.

Berlinale: Ballast

Ultima proiezione, ultima serata, prima dei premi. Finalmente il palazzo centrale, il famoso Berlinale Palast nella Marlene-Dietrich-Platz. Tappeti rossi, luci sfavillanti, macchinone nere che scaricano i cosiddetti Prominente (sarebbero i Vip) e noi dentro a spaparanzarci sui divanoni di velluto rosso. Tutto molto bello, tutto molto chic. Pochi fanfaroni, comunque, pochissime giacche e cravatte, molti maglioni al limite qualche sciarpa variopinta anche perché stasera, finalmente, fa freddo. Molti drogati del cinema per nulla sazi di dieci giorni trascorsi tra una proiezione e l'altra e semmai terrorizzati dal periodo di astinenza che si aprirà da domani. Tutti hanno la borsa tascapane rossa della Berlinale a tracollo, la stessa che ho schifato io il primo giorno pensando che un vero berlinese non va in giro con il gadget locale. Ora me ne pento. A quest'ora il venditore è chiuso ma spero domani di riparare al mio atto di snobismo: voglio la borsa tascapane rossa.

Ultima proiezione, dicevamo. Film americano, ma di quelli che proiettano alla Berlinale. Dunque triste. Giusto per farci sapere che anche l'America ha un lato triste e dunque possiamo farcela piacere. Stasera mi andava di ridere, però pazienza. Il film si intitola Ballast e non è male. Solo cupo. La storia è semplice, un uomo, il suo dolore per la morte del fratello gemello, la difficoltà di proseguire, le incomprensioni con la nuora e il suo figliolo. Il tutto girato nel breve (e freddo e umido) spazio tra due casette prefabbricate gemelle e una stazione di servizio lungo la strada provinciale a ridosso del delta del Mississippi. Poi, lentamente, la vita riprende proprio attraverso i legami familiari che apparivano compromessi. La necessità di sostenere quel che è rimasto della famiglia del fratello, di strappare il nipote a una cricca di spacciatori di droga, di rimetterlo al passo con gli studi, di ritrovare il senso della vita. Gli attori (non molto conosciuti) sono bravi nella loro recitazione drammatica. Poi, quando il film finisce (è quasi l'una) e gli applausi si spengono sui titoli di coda, gli attori entrano in scena e sorridono, sono emozionati ma ridono e mi consola sapere che in fondo sono allegri. Perché il film è un po' angosciante, ma forse è anche colpa dell'ora tarda.

venerdì, febbraio 15, 2008

Berlinale: Caos calmo

L'ora è tarda ma l'unica pellicola italiana qui alla Berlinale merita l'ingresso al cinema Urania alle undici e mezza di sera. Poi c'è Nanni Moretti, uno per il quale ho una passione a prescindere. Non tanto politica quanto cinematografica. Mi piace tutto quello che fa, qualsiasi cosa faccia. Appunto, a prescindere. Ognuno ha difetti dai quali non riesce a liberarsi, neppure crescendo. Uno dei miei tanti è la passione per Nanni Moretti. E per fortuna che c'era lui come protagonista. Il film è debole, debolissimo, alcuni episodi sono forzatissimi e non si capisce perché avvengano: sono incongruenti o non servono alla trama del film. Il tutto si regge sulla sua forte personalità ma non basta un Nanni super per salvare la pellicola e con essa quel po' di cinema italiano che ancora gira per il mondo. Non mi ha fatto un grande effetto la tanto pubblicizzata scena del rapporto sessuale, viste anche alcune reazioni ecclesisastiche dal Vaticano mi pare proprio che dalle parti del Cupolone, di questi tempi, non abbiano un granchè da fare. Beati loro e poveri noi. Ultima notazione per le scene di una Roma dolce e distante. Heimweh. Un po'.

martedì, febbraio 12, 2008

East power

La rivincita economica dell'Europa dell'Est (e noi ve lo avevamo detto).

L'oro della Berlinale

Al Cinemaxx Café sono tutti un po' su di giri alle nove della sera. Qui fuori i film si succedono uno dopo l'altro nei vari cinema attorno alla Marlene Dietrich Platz. Tra una pausa e l'altra gli spettatori escono, fumano, bevono, commentano. Nel corridoio luminoso delle Arkaden, la shopping mall di Potsdamer Platz costruita da Renzo Piano dove si vendono i biglietti per gli spettacoli dei prossimi due giorni, donne e uomini fanno pazientemente la fila per i biglietti, improvvisando discussioni e commenti (spesso assai acidi) su registi e attori. Molti di loro finiranno con l'acquistare l'ultimo biglietto disponibile per la proiezione più assurda, il film tailandese o cinese con sottotitoli in inglese o tedesco, che nessuno aveva voluto prenotare. In un cinema ad est, magari sulla Karl-Marx-Alee per non rischiare di sentirsi troppo alla moda. Eppure la magia della Berlinale è soprattutto qui, in questa massa di gente normale, di berlinesi normali, di turisti normali, che non riescono a farsi inquadrare dai riflettori destinati solo alle star, che non calcheranno mai il tappeto rosso del Palast, che non verranno salutati da folle di quindicenni osannanti. Ma che riempiono le sale dei cinema, anche di quelli dove si proiettano i film tailandesi malamente sottotitolati: sono loro "l'oro della Berlinale". Siamo noi "l'oro della Berlinale". Il sottoscritto è uno di questi tipi normali. Stasera ho racimolato solo un paio di biglietti per la serata di premiazione dei corti. Tra un'oretta si entra in sala, il tempo di finire il Rum Sauer al Cinemaxx Café (non ve lo consiglio, qui a Berlino ne ho bevuti di migliori), scollegarmi dalla rete wireless e infilarmi nella sala dei corti. Spero, soprattutto, che non vinca il corto tailandese.

lunedì, febbraio 11, 2008

Toh, un'altra campagna elettorale

Berlusconi vincerà forse le elezioni. Ma Veltroni fa discorsi più belli. Questi i due che seguiremo, di tanto in tanto, fino al voto di aprile. Le altre sono comparse. E per ora dicono un sacco di cazzate. Molti dall'Italia prevedono che sarà una campagna elettorale diversa. L'ultima della seconda repubblica o la prima della terza. Le suggestioni sono tante, il clima sembra diverso. Non tutti gli attori sono diversi, tuttavia. Anche se, pure questo, è tipico delle fasi di transizione. D'altronde è merito della sinistra se può lanciare un altro leader come Veltroni. Ma non è colpa di Berlusconi se le alternative della destra sono due mezze calzette come Fini e Casini. La sinistra ha il vantaggio di avere innescato da qualche tempo un progetto politico che si scrive Partito democratico ma si legge Walter Veltroni: quando i tanti galli del pollaio hanno capito che solo il sindaco di Roma poteva guidare l'avventura, l'eterna Fenice post-comunista ha preso vita. La destra ha il vantaggio che il partito unico esiste già dal 1994 e non è né nelle scartoffie partitocratiche care ad Adornato né nei labirinti di interessi dei vari colonnelli di partito: è negli elettori. La mia impressione è che scalzare dal nuovo partito il delfino di Forlani (e la sua Udc ridotta a Cesa e ai suoi parenti) possa solo giovare alla nuova "intrapresa". Qui, permetteteci di restare scettici in generale: quando il clima si svelenisce per stanchezza, invece che per consapevolezza, la cosa può durare poco. Comunque che le cose si siano rimesse in movimento, pare chiaro. E speriamo, che sperare non costa nulla e a fare i pessimisti ci si avvelena il fegato. A Berlusconi piace recitare più parti in una commedia, anche nella sua, se si convince che deve fare il co-padre della patria, magari ci riesce pure. E Veltroni è uno che di politica ci capisce. Vedrete che, se perderà, non perderà di molto. E poi magari sarà, per un po', grossa coalizione.

sabato, febbraio 09, 2008

Berlinacht

Das Leben ist schön

Prendete un fine settimana d'inizio febbraio a Berlino. La festa della Berlinale, il sole e la temperatura che supera gli undici gradi sopra lo zero. Cosa volete di più?

martedì, febbraio 05, 2008

Super Tuesday 3/ La grande notte

In giornate come questa dispiace di non essere dall'altra parte dell'Atlantico a seguire uno dei momenti più emozionanti della democrazia: il Super Tuesday delle primarie statunitensi. Quest'anno tanto più importanti ed emozionanti giacché i due partiti eleggono il loro "cavallo di razza" ripartendo da zero. Nessun presidente uscente. George Walker Bush conclude i suoi otto anni, un periodo drammatico della storia degli Usa e del mondo, che difficilmente dimenticheremo e che solo il tempo ci farà giudicare nella giusta luce. Oggi la scena è affidata ai suoi successori, facce note, altri parenti, volti nuovi, vecchie volpi. Veterani, mormoni, donne, neri. L'America che non smetterà di affascinarci, qualunque saranno le superpotenze del mondo di domani, che già si affacciano oggi con volti non sempre rassicuranti. E siccome questo blog non ha negli Usa il suo argomento principale, oggi umilmente ci e vi affidiamo a chi di queste cose ne sa più di noi. Buon Super Tuesday.

The Right Nation. E' il blog sull'America, vista dal lato destro della politica. Due i punti di forza, imprescindibili questa notte. 1) il Liveblogging, non ce n'è uno migliore in lingua italiana; 2) Andrea Mancia non sbaglia una previsione elettorale americana almeno da venti anni. E, secondo indiscrezioni degli ultimi giorni, sarebbe molto informato sulla campagna di Mc Cain. Dunque, dovrebbe saperla lunga.

Drudge Report. Se siete di quelli che la notte del Super Tuesday approfittate per rinfrescare l'inglese, e volete qualche soffiata in anteprima (da verificare però), questo è il sito che fa per voi. Una volta era un outsider. Ora è un'istituzione, almeno la notte delle votazioni.

Daw. C'è Daw in Liveblogging, divertente, scanzonato e colorato. E aggiornato.

Camillo. Christian Rocca è in America e da mesi segue le primarie come nessuno sui quotidiani italiani. Siccome stanotte non farà il Liveblogging, in attesa dei primi dati leggetevi tutti i commenti dei mesi passati, ripresi dagli articoli pubblicati sul Foglio. Straordinarie le interviste agli esperti nei caffé di New York.

The Politico. Tra le novità di questa campagna elettorale, il quotidiano online The Politico. Le altre volte non c'era. Sarà il futuro del giornalismo?

Yes we can. Non si tifa su questo blog, in ossequio alla vecchia regola di un giornalismo demodé. Tuttavia, comunque vada a finire, queste saranno state le primarie di Barack Obama. Da domani, inizierà tutta un'altra storia.

Super Tuesday 2/ Yes we can

Grazie a Camillo.

Super Tuesday 1/ Yes we can

Potrebbe essere l’inizio di una nuova era, se dura, se tiene, se arriva sino in fondo. Le primarie per la presidenza degli Stati Uniti sono una battaglia elettorale lunga e faticosa, ricca di colpi di scena e capovolgimenti, capace di portare alle stelle e poi gettare nella polvere qualsiasi candidato, specie oggi in pieno dominio mediatico. Ma se Barack Obama dura, se tiene, se arriva fino in fondo, se sopravviverà alle montagne russe su cui stampa e tv lo hanno scaraventato dopo la vittoria in Iowa e la sconfitta in New Hampshire, avremo davvero assistito in tempo reale a un cambio radicale di stagione politica. Per restare agli Stati Uniti e non abbandonare il solco della retorica, avremo assistito a qualcosa paragonabile allo sbocciare del mito kennediano. Quando alcuni mesi fa il senatore dell’Illinois aveva rotto gli indugi e deciso di affrontare la lunga maratona delle primarie, nessuno immaginava che una forza della natura come Hillary Clinton avrebbe trovato un rivale capace di tenerle testa. Giovane, affascinante, affabile e, soprattutto, testimonial vivente della speranza. Lui, nero, perfettamente e naturalmente integrato (e per questo malvisto dai radicali della comunità afro-americana) in una società che fa dell’ascesa sociale e della mobilità uno dei punti di forza, dei miti indissolubili, nonostante la realtà sia poi molto diversa. E a questa realtà diversa guarda Obama mettendo a fuoco incontro dopo incontro, discorso dopo discorso, il suo progetto di cambiamento che finora appare tanto affascinante quanto vago e indeterminato.

Un’idea più che un’agenda di cose da fare. A una società frastagliata e disorientata, frammentata in mille rivoli individualistici, Obama racconta la favola di un paese che è stato grande e che deve riconquistare innanzitutto la capacità di pensarsi assieme. In fondo, è il disagio vissuto da tutte le società occidentali contemporanee. La mucillagine italiana descritta dall’ultimo rapporto del Censis non è troppo diversa dall’arcipelago americano o dall’impasse che vivono società come quella francese o tedesca. Solo che Obama non solletica le paure dei suoi cittadini, non accresce il loro disorientamento per tradurlo in una politica di ricompattamento contro il nemico etserno, vero o immaginario. La prospettiva scelta da questo outsider apparente (un senatore negli Usa non può essere un vero outsider) è di guardare in positivo, di interpretare una speranza, il desiderio di un nuovo sogno americano. I commentatori statunitensi, fulminati dalla sua eleganza, si sprecano in paragoni: i Kennedy John e Bob, Martin Luter King e via elencando. Ma il paragone più calzante è quello che gli ha incollato addosso un columnist eccentrico come Andrew Sullivan che ha parlato di lui come del nuovo Ronald Reagan, lo straordinario interprete degli anni Ottanta, la stagione della deregulation, della riscoperta del privato, della forza prorompente dell’individuo.

Obama parla d’altro. Parla di sicurezza sociale e di sanità per tutti, in un paese dove il 15 per cento della popolazione non riesce a permettersi una tutela medica decente. Parla di investimenti pubblici nelle infrastrutture per rilanciare l’economia nazionale. Parla di riequilibrio energetico per spezzare il cappio della dipendenza petrolifera. Parla di tutela dell’ambiente contro un’amministrazione che è apparsa cocciutamente sorda verso questo argomento. Scalda i cuori, laddove la sua avversaria più temibile, quella Hillary Clinton carica di esperienza e di favori del pronostico, riesce a raffreddarli con il suo cinico senso per il potere. Dopo la vittoria nell’Iowa, all’esordio della lunga marcia verso la nomination democratica, Obama saltellava allegro con la sua giovane famiglia, una moglie deliziosa, due perle di figlie, piccole e ingenue come il cuore profondo dell’America. Per un momento (evidentemente breve, già finito con il voto in New Hampshire) l’entourage di Hillary Clinton - il marito Bill, la figlia Chelsea, l’ex segretario di Stato Madeleine Albright - è apparso come la rappresentazione di un quadro antico che raccontava il passato, non il futuro.

Ci sono momenti, nella storia dei paesi, in cui un uomo, anche indipendentemente dalle sue capacità, incrocia il comune sentire della sua gente. E lo interpreta. Ad Obama può accadere così che anche un punto debole, come il fatto di non parlare della guerra in Iraq e più in generale della guerra al terrorismo, può trasformarsi in un punto di forza. Per lui la storia irachena s’è chiusa quando ha detto no, in Senato, nel momento in cui tutto il paese (e assieme ad esso Hillary Clinton) ha appoggiato la scelta di intervenire contro Saddam Hussein e il suo regime. Oggi, semplicemente, ha messo la questione alle spalle. Sceglie altri temi, superando d’un balzo l’argomento che ha lacerato l’America.

Obama può durare, può tenere, può arrivare fino in fondo perché è capitato nel posto giusto al momento giusto e con la formula vincente. Quella della speranza, invece che della paura. Se sarà capace di dare concretezza e contenuto a quella che oggi appare ancora solo come una splendida suggestione, questo quarantacinquenne dall’aria di ragazzino potrà segnare uno spartiacque, anche a prescindere dalla sua vittoria finale. Sì, potrebbe anche perdere e ugualmente aprire la strada alla sua nuova frontiera [...].

Estratto dal (non ci crederete) Secolo d'Italia del 13 gennaio 2008.

lunedì, febbraio 04, 2008

Flop Flip (più Flip però)

Due erano andati da lì a là, due sono andati da là a lì. Leggere alla voce candidature. Si vota ad aprile. Che mese sfigato che sta diventando!

ps. E il mio vecchio direttore la pensa come me su quello del Flip Flop, il primo insomma di questa catena che vedremo infinita, da qui alla presentazione delle liste. Sono in buona compagnia. E in giro non rosicate troppo. Chi non fa politica si può almeno prendere qualche libertà di sfottò in più. Il regime non è ancora arrivato.

The Milosevic Family goes to Moscow

RUSSIA CONFIRMS ASYLUM FOR MILOSEVIC FAMILY. Russia has confirmed a report published by the Serbian daily "Blic" on January 31 that it has granted political asylum to two members of the family of the late Slobodan Milosevic, his wife Mirjana Markovic and his son Marko Milosevic. However, while "Blic" reported that their application was granted before the New Year holidays, Russia's Federal Migration Service announced that they were granted asylum in March 2006, after applying in late 2005. According to the international media, Moscow justified the decision on the grounds that the two faced "significant threats against their lives in Serbia." Serbia has issued international arrest warrants for both Markovic and Milosevic on a range of charges, including, in Markovic's case, complicity in the murder of former Serbian President Ivan Stambolic. Neither Milosevic, who left Serbia in October 2000, nor Markovic, who left in February 2003, were able to attend the funeral of the former Serbian and Yugoslav president, who died in March 2006 in detention in The Hague before his trial for war crimes was concluded. Another member of the Milosevic family resident in Russia, the former president's brother Borislav, told Reuters that "it is news to me" that the two have received asylum. Borislav Milosevic served as Yugoslavia's ambassador to Russia while his brother was in power.

Fonte: Radio Free Europe/Radio Liberty, Newsletter.

Belgrado, ora la palla passa all'Europa

Cinquanta virgola zero cinque. Tanto stretto, come d'altronde era stato previsto dai sondaggi, è lo spiraglio lasciato aperto da una Serbia inquieta. Uno spiraglio verso l'Europa, che significa soprattutto chiudere la pagina dei nazionalismi e dei risentimenti e aprire quella della speranza e della fiducia. Boris Tadic ce l'ha fatta, recuperando uno svantaggio di cinque punti dopo il primo turno, esattamente come accadde la volta scorsa. Ma stavolta è stato più difficile [... continua su Ideazione].

sabato, febbraio 02, 2008

Le speranze di Pristina

A Belgrado si vota, a Pristina si spera. Non solo di ottenere l'indipendenza ma anche di aprire comunque una fase nuova e di crescita, lasciandosi alle spalle le brutalità del passato. C'è aria nuova nei Balcani. Protagonista della speranza, come sempre, la nuova generazione. Un dossier di Cafébabel.

Che Serbia uscirà dalle urne?

Si va verso un testa a testa in Serbia fra il presidente uscente Boris Tadic e lo sfidante nazionalista Tomislav Nikolic (in testa dopo il primo turno). In verità, il testa a testa sembra ormai il copione scontato di ogni elezione e dunque, per la Serbia, questa condizione potrebbe essere vista come l'acquisizione di una sorta di normalità democratica. Diverse appaiono invece le linee politiche dei due contendenti, anche se la campagna elettorale tende ad accentuare le divisioni e a marcare le differenze tra uomini e programmi. Semplificando, la vittoria di Tadic sarebbe vista dagli osservatori internazionali come una conferma della scelta europeista e come un ammorbidimento dell'opinione pubblica verso la questione del Kossovo. Al contrario, un successo di Nikolic rilancerebbe le spinte nazionaliste e cambierebbe le direttrici della politica estera serba. Conflittualità con l'Europa e soprattutto con gli Stati Uniti, sponda con Mosca e nuove difficoltà per l'indipendenza del Kossovo (che ancora ieri il premier kossovaro Hashim Thaci ha annunciato come imminente). Intanto Tadic deve vedersela con il rifiuto del premier Kostunica di appoggiarlo (la maggioranza di governo si regge sui due partiti di Kostunica e di Tadic), defezione che potrebbe danneggiare il presidente uscente proprio sul filo di lana. L'eventuale sconfitta di Tadic potrebbe avere dunque ripercussioni di più ampio respiro per tutto il quadro politico serbo, anche a livello governativo.
L'Unione Europea prova a giocare la carta della diplomazia. Annuncia la disponibilità a un
un accordo politico, di fatto una liberalizzazione dei visti d’ingresso dei cittadini serbi nei paesi dell’UE e manda il commissario Franco Frattini a illustrare la proposta. Lascia intendere di essere disposta a offrire molto di più, forse a riprendere i dossier sull’accordo di associazione e stabilizzazione ma solo se gli elettori premieranno la linea europeista del presidente Tadic.
Intanto nel dibattito televisivo conclusivo i due rivali se le sono dette di santa ragione e la questione europea è stata al centro del confronto. Ieri sera, infine, comizi di chiusura. Oggi silanzio, domani si vota. Nessuno sembra in grado di predire che Serbia uscirà dalle urne.

venerdì, febbraio 01, 2008

Frattini a Belgrado illustra la proposta UE

The vice president of the European Commission, Franco Frattini, flew to Belgrade on January 30 to start talks about the possibility of ending visa requirements for Serbian citizens, the news service Balkan Insight reported. "We know that 70 percent of young people in Serbia have never traveled abroad," Frattini told journalists before heading for Belgrade. "That's not acceptable and we want to rectify that." The EU announced on January 18 its willingness to launch talks on visas and reiterated its commitment when its foreign ministers met on January 28. This is the second sign in a matter of days that the EU wants to tighten relations with Serbia, following agreement within the union on January 28 to offer Belgrade a deal focusing on trade links. The offers fall short of measures desired by pro-EU ministers in Belgrade, who believe the EU could swing votes toward Serbia's serving president, Boris Tadic, in the runoff to be held on February 3. Frattini's schedule includes meetings with Tadic, with Deputy Prime Minister Bozidar Djelic, whose portfolio includes European integration, and with police officials. The EU eased visa restrictions on Serbs and citizens of four other Balkan states as recently as this month.

Fonte: Radio Free Europe/Radio Liberty Newsline.

Julia va a Bruxelles

Prima visita ufficiale all'estero per il nuovo primo ministro ucraino Julia Timoshenko. Tappa significativa: Bruxelles, Unione Europea. L'Ucraina bussa di nuovo alle porte dell'Europa. Troverà questa volta orecchie più disponibili?

Lokomotive über der Friedrichstraße

Wenn man über die Friedrichstraße in der Richtung auf den Bahnhof zu geht, sieth man oft eine mächtige D-Zuglokomotive in der Höhe halten. Sie steht genau oberhalb der Straßenmitte und gehört zu irgendeinem Fernzug, der aus dem Westen kommt oder nach dem Osten fährt. Erregt sie das Aufsehen der Menge? Niemand blickt zu ihr hin. Cafés, Schaufensterauslagen, Frauen, Automatebüffetts, Schlagzeilen, Lichtreklamen, Schupos, Omnibusse, Varietéphotos, Bettler - alle diese Eindrücke zu ebener Erde beschlagnahmen den Passanten viel zu sehr, als daß er die Erscheinung am Horizon richtig zu fassen vermöchte.

Siegfried Kracauer, Strassen in Berlin und anderswo, 1964.

Nuovi ingressi nel blogroll

Ecco alcune novità di Walking Class nella colonnina a destra.

Ecogermania. Il blog di Alessandro Alviani, giornalista freelance da Berlino e compagno di collaborazione all'Indipendente nel breve periodo in cui vi ho collaborato anch'io. E' tanto giovane quanto bravo. Il suo blog punta su due argomenti chiave per i prossimi anni: energia ed ecologia. Il tutto in chiave Made in Germany. Come dire, dal cuore dell'innovazione su questi temi. Nella sezione Germania.

Giornalismo militante. Conflitto d'interessi. E' un nuovo blog di Ideazione e con Stefano siamo qualcosa di più che buoni amici. Lui è un cronista di razza, uno di quelli che aborre il giornalismo militante. Sarà curioso seguirlo nella nuova impresa sottosopra. Nella sezione Heimat.

Europa occidentale. Qui, come sapete, ci si muove al ritmo del "Go East". Ma si parte dall'Ovest. Mancava, e adesso c'è, una breve selezione dei più importanti giornali della Vecchia Europa.

Unione Europea. Gliene diciamo di cotte e di crude. Io perché la vorrei migliore. Vorrei più Europa, non meno Europa. Però sono uno di quelli che si sa accontentare di quella che c'è. Avete letto della seconda guerra mondiale? Poi ricordate la cortina di ferro e il muro di Berlino? Le dogane alle frontiere? Gli uffici di cambiavalute? In fondo ne ha fatta di strada l'Europa, vero? Link a news, istituzioni e blog per seguire gli sviluppi futuri.

L'ora esatta. C'è da qualche giorno la Uhrzeit di Berlino (che è poi quella dell'Europa centrale, dunque anche quella di Roma). L'ho messa perché mi piacciono gli orologi.

Berlinerluft. L'aria di Berlino, ovvero che tempo fa. Così, se mai finalmente si dovesse decidere a nevicare, lo saprete in tempo reale.

Il cielo sopra Berlino. La webcam sul grigio invernale della capitale tedesca. Di notte si vedono solo le luci. Io sono liggiù, da qualche parte. Nella sezione Berliner Ring.

Walking Photo. Sono mie. Non c'è copyright. I luoghi del mondo (ma soprattutto d'Europa) che ho visitato. E, ovviamente, fotografato.

Walking Tv. I filmati sono di You Tube, dunque il titolare del blog declina ogni responsabilità. La ricerca è automatica. La chiave è Berlino ed Europa dell'Est. Cosa possa uscirne, non lo voglio neanche immaginare.

Flip Flop (più Flop però)

Ondeggiando da sinistra a destra, alla fine incocciò il centro. Di chi stiamo parlando?

Tutti giù per terra

Streik, una parola quasi sconosciuta nell'efficientissima Germania. Da qualche tempo, però, i conflitti sociali si sono fatti più duri e lo sciopero è un'arma alla quale i sindacati di categoria ricorrono sempre più spesso. Per mesi ha tenuto banco la vertenza dei macchinisti, che hanno ripetutamente bloccato il traffico ferroviario (e delle S-Bahn). Ora, qui a Berlino, è la volta della BGV, il sistema di trasporto pubblico cittadino. Dalla mezzanotte tutti fermi: autobus e metropolitana. Una scelta improvvisa: la capitale è in panne. L'unica salvezza è data dal sistema integrato di trasporto pubblico, che qui a Berlino contempla anche la S-Bahn, la metropolitana di superficie. Il suo personale appartiene alla Deutsche Bahn, alle ferrovie (e infatti nei mesi scorsi scioperava), ma oggi non sciopera. A noi non resta che fare i calcoli con le linee della S-Bahn per muoversi da una parte all'altra. E sulle nostre gambe. Lo sciopero dura un giorno e mezzo: è partito alla mezzanotte di oggi, si concluderà alle 15 di sabato. Gliel'ho detto ai miei amici berlinesi: "Il vostro è davvero un paese che va a rotoli". Un paio ci hanno creduto e si sono scusati. Ma dai...